Come danzano gli uccelli per mangiare

Tiptap Gull

Ho conosciuto Fred presso la coste sabbiose del Ceredigion, nella tiepida New Quay. Dove persino le correnti fredde provenienti dall’Oceano Atlantico, con il carico consueto d’astio ed animosità, altro non possono che infrangersi contro gli scogli dell’ospitalità gallese, il convivio celtico e la voglia di far festa ad ogni ora.  Lui era un tipo bianco e grigio, piccolino, con i piedi grossi e vistosamente palmati. All’epoca, la sua unica espressione artistica era un canto penetrante e alquanto primitivo, squillante all’alba per segnare il territorio: GAAWK, SQUAAKW, faceva lui. Talvolta, i suoi vicini e parenti si univano alla compagnia. Generando una specie di concerto, allegro se non propriamente variegato, in grado di allietarci un cacofonico risveglio. Ma Fred, ah! Lui non era come gli altri, questo ebbi a capirlo quasi subito. La prima volta, pioveva leggermente, così già stavo mettendo il cane in macchina, quando un fruscìo tra gli alberi portò il mio sguardo verso l’entroterra. Lui era lì, da solo, il becco giallo aperto eppure senza suono a disturbare un simile momento. Voltò la sua testolina prima a destra, poi a sinistra, gli occhi gialli e ostili per definizione, eppure non rapaci, né crudeli. Mi scrutava per capire cosa fossi. “Uu-mano, duee-mani, noo-pani” immaginai che mi dicesse, poi chiusi lo sportello ed inventai quel nome, riecheggiante dello spirito umido di una distante terra senza nome. Fred, l’ambasciatore pennuto in Gran Bretagna. Fred, il ballerino che proviene da lontano. Non che fosse, già a quei tempi, in grado di dare un senso a quello che facesse. Come i suoi cugini della costa, nonché gli antenati comuni da generazioni immèmori, lui batteva i piedi sulla sabbia di riflesso, senza ritmo né ricerca musicale. Lo scoprii due giorni dopo, verso la metà di un’escursione mattutina, di questa vacanza destinata a rimanere nella storia. Oliver il Labrador, come al solito bagnato, masticava il suo bastone quietamente. Temporaneamente stanco per il triathlon canino (corsa, nuoto, riporto) dapprima non udì quel suono sussurrante (tapatapatap) poi sempre più forte (TAP-TAP-TAP) né vide il risultato di un tale spettacolo, l’uccello dietro la duna. Che sia alzava in volo, lo spettacolo finito, con il verme che pendeva dal suo becco, a mò di mortadella delle polverose circostanze.
Quella sera, non riuscii a pensare ad altro. Giù al pub con i ragazzi, dopo la quarta birra, il cugino della locandiera se ne stava un po’ in disparte: “Jon, ho una t-omanta pel pte?!” Il mio accento australiano si sentiva appena: “Ma porqua, i gabbiani batpono le zannpte per cac-ciare?” Dopo uno sguardo all’interlocutore, mi pentii subito di aver posto la domanda. Il pescatore di mezza età, la barba incolta, l’abito sgualcito, era evidentemente ubriaco fradicio e pensava già al domani. Ebbi modo di contare per uno, due, tre secondi, mentre la sua espressione virava dal sorpreso al concentrato, poi si fece all’improvviso del tutto neutrale. “Vedi amico, normalmente non lo fanno.” Il tono era didascalico, la struttura della locuzione semplice e oxfordiana: “Il Larus hyperboreus è un uccello fortemente opportunista, che di preferenza si mostra abituato a cacciare molluschi, artropodi e i piccoli pesci dei fondali sabbiosi. Talvolta è solito battere le conchiglie contro il duro degli scogli, per poterne suggere l’amaro contenuto. Soltanto in un caso è solito battere a terra per riuscire a procacciarsi il cibo…” [Un breve rutto interruppe la disquisizione] “Quando è innamorato. O come dicono i miei esìmi colleghi — Quello scassaboline del dannato cielo (Ar, ar, ar!) –Ha un debole per te.” Gulp! “Fattene una ragione.” Quindi l’ubriaco, all’improvviso, cadde addormentato.

