Sotto i nostri piedi: l’inquietante mondo segreto dei lombrichi giganti

Camminando durante l’anno 1992 con atteggiamento concentrato nella regione di Baw Baw, stato australiano di Victoria, i due naturalisti si curavano di rispettare un ritmo estremamente preciso: due passi avanti, uno di lato, poi chinarsi ed appoggiare a terra l’orecchio destro, con le mani aperte ai lati della testa piegata di lato. D’un tratto l’attimo di sosta, il refolo di vento, un momento prolungato di silenzio: “Franck, forse ci siamo. Ascolta in questo punto!” L’amico e collega, procedendo di soppiatto per non spaventare alcun tipo di essere vivente, si avvicinò a ripetere quei gesti ben collaudati, fatta eccezione per l’impiego dell’orecchio opposto, in modo da non interrompere lo scambio di sguardi. E con espressione intenta, impostò spontaneamente l’accenno sincero di un sorriso, mentre rimbombante dalle oscure profondità terrestri, udì il suono che per tante ore avevano cercato. “Oh, si. Sono loro!” Sussurrò gridando, mentre tirava fuori dal borsello una piccola paletta da giardinaggio. Affinché lavorando alacremente per il resto della giornata lui, Andre Kretzschmar, assieme all’esimio co-autore F. Aires, potessero porre le basi di un fondamentale studio sull’argomento cardine della carriera di entrambi. L’unico, a partire da quel fatidico periodo nella storia pregressa delle scienze applicate.
Mentre la strisciante controparte lunga quasi due metri, del tutto inconsapevole dei metaforici cinque minuti di celebrità raggiunti, avrebbe solamente continuato a sperare che gli enormi uccelli, glabri e minacciosamente vibranti, si sbrigassero a fagocitarlo, oppure lo lasciassero tornare alla sua occulta magione. E di sicuro se abitate in questa particolare zona del continente, non è normalmente consigliabile, né in alcun modo valido imitare tali gesti congeniali ad ottenere un risultato e soltanto quello: ritrovarsi con le mani strette ad un troncone di un siffatto mega-verme. Purtroppo strappatosi nel mezzo della lunghezza, come sua tipica prerogativa, mentre si tentava con cautela di tirarlo fuori dalla sua buchetta. Forse proprio per questo, non sono molte le misurazioni e note disponibili sulla materia largamente misteriosa del Megascolides australis, molto spesso detto lombrico di Gippsland o in modo ancor più descrittivo “lo strisciante mostro del sottosuolo” per la maniera in cui sembra evocare immagini mitologiche di mostri spaventosi e famelici, oppur conformarsi allo stereotipo contemporaneo, molto amato su Internet, di un’Australia dove tutto è orribilmente minaccioso, carnivoro, velenoso e tendenzialmente sopra-dimensionato. Benché il menzionato animale, nella fattispecie, in qualità di semplice rappresentante del sub-ordine Lumbricina sia assolutamente mansueto nella propria inclinazione comportamentale e solito nutrirsi di residui organici derivanti dalla decomposizione vegetale. Un ruolo in realtà estremamente benefico, poiché funzionale ad accelerare la trasformazione e riutilizzo delle sostanze chimiche funzionali alla rinascita del sostrato, mentre contribuisce ad areare e mantenere vivido e vitale il suolo legittimo di appartenenza. Oltre ad agevolare un senso pratico e immediato di stupore, all’avvistamento inerentemente raro di un così notevole animale, più simile a una biscia nelle proprie singolari ed imponenti proporzioni. Se non forse, a quanto si racconta, nell’odore…

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Oh, pregiato porco degli abissi! Sincretico, stupendo squalo suino!

