Le imperiture cronache filippine dell’uovo di sale

Un solo luogo, un solo scopo, la perfetta comunione tra gli intenti e l’opportunità. Così la netta distinzione tra uovo e gallina cessa di avere importanza, quando entrambi gli elementi sono parte di un singolo flusso di lavoro, e la seconda può essere sostituita dall’immagine largamente metaforica di un vero dinosauro delle Filippine. Una di quelle creature, nonostante tutto in bilico tra la realtà paleontologica e la fantasia fanciullesca, capace di offrire un ampio spazio per fantasia ed al tempo stesso pratici supporti concettuali, a produzioni dell’artigianato che sarebbero altrimenti assai difficili da contestualizzare. Vedi il caso dell’asìn tibuok o sale “intero”, una definizione che stavolta non deriva dal corredo di sostanze nutritive contenute all’interno, bensì l’implicita capacità di un simile ingrediente capace di presentarsi a guisa di un oggetto di una certa solida entità indivisa. Come un sasso plasmato dallo scorrere delle acque o per tornare all’accostamento maggiormente amato, la capsula deposta da un teropode saurisco, occhi sporgenti e fauci semi-aperte per ghermire l’ecosistema degli albori. Anche grazie alla caratteristica modalità di presentarsi, consistente nella pentola spezzata entro cui ha terminato il suo processo di produzione, che il compratore dovrà progressivamente mettere da parte, mentre grattugia progressivamente i granuli del suo preziosissimo contenuto. Il principe dei condimenti e un’importante ausilio alla conservazione, sin dai tempi antichi durante cui le genti dell’isola di Bohol iniziarono a sfruttare una delle proprie imprescindibili prerogative. Non c’è d’altronde alcunché di strano, se un popolo che vive sulle rive del Pacifico impara a estrarre il sodio cristallizzato dall’acqua dell’oceano, laddove esistono molteplici maniere di riuscire a farlo. Inclusa quella, tra le più complesse e distintive, che inizia con l’immersione per diverse settimane o mesi delle bucce di cocco in gradi pozze riempite grazie all’utilizzo della marea. Per poi procedere a spostarle dentro l’officina, dove saranno seccate ed incenerite fino alla creazione di una polvere bianca e sottile: nient’altro che cenere, fondamentale materia prima del processo alla base di quel prodotto. Sebbene non entri in alcun modo nel prodotto finito, essendo piuttosto utilizzata con la mansione di filtro attivo attraverso canne o pratici costrutti di bambù, per ottenere la concentrazione di una salamoia a base di acqua di mare, il cui nome nella lingua dei locali è tasik. Da versare con la massima cautela in grandi recipienti spesso ricavati da sezioni di un tronco, prima di procedere alla secondo capitolo di una filiera strettamente radicata nel terroir dell’arcipelago dei mari d’Oriente…

Leggi tutto

L’ardua svolta campagnola sul sentiero dei preziosi ricettacoli per il gas butano