Leggi tutto

La battaglia bovina di Londra finalmente in HD

Moo Cyriak

Eravamo giovani ed ingenui. Eravamo entusiasti, eravamo compiacenti. L’industria zootecnica, per quanto già permeasse ogni pertugio del rapporto tra gli umani ed animali, non era ciò che è adesso, né rispondeva alle stesse stringenti norme etico-sanitarie. Nel 2007…Quando gli alieni rapirono la loro ultima mucca, prima di trasformarla in un mostruoso distruttore di pianeti. Cose che succedono, portando alle sue estreme conseguenze la scienza tecnica della sperimentazione su creature ruminanti! Raccontarlo è doveroso. Mostrare tali circostanze, con una fedeltà visuale degna del peso degli eventi, non sempre facilissimo. Perché in quei tempi ormai lontani, tanto per cominciare, YouTube prevedeva per i video una risoluzione massima di 240p: più che sufficiente a far conoscere la propria faccia al mondo, intavolare qualche linea di un dialogo parlato, per vedersi allegramente bistrattati nei commenti. Ma purtroppo estremamente inadeguata, al fine di mostrare i minimi dettagli di una serie di eventi che si estende dal minuscolo (globuli muggenti) all’incomprensibilmente vasto (quadrupedi grandi come pianeti?) Passando attraverso visioni dell’inferno formatosi per l’intenzione di comprendere la biologia terrestre.
Gli alieni dell’originale [MOO!] di Cyriak, l’animatore di Brighton famoso per le sue trovate psichedeliche e insensate, non sono del tipo che si mette in discussione per toglierci spazio, risorse o divorarci tutti interi. Appaiono piuttosto su schermo, ben racchiusi dentro delle occhialute astronavi, con la finalità apparente di studiare gli elementi di contesto, ma soprattutto comprendere cosa fa muovere il principale animale da prato con i quattro stomaci, qui trattato alla stregua di un mero giocattolo biologico. E chi siamo noi, per criticare. Regna la pace tra i colli gradevolmente verdeggianti. Quando cala, all’improvviso, il disco metallico con la forchetta pneumatica, perché i raggi traenti sono un’inutile complicazione, che trangugia lietamente la creatura. Per poi procedere al sezionamento, ovvero la suddivisione delle parti: la mucca alquanto sorpresa, in una serie di bizzarre sequenze, viene tagliata a metà, poi fatta in tanti pezzettini. Il suo cervello attentamente scoperchiato. Con i singoli componenti, tutt’altro che inutilizzabili, le molte braccia del sistema tecnologico mettono assieme un’intera collezione di strumenti musicali, che forniscono ulteriore verve a un crescendo sincopato di armonie. Quando dalla parte inferiore dell’inquadratura, senza soluzione di continuità, si rendono palesi alcune bocche trasparenti, come fossero tromboni d’accompagnamento, il cui vero scopo appare invece presto chiaro: sono provette, queste, in cui deporre il frutto principale del complesso studio extraterrestre. Alcuni embrioni, chissà poi perché. Illuminati con un misterioso raggio verde, che pare accelerare quella crescita del tutto innaturale, finché…Incidente, disastro! Un malfunzionamento della macchina ha portato alla disintegrazione di uno degli involucri di contenimento, rovesciando l’astruso materiale geneticamente modificato nell’intercapedine tra gli altri. La massa vivente della mucca ricombinata, a quel punto, viene naturalmente attratta verso il resto dei suoi simili, rompendo il resto delle fiasche, poi crescendo a dismisura e in modo incontrollato. Terminata la semplice introduzione, le cose iniziano a farsi alquanto strane.