Nel vasto e largamente sconosciuto mare d’Internet, ogni sorta di bizzarra situazione sembrerebbe aver trovato il modo di verificarsi. Incluso il caso giunto alle sue conseguenze finali, di un individuo forse troppo persuasivo capace di proporre ai suoi seguaci d’investire molte migliaia di dollari in un bizzarro “gioco” a base di NFT, l’equivalente ancora più volatile dei Bitcoin, per incrociare e far venire al mondo ibridi animali digitalizzati, ciascuno univoco e irriproducibile grazie al miracolo criptato della blockchain. Eppur nemmeno a Logan Paul, l’ex-wrestler, pugile, YouTuber, speaker motivazionale accusato di truffa nelle scorse settimane per l’originale iniziativa inconcludente del CryptoZoo, sembra essere venuto in mente d’includere nel suo canale il risultato di un simile singolare esperimento: l’effettiva commistione genetica, per lo meno in apparenza, del patrimonio genetico appartenente a due specie nettamente distinte. Una di terra e l’altra acquatica. La prima erbivora, la seconda di un carnivoro obbligato e spiccatamente predatorio. Il maiale tondeggiante e flaccido; lo squalo ruvido, inflessibile, spigoloso. In un solo termine prestato dalla lingua inglese, rough – grezzo, che è poi l’aggettivo comune utilizzato assieme al nome di categoria per l’intero genere tassonomico degli Oxynotus, compatte creature dei fondali più remoti dell’Oceano Atlantico e non solo, caratterizzate da un volto che ben pochi potrebbero essere inclini a dimenticare anche dopo il più sfuggente e transitorio degli sguardi. Come certamente può essere effettivamente capitato, a molti dei presenti, nella scorsa ed iper-documentata casistica del ritrovamento di un esemplare di O. centrina presso la darsena medicea di Portoferraio sull’Isola d’Elba, per la seconda volta nel settembre del 2021. Il “bizzarro mostriciattolo” o “muppet pinnuto” in grado di spiccare, tra tutti gli articoli di fondo su strane creature naturale, per l’assenza di approfondite trattazioni al di là di qualche dato generico sulle misure o abitudini ecologiche del pesce in questione. Il che non può costituire certamente un mero incidente, quando si considera l’effettiva penuria di studi scientifici sull’argomento, al punto che una breve osservazione scientifica sul campo per qualche decina di minuti nel Mar di Marmara in Turchia, nel 2009 (cit. Hakan Kabasakal) era stata ritenuta degna di essere pubblicata sulla Rivista Pan-Americana delle Scienze Acquatiche. Perché certo, non è facile trovarsi casualmente al cospetto di un pesce che vive normalmente al di sotto dei 50 metri di profondità e fino a un massimo di 660, mentre avviene più frequentemente di pescarlo per errore con le proprie reti a strascico, eventualità certamente meno propedeutica in materia d’approfondimenti e comunque anch’essa relativamente rara, data l’abitudine dei pescatori dell’Europa Occidentale a ributtarlo rapidamente in mare, causa la diffusa credenza che possa in qualche modo costituire una fonte d’influenza negativa sulla propria fortuna. Nonostante l’espressione dell’alieno appaia non del tutto priva di un latente senso di dolcezza e magnanimità, a chiaro beneficio di chiunque o qualunque cosa risulti eccessivamente grande da poter passare per le sue fauci prevedibilmente ricche di affilate piccole zanne. Molto più di quanto possa essere affermato sul tema dei loro più aggressivi cugini…

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La curiosa meraviglia degli abissi che contrasta lo stereotipo della medusa tentacolare

Quando il sottomarino oceanografico ufficialmente facente parte della Marina Statunitense venne inviato verso la metà degli anni ’60 presso l’isola di Baker, situata nel bel mezzo del Pacifico a metà strada tra l’Australia e le Hawaii, ai suoi comandi avrebbe trovato posto una delle figure più influenti nella storia della biologia marina: niente meno che Jacques-Yves Cousteau, il grande esploratore e documentarista formatosi all’Accademia Navale di Brest. Che all’apice della carriera, seppe documentare e divulgare una pletora di specie precedentemente mai osservate, muovendosi di pari passo all’introduzione di nuovi e più avanzati strumenti da includere nel corredo tecnologico di bordo. Attrezzatura come le potenti luci e telecamere che gli avrebbero permesso, in quel particolare frangente, di scorgere alla profondità approssimativa di un migliaio di metri qualcosa di eludere persino la sua ineccepibile conoscenza pregressa delle forme di vita abissali. Un’apparente mongolfiera mutaforma, capace di assumere alternativamente l’aspetto di un cuscino, una lanterna o un sacchetto di plastica, coperta da un reticolo evidente. Capace di ricordare, con il suo incedere scorrevole, un mollusco nudibranchio come l’affascinante ballerina spagnola (H. sanguineus) con cui condivideva la dimensione di circa 60 cm oppure un sifonoforo fluttuante (ordine Siphonophorae) appartenente al phylum degli Cnidaria. Una potenziale ipotesi, quest’ultima, senz’altro più vicina alla verità, sebbene l’avvistamento di siffatta creatura avrebbe costituito certamente una scoperta significativa, data la rarità con cui fossero capaci di spingersi a profondità tanto elevate. E fu partendo da un simile presupposto che l’esperto Cousteau, ancor prima di riportare in superficie il suo materiale, già aveva iniziato ad elaborare una teoria che in seguito si sarebbe rivelata corretta: che la strana creatura potesse essere effettivamente uno Cnidaria, ma piuttosto appartenente alla classe degli Scifozoi o “vere meduse” particolarmente ben differenziate per il possesso di uno dei cicli vitali più insoliti dell’intero regno animale, nonostante fosse totalmente priva della più rappresentativa arma impiegata da questa categoria di predatori per lo più carnivori: i tentacoli dotati di cnidocisti, per la paralisi e cattura delle prede. Soltanto in seguito, con la cattura incompleta di diversi esemplari tramite l’impiego d’impianti di suzione a bordo di sottomarini e ROV ancor più avveniristici, ed il lavoro del biologo inglese Frederick Stratten Russell, si sarebbe infine giunti ad una classificazione ufficiale della creatura, con il termine scientifico binomiale Deepstaria (dal nome del primo veicolo) Enigmatica (in quanto connotata da un significativo alone di misteri). Destinata in seguito ad essere avvistata soltanto una manciata di volte nel ricco repertorio dei cataloghi marini, causa l’evidente collocazione remota e irraggiungibile del suo principale habitat d’appartenenza, la nostra medusa avrebbe mantenuto fede alla seconda parte del suo nome al punto da riuscire a suscitare, ancora nel 2012, una sensazione mediatica per la comparsa di un video ripreso presso un impianto petrolifero a largo di Tampa, nel golfo del Messico, ripreso da mezzo radiocomandato entrato accidentalmente in contatto con un “bizzarro essere alieno”. Frangente destinato a suscitare un rinnovato interesse, anche in campo professionale, a ridurre in parte l’offuscante bagaglio di nozioni che accompagnano simili esseri vagamente affini al concetto di leggenda dei marinai…

