Si chiama Mariska ed è una cavalla attualmente incinta di razza frisone, che vive nella fattoria Misty Meadows in Michigan, insieme a tre suoi simili, due gatti, quattro polli e i suoi due padroni Sandy e Don Bonem. É uno di quegli animali che, per qualche motivo, sviluppano prerogative insolite, generalmente appannaggio dei soli esseri umani. Infatti Mariska apre le cose. Gira le maniglie, alza i saliscendi, rimuove i chiavistelli, spinge le porte scorrevoli con il muso, solleva i coperchi dei frigoriferi…Nulla, a conti fatti, sembra porre un limite alla sua indole smaliziata e velatamente sovversiva. Gli abitanti delle città sono abituati ad attribuire doti di furbizia e versatilità agli animali che li circondano, soprattutto cani e gatti, ma raramente si pensa alla naturale scaltrezza che caratterizza gli erbivori, come l’equino. Una creatura che nei secoli ci ha assecondato, trasportato e assistito in molteplici situazioni e che solo in epoca recente si è finalmente liberata, grazie all’invenzione dell’automobile, dei suoi compiti più umili e noiosi. I cavalli moderni, trasformati in eroici corridori, attori del cinema e persino artisti dell’evasione, forse inizieranno finalmente a mostrarci quell’intelligenza distintiva che fino ad oggi non avevamo mai notato.
Come i previdenti delfini raccontati dall’autore inglese Douglas Adams, che furono i primi a lasciare il pianeta Terra nel momento della catastrofe aliena pronunciando le famose parole: “Addio, e grazie per tutto il pesce!” Chissà che non finisca invece per trattarsi dell’avena?
Sinfonie d’asfalto: la strada canterina che conduce al monte Fuji
Chi non scala il Monte Fuji almeno una volta nella vita è uno stolto, recita la prima parte di un proverbio giapponese. Un detto che si può tranquillamente intendere in senso letterale, perché la più famosa delle tre montagne sacre è un luogo affascinante in cui natura e tradizione s’incontrano a formare panorami memorabili, del tutto unici al mondo. O forse invece, come spesso capita nei detti popolari, il significato vero va cercato nella valenza più profonda di tale concetto: si potrebbe intendere che il senso comune, l’abitudine, possano portarci solo fino a un certo punto e qualche volta ci sia il bisogno di superare se stessi, stupirsi, metterci alla prova e cambiare le regole fondamentali del nostro quotidiano. Come fece probabilmente l’ingegnere stradale Shizuo Shinoda, inventore del più lungo strumento musicale al mondo, una striscia d’asfalto costruita con accorgimenti particolari che, guidandoci sopra alla giusta velocità, riprodurrà con efficacia l’intera sequenza di un’articolata e riconoscibile melodia.
L’enorme macigno autografato della città di Guatapé
Tra le formazioni monolitiche più grandi al mondo, forse nessuna può vantare una storia più movimentata e strana di El Peñón de Guatapé, massiccia roccia granitica risalente a ben 70 milioni di anni fa. Con i suoi oltre 200 metri di altitudine, costituenti il solo 70% emerso dell’intera mastodontica pietra, nonché un peso stimato di 11 milioni di tonnellate, l’atipico rilievo costituisce indubbiamente il più importante e celebre punto di riferimento della regione di Antioquia, nella Colombia settentrionale. Gli indiani Tahami, antichi abitanti del luogo, la veneravano come divinità chiamandola mojarrá o mujará (la pietra) mentre il conquistadores spagnolo Francisco Giraldo y Jimenez, visitando la zona nel 1811, scelse di identificare la comunità locale con il termine in lingua Quechua Guatapé, ovvero Rocce e Acqua. Perché poderoso masso poggia sull’antichissimo batolito antioqueño, uno strato geologico tanto solido da riuscire a sostenerlo e al tempo stesso non del tutto permeabile, sede di un grande lago, sfruttato dall’inizio del XX secolo per la generazione di grandi quantità di energia idroelettrica. E fu proprio il desiderio di sfruttare in esclusiva la preziosa risorsa che portò nei primi del ‘900 la municipalità di Guatapé ad intraprendere un progetto bizzarro e mai portato a termine, ovvero la personalizzazione della pietra firmandola, mediante l’impiego di candide e indelebili lettere cubitali.
L’esperto calligrafo di Istanbul si mette al lavoro
L’arte della scrittura ha la capacità unica di rappresentare chiaramente il suo stesso metodo di creazione. Il processo mentale all’origine di una grafia particolare o elaborata si attiva infatti non solo nel momento psicologicamente significativo della firma in prima persona di un disegno o documento, ma anche qualora si decida di prendere attenta visione dell’opera altrui, cercando di visualizzare chiaramente i singoli passaggi necessari al suo completamento. Tutti abbiamo tenuto in mano una penna con lo scopo, almeno in determinate occasioni, di creare un qualcosa di esteticamente proporzionato e gradevole: per questo possiamo ben capire, almeno in linea di principio se non talvolta in senso pratico, come nasca e venga ultimata una qualunque opera calligrafica. Una sensazione già di per se coinvolgente e significativa, che qualora si abbia la fortuna di vedere l’artista al lavoro non può che uscirne ulteriormente rafforzata. Come nel caso di questa dimostrazione finalizzata probabilmente alla vendita, messa in atto da un artigiano di Istanbul impegnato a scrivere per un cliente del suo negozio la parola italiana cambiare, impreziosendola con il più ricco e affascinante repertorio di complesse decorazioni.