Un grande stabilimento industriale negli immediati dintorni di un comune al di sotto dei seimila abitanti può essere un’importante risorsa per la popolazione: posti di lavoro, migliori infrastrutture stradali, un maggior numero di negozi e servizi più efficienti. In determinate, rare e significative circostanze, la corporazione titolare può persino dimostrarsi un’efficace fornitrice d’intrattenimento. Vigeva per l’appunto un’atmosfera simile a una sagra, o quella della sfilata del santo patrono, in quel fatidico giorno dell’ormai remoto 2015, quando l’affiatata comunità di Aubigny-sur-Nère nel distretto Centro-Valle della Loira scese in buona parte indistintamente sulla strada, al fine d’inscenare una concentrazione di persone affine alle registrazioni storiche rallistiche del gruppo B. Quando i sentieri speciali delle gare ad alto ritmo motoristico erano troppo stretti, eccessivamente curvi, poco adatti ai ritmi eccezionali dei piloti che contribuirono a creare una leggenda. Alla maniera che ricorda in molti modi quella degli addetti e il personale specializzato che costituiscono la squadra, composta in egual parte dagli operatori della compagnia committente, del costruttore e tecnici forniti dal governo, al fine di assicurare il riuscito trasferimento di un qualcosa che potremmo definire come veri e propri oggetti fuori dal contesto. Tre abnormi cilindri sopra altrettanti camion, dal peso unitario di (almeno) 330 tonnellate e una lunghezza totale del convoglio pari a 65 metri, sbarcati a Parigi da Saint-Nazaire sull’Atlantico e che da lì hanno proceduto fino a Corbeil-Essonnes, per poi procedere a mezzo strada verso la loro destinazione finale. Se non che nessun sentiero a questo mondo, asfaltato o meno, può dire di esser stato costruito mantenendo a mente carichi di una siffatta imponenza, il che corrobora e sostiene la ben collaudata professione del trasporto eccezionale, un ambito entro cui ogni artificio è regolare, a patto di salvaguardare la sicurezza di cose, persone ed alberi lungo il tragitto. Come garantito in questo caso dalla compagnia Tissot, produttrice degli orpelli in questione, oblunghi sigari verde bottiglia in grado d’incamerare 1.000 metri cubi di gas liquefatto cadauno, a vantaggio di un’iniziativa di ottimizzazione ed ampliamento dell’ormai vicino sito produttivo della Butagaz, compagnia fornitrice di bombole alla stragrande maggioranza della popolazione francese. Il che richiede, come da copione spazio di stoccaggio sufficiente e rispettoso delle norme di sicurezza implementate dal governo, per tutto il tempo necessario al fine di creare il microscopico dal macro, ovvero recipienti ragionevolmente maneggevoli, versatili, facili da utilizzare. Ma non sempre l’accesso alle comodità del mondo contemporaneo può dirsi altrettanto raggiungibile mediante il proverbiale “singolo passo” dal veicolo terrestre alle grigie distese lunari. Ove un giorno carichi non differenti da quello presente avranno l’occasione di sbarcare, tra lo sguardo appassionato di astronauti ed altri membri di quella colonia distante…

Leggi tutto

L’insigne dinosauro che commemora la leggenda dei mega-bulldozer italiani

La natura, le antiche città storiche, la tradizione poetica e musicale. L’arte. Così direzionato è il sentimento patriottico dell’abitante della splendente penisola, che in molti spesso tendono a dimenticare quell’Italia tecnologica che ha fatto dell’ingegno il proprio emblema internazionale. La capacità d’individuare il corso pratico per la risoluzione di un problema, che possa essere allo stesso tempo completa ed interessante, persino magnifica per gli occhi di coloro che riescono a comprenderne le implicazioni profonde. Magari transitando a gran velocità sotto il cavalcavia della SS 14 Venezia Giulia, mentre si scorge a bordo strada la più poderosa, ingombrante, straordinaria macchina mai concepita entro i confini di Portogruaro, affascinante borgo definito in precedenza come “la Venezia dell’entroterra”. Per i suoi palazzi storici, le chiese, l’architettura medievale e l’alto numero di canali, che si diramano dal corso del fiume Lemene fino alle propaggini più esterne del centro abitato. Dove sorgeva, 40 anni a questa parte, una delle più rinomate industrie di produzione dei veicoli pesanti del Nord Italia. Tanto celebre, nello specifico, da rispondere a frequenti ed importante commesse internazionali. Compresa quella di un celebre, per quanto problematico capo di stato. È una vicenda per lo più aneddotica ma d’altra parte ragionevolmente probabile, secondo cui Gheddafi in persona avesse contattato l’imprenditore Umberto Acco, titolare dell’omonima compagnia locale, per comunicargli le misure del suo sogno spropositato. Il dittatore libico aveva infatti l’intenzione d’intraprendere un misterioso progetto di miglioramento delle proprie infrastrutture stradali, o secondo alcuni la posa di nuovi tubi della sua rilevante filiera di produzione del petrolio. E l’avrebbe fatto mediante l’utilizzo di alcuni dei più poderosi mezzi da cantiere che avessero mai calcato il suolo terrestre, incluso un bulldozer destinato a raggiungere il peso di 183 tonnellate. Un progetto il quale, all’inizio dell’embargo con le Nazioni Unite varato nel 1986 per l’accusa di assistenza offerta alle organizzazioni terroriste, sarebbe scemato nell’iperboreo di possibili ucronie alternative.
Ma c’è senz’altro della sincera passione e grande sicurezza produttiva, persino artigianale nelle probabili modalità impiegate, nell’ultimo residuo giallo paglierino di una tale mansione feconda, un tempo quasi demolito ma oggi custodito al sicuro entro i confini del vivaio e galleria d’arte con collezione di macchinari “Beijaflor”. Che dal 2012 ospita orgogliosamente, per volere del vecchio vicino ed amico di Umberto, Roberto Valerio il leggendario Super Bulldozer, capace di costituire l’invida su scala globale di un particolare gruppo di appassionati. Quelli capaci di comprendere l’importanza di qualcosa di unico, nonché detentore di una significativa quantità di record assoluti nella produzione di un dispositivo di siffatta entità. Rispetto a cui, sino alla data odierna, nessuno sembrerebbe provato l’esigenza di mettere alla prova i propri stabilimenti…