Leggi tutto

Quando gli squali tentano di entrare nella gabbia

Shark Chomp

Era una situazione decisamente particolare, quella che aspettava la ranger volontaria Hillary Rae durante una delle sue giornate libere con tanto d’escursione fino al mare del Sudafrica, tra le invitanti acque delle molte baie incontaminate che si trovano tra la metropoli di Città del Capo e l’amichevole città di Port Elizabeth. In un video come questo, girato probabilmente nel contesto di uno dei molti tour a tema che si fanno concorrenza sulle brochure e i siti web per i turisti o i locali amanti delle cose veramente forti, si susseguono diversi sentimenti: rabbia contro la natura, entusiasmo, incredulità. La sensazione assoluta di trovarsi in quel dato momento, nella circostanza presente, con soltanto uno strumento di metallo a far da muro tra se stessi e un tritacarne semovente, dagli occhi acuti e la tremenda voglia di saziare la sua fame di…Sapere. Un’aspetto non spessissimo considerato, a margine di chi organizza gite come queste, è che gli squali al di sopra di una certa conoscenza sono animali dalla psicologia complessa, che potrebbero vivere, secondo recenti studi, fin oltre i 70 anni di età. Nel corso dei quali sviluppano, se non proprio i presupposti dell’intelligenza, per lo meno un senso di curiosità felino. Così avviene all’improvviso, dopo aver gettato in acqua le gustose esche sanguinolenti, che il pescione arrivi e non soltanto per mangiarle, sotto l’occhio inscatolato dei presenti-ardenti-di-passione. Ma al termine del pasto, gli vada pure il grosso occhio sopra questo strano oggetto dalla forma non organica, il parellelepipedo di ferro dalle sbarre alquanto rade, facendo scattare in lui/lei quel desiderio molto umano, di appropinquarsi per capire cosa sia. Il che è un problema potenziale, perché chi guarda spesso tocca, e il grande squalo bianco come da suo nome scientifico basato sulla lingua greca, Carcharodon carcharias, non ha molte mani bensì denti (kárcharos – aguzzo, odóntos – devo dirlo?) E denti e denti, in quantità praticamente interminabile. Alcuni degli appartenenti a questo celebre Ordine, nei fatti ne producono nel corso di una vita fino a 35.000 ca, ciascuno con funzioni attentamente definite. Ce ne sono di larghi e piatti, usati per schiantare le conchiglie o il guscio dei crostacei. Mentre altri, detti ad ago, sono sufficientemente aguzzi da bloccare prede piccole e sguiscianti. Ma i peggiori, per gli umani, sono certamente quelli triangolari superiori ed inferiori, l’ideale per tranciare pezzi da una foca e trangugiarla allegramente tra l’ora di pranzo e la merenda d’occasione, un attimo di gioia estrema per il pesce cane. Non c’è quindi molto da meravigliarsi, nel prendere atto di questa maniera preoccupante in cui la bestia si getta contro le sbarre metalliche di questa postazione, rischiando l’integrità dei propri ausili alla masticazione, giungendo a piegare il duro metallo di alcune delle più sottili in due, tre punti. Per poi concentrarsi, molto fortunatamente, contro uno dei sostegni d’angolo dell’intero costrutto, tanto resistente da riuscire a svolgere la stessa funzione dell’osso di seppia, per il pappagallo.
E qui la scena assume proporzioni quasi comiche, con una voce femminile (forse proprio della titolare del canale) che si fa stridula ed acuta, mentre l’immancabile GoPro si muove freneticamente sopra e sotto l’acqua, offrendo i vari angoli del mostro che aggredisce il palo. Il quale, per fortuna, non finisce per ghermire uno dei galleggianti di sostegno, con conseguenze prevedibili per gli occupanti: un brusco sommovimento della gabbia, comunque assicurata e recuperabile dall’imbarcazione soprastante. Ma nessuno vorrebbe mai venire scaraventato, in una tale situazione, contro i confini dello spazio per così dire sicuro, finendo magari con un braccio oppure deliziosa gamba alla portata del carcarodonte. Basta un attimo di distrazione…