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California: nove anni di neutroni custoditi dietro l’uscio più blindato al mondo

Risalendo addietro nella storia pregressa della settima arte, quando il cinema ancora non poteva fare affidamento su sofisticati effetti digitali per creare l’illusione virtuale di ambienti, personaggi fantastici ed eventi totalmente fuori dal comune, accadeva talvolta che le scene più notevoli utilizzassero qualcosa che esisteva realmente, ma spostato nell’intreccio narrativo per rispondere a specifiche esigenze di sceneggiatura. Soprattutto se prendiamo in analisi l’intero genere fantastico/fantascientifico, e nel caso specifico una celebre barriera con lo scopo di frapporsi verso gli obiettivi dei protagonisti del film Tron del 1982. Sto parlando della colossale porta blindata per il caveau della ENCOM, immaginaria compagnia informatica bersaglio delle attività di hacking white hat (a fin di bene) dell’ex-dipendente Kevin Flynn, diventato in seguito programmatore di videogiochi. Un massiccio blocco di metallo e cemento, di forma quadrata con oltre 3 metri e mezzo di diametro e quasi altrettanto profondo, che una singola persona può riuscire ad aprire, facendolo ruotare su quelli che potrebbero essere i cardini più efficienti della Terra. Il NOSTRO pianeta intendo, considerato come tale elemento architettonico non solo esista realmente, ma si trovi nel sottosuolo di una delle installazioni scientifiche più grandi ed influenti di tutti gli Stati Uniti, quel Lawrence Livermore Laboratory stabilito e gestito in seno all’università di Berkeley, California nel 1952 al fine di approfondire, elaborare e custodire la tecnologia di produzione dell’arma di distruzione di massa più terribile mai costruita dalla specie umana. Sto parlando della bomba atomica ovviamente, e di tutti quei sistemi di stoccaggio necessari ad impedire la fuoriuscita di particelle atomiche potenzialmente letali, all’interno di un qualsiasi ambiente in cui aggirino forme di vita abili e senzienti. Contro l’avvelenamento, la malattia e la morte da radiazione, una delle più terribili all’interno di un catalogo già piuttosto grave, proprio perché lenta, agonizzante ed impossibile da prevedere. A meno di evitare certi luoghi o renderli abbastanza irraggiungibili, come evidentemente agevolato da svariate tonnellate di barriera mobile costruita per tenere le persone all’esterno, ma anche, e soprattutto, chiuso dentro l’impossibile orrore ereditato dai precedenti utilizzatori coltivatori della stessa serra
Una cosa, in parole povere, nota con il nome relativamente criptico di Rotating Target Neutron Source II (RTNS-II) concepita ed assemblata nello stesso anno dell’uscita del film Disney, molto presumibilmente dopo il concludersi delle riprese, con un singolo ed imprescindibile obiettivo: effettuare la fissione (divisione) dell’atomo, con la maggiore rapidità e costanza raggiungibili mediante reazioni graduali e non deflagranti. Un approccio alternativo e molto più tranquillo a quello della bomba atomica, che all’apice della seconda guerra mondiale aveva generato la più grande concentrazione d’energia mai prodotta da un singolo dispositivo umano. Ottenendo poi come semplice effetto “collaterale” l’arma della grande morte, che è poi la nemesi devastatrice di ogni civilizzazione più avanzata degli uomini delle caverne. Un’alternativa quindi assai più nobile ed ancora perseguita da numerose istituzioni scientifiche di questo mondo, con la definizione di energia a fusione, soprattutto grazie all’invenzione dell’apparato toroidale del Tokamak, ad opera dei fisici russi Igor Tamm e Andrei Sakharo al principio degli anni ’50. Ma che comporta la stessa tipologia di pericoli per la salute, dilazionati e prolungati attraverso il procedere degli anni. Qualcuno potrebbe dire, persino, esasperati…

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