Leggi tutto

Lo scorpione artificiale, un meccanismo che agevola la costruzione dei grattacieli

Successivamente al terribile disastro passato alla storia come Grande Terremoto del Tohoku del 2011, una misteriosa creatura di colore azzurro si aggirò per qualche giorno nel cimitero del tempio buddhista di Saikoji, nella città di Ishinomaki. Alto poco meno di una persona, l’essere del tutto simile ad un granchio o un insetto era tuttavia capace di estendere la propria coda telescopica fino ad oltre 20 metri di altezza, cosa che fece più e più volte, mentre la utilizzava per il fine produttivo di sollevare una per una le lapidi che si erano adagiate orizzontalmente negli stretti viali alberati. Per poi abbassarle, lentamente, nel punto in cui erano state originariamente collocate, le proprie quattro zampe collocate in posizione stabile nel mezzo della terra smossa. Accompagnato da una mezza dozzina di persone in tuta da lavoro, ciascuna dedita ad accudirlo, assisterle o spronarlo in diverse maniere, il misterioso “insetto” dava in questo modo pace ai defunti, preparandoli ad accogliere così tanti dei loro cari, conoscenti ed amici che si preparavano a raggiungerli, essendo andati incontro ad un’improvvida fine. La presenza in questione, ad un secondo o terzo sguardo, riusciva dunque a rivelarsi per quello che realmente era: un mecha (メカ) o meccanismo, la versione prodotta, altamente biomimetica, di un assistente calibrato sui bisogni estremamente specifici dell’umanità. Come quello di sollevare, muovere, abbassare, aggiustare, ripristinare… Tutte azioni familiari, nonché affini, ad un dispositivo come la Maeda MC104C o uno dei suoi 5 fratelli maggiori, comunque assai più piccoli, maneggevoli e logisticamente versatili di qualsiasi altra soluzione pratica allo stesso problema fondamentale. Di un tipo tale da richiedere, nella maggior parte dei casi, ponderose gru a torre o quanto meno, autocarri che occupano più di una singola carreggiata. Ma la domanda fondamentale resta, così come in altre condizioni di natura simile pienamente immaginabili, in quale maniera avrebbero potuto attrezzi simili raggiungere il punto strategico nel centro esatto del cimitero di Ishinomaki? Ecco, dunque, entrare in gioco il qui presente allestimento di una cosiddetta mini spider-crane (piccola gru… Ragno). Agglomerato di tecnologia ed ingegno sulla scala che soltanto l’industria ingegneristica applicata al mondo delle costruzioni, nell’epoca contemporanea, parrebbe in grado di agevolare.
Questo tipo di attrezzatura da cantiere, entrata pienamente nell’uso comune soltanto nel corso delle ultime due decadi, rappresenta dunque la risposta all’esigenza di poter spostare o porre in alto in condizioni d’alta specificità un peso di fino a una tonnellata e mezzo (o anche il doppio nel caso dei modelli più grandi) senza dover ricorrere a complessi sistemi di argani e pulegge, per di più coadiuvati dal prezioso, e qualche volta periglioso sforzo muscolare umano. Il tutto grazie a un apparato non più largo, nella propria configurazione semovente, di 60 cm, risultando effettivamente in grado di passare all’interno di porte singole, ascensori o gli angusti diverticoli di un palazzo in corso d’edificazione. Ovvero quello che sarebbe diventato, nella stragrande maggioranza dei casi, il proprio ambiente naturale per eccellenza…

Leggi tutto