Leggi tutto

La rivalsa delle bestie sugli alligatori

Caimano-Leopardo

Non stavolta, amico del giaguaro! C’è sempre in ogni gruppo, un disfattista discordante. Per ciascuna classe di scuola soggetta alle verifiche di fine anno, in tutti gli uffici delle compagnie soggette all’ultima prova dei tempi, all’interno di ogni compatto gruppo di protesta, il singolo che resta stolido nella sua convinzione, certo che ben presto tutti gli altri cambieranno idea. Quel tipo (in)umano che non fa sentire la sua voce, ma rimane in attesa da una parte, pronto a ghermire, con i suoi discorsi e i gesti, l’avversario reso vulnerabile dalla sorpresa. Non c’è un gusto più gradito al suo palato. Denti acuminati, una mascella che può far esplodere un cocomero, il dorso bitorzoluto dalle scaglie non sovrapposte. Un solo aspetto, virtualmente mai cambiato, fin dall’epoca della preistoria. Qualche volta porta la cravatta. E sono anni, letteralmente degli eoni, che rifiuta l’occasione offerta dall’evoluzione. Forse perché… Non ne ha bisogno? Preferisce fare sfoggio di continuità esteriore? Oppure per il gusto di restare quel che era, lucertola imprendibile delle spietate circostanze. Un predatore opportunista. Un collega crudele, infallibile nella sua spietatezza. L’alligatore che nessuno può mangiare, a meno di disporre dei giusti strumenti d’argomentazione.
Ora, ce ne sono di diverse stazze. È chiaro che un moderno coccodrillo, lungo 5, 7 metri, non potrà essere preda d’altri che di chi lo mira col fucile di grosso calibro, la borsa o il portafoglio già ben fissa nella mente (del grossista delle pelli). Ma un caimano jacarè è davvero differente. Perché pesa intorno ai 50 Kg e misura in media un paio di metri e mezzo, dimensione insufficiente a renderlo il temuto super-predatore del suo areale sudamericano, che si estende dal Perù all’Argentina, passando per l’Uruguay, il Paraguay, la Bolivia e il Brasile. Quest’ultimo paese, nello specifico, il luogo dell’azione qui ripresa dalla naturalista Sally Eagle, che si svolge nello specifico all’interno della regione del Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Dove cose orribili ed innominabili si aggirano di notte, graffiando con gli artigli le cortecce degli arbusti. Indescrivibili mostruosità che, persino loro, devono ritrarsi quando vedono un felino come questo. Rappresentante locale del non particolarmente vario, eppure estremamente celebrato genere dei Panthera, i cinque grandi felini che vivono in tutti i continenti tranne l’Australia: leone, tigre, leopardo, leopardo delle nevi e giaguaro, per l’appunto, il maculato mangiatore degli ambienti tropicali. Fino a 130 Kg di muscoli irsuti, vibrisse zelanti e soprattutto acuminate zanne, in grado di perforare facilmente un cranio umano. In effetti, è stato calcolato che in proporzione al peso, sia proprio questo il più forte e pericoloso dei felini. Basti prendere nota, come riconferma, della situazione riccamente documentata di un esemplare particolarmente affamato che ghermisca una giovenca di proprietà umana, per poi trascinare, non senza fatica, tutti e 250-300 i suoi Kg di peso fin sopra i rami di un albero, ove consumare il suo banchetto. Tecnicamente, secondo studi effettuati in via rigorosamente empirica, un giaguaro di 100 Kg potrebbe combattere alla pari contro una tigre del doppio esatto della stazza. C’è poi tanto da sorprendersi, quindi, se TUTTI devono temere questa potentissima creatura? Persino la lucertola che giace, silenziosamente, in mezzo alla sua isola nel fiume. E nessuno mai oserebbe disturbarla, a meno di provare un senso di assoluta avidità, il bisogno di nutrirsi ad ogni costo. La natura è strana.
Così avviene addirittura, tra lo sgomento collettivo, che ci palesi l’occasione di assistere a una scena come questa: il grosso gatto che si tuffa in acqua (al di fuori delle comodità offerte dall’ambiente domestico, svaniscono le antipatie per il quarto elemento) e silenziosamente si avvicina alla coda insensibile di quell’altro, prima di schizzare fuori e con un balzo mordergli la testa. O in termini più adatti a descrivere l’inferno della situazione, nelle parole di un Poeta “[…] riprese ‘l teschio misero co’ denti, / che furo a l’osso, come d’un can, forti.

Leggi tutto