Martelli esplosivi messicani: una festa

San Juan

L’uso piú insolito per un campo da calcio é probabilmente quello che ne fanno da un centinaio di anni a San Juan de la Vega, nella regione messicana del Guanajuato, al fine di onorare l’omonimo patrono della cittá. Una volta l’anno, durante la settimana di carnevale, centinaia di persone si radunano presso l’impianto sportivo di paese e lo disseminano di resistenti lastre di metallo, per poi prenderle a martellate. L’occasione si svolge nel corso un’intera frenetica, faticosa giornata. La lunga scena di per se sarebbe giá piuttosto peculiare. A tale generica descrizione si aggiunga che: ciascuno degli interessati porta un fazzoletto sul volto, per meglio rassomigliare a un bandito indigeno del sedicesimo secolo. I martelli sono del tipo gigante che gli anglofoni chiamano sledgehammer, ovvero quelli comunemente utilizzati nei cantieri. E soprattutto, sulla testa di ciascun attrezzo c’é una generosa quantitá di esplosivo fatto in casa, a base di cloruro di potassio e zolfo. Immaginatevi come sarebbe capitare lí per caso: parrebbe di assistere a una surreale battaglia fra le persone e il suolo. Dall’esito finale, stranamente, incerto. Soltanto al dissiparsi del fumo si paleserebbe un vincitore…L’orbita terrestre, riempita di martelli sfuggiti alle mani! Il ridente paesino di San Juan, sito ad appena 20 minuti da Celaya, é famoso per un mercato caratteristico, detto El Jardin, presso cui gli abitanti mettono in vendita oggetti d’artigianato e i prodotti genuini dei loro ricercatissimi campi. Piú di un turista americano, durante un viaggio verso sud, classica occasione di sfogo e divertimenti da far seguire alle fatiche di una laurea, passando da queste parti é rimasto colpito dai loro piatti a base di jicama, la patata piú famosa del Messico, che vengono spesso preparati all’interno delle haciendas locali, ormai perfetta versione latino-americana degli agriturismi europei. Quattrocento anni fá, tuttavia, i rapporti internazionali tra queste regioni e il cosiddetto uomo bianco erano, indubbiamente, di tutt’altra natura. Schiacciati sotto il peso del colonialismo spagnolo, gli appartenenti alle etnie chichimeca jonaz ed otomi, fieri discendenti degli antichi imperi mesoamericani, si erano ritrovati l’ingranaggio di un’industria agricola fondata sullo sfruttamento. Trascorrevano i giorni cogliendo il grano, sotto il cocente sole delle stancanti latitudini tropicali. Ogni domenica si recavano in chiesa, per venerare un dio straniero. E la notte… “Z”

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L’esperimento del vetro che scoppia all’improvviso

RupertsDrop0

Una goccia, uno spermatozoo trasparente, un girino o un lucente pezzettino. Vetro, fuso dal calore di una fiamma intensa, che cade rumorosamente nell’acqua, diventando così duro da resistere ai colpi di un martello: la chiamano lacrima del Principe Rupert di Baviera, esiste da quasi 400 anni e anche se non serve praticamente a nulla, costituisce una dimostrazione degna di nota, punto di passaggio verso l’acquisizione del moderno metodo sperimentale. Tonda e splendida, pare invulnerabile, finché qualcuno non gli stringe delicatamente la coda. A quel punto esplode, proiettando le sue schegge con una forza di 3000 metri al secondo (Mach 3). Potenzialmente pericolosa eppure ideale per fare degli scherzi, almeno a sentire alcuni resoconti dell’epoca. La vendevano, incredibilmente, come giocattolo per bambini. Chi l’ha resa popolare, del resto, non andava certo per il sottile. Rupert, il figlio più giovane dell’elettore del palatinato Federico V e di Elisabetta Stuart, regina di Boemia, aveva passato la vita fra i campi di battaglia e le flotte in guerra, prima di dedicarsi, negli ultimi anni che gli restavano, alla ricerca di una suprema verità. Riesce facile immaginarlo giovane comandante di cavalleria, durante la guerra civile inglese del 1642, mentre prima di un grave scontro ripassava in tenda il suo autore preferito, Sir Francis Bacon. Fra le sue mani, una copia stampata de La Nuova Atlantide, il romanzo utopistico che conteneva questo significativo brano: “Fine della nostra istituzione è la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo.” Così parlava, in quel celebre testo, il rettore dell’università di Re Salomone, descrivendone le caratteristiche al gruppo di visitatori basìti che vi erano approdati per sbaglio, mentre cercavano le coste del Perù. E questo diventó, anni dopo, anche il credo della Royal Society of London, la più antica organizzazione scientifica in funzione ancora ai giorni nostri. Venne fondata nel 1660, da un ideale gruppo delle più straordinarie menti al servizio del primo sovrano d’Inghilterra dopo la restaurazione, Carlo II. Fra queste, inevitabilmente, figurava l’ormai vecchio condottiero, ex-ammiraglio, poi esule in Germania, bucaniere nei Caraibi e per qualche tempo anche governatore coloniale. Stanco e un po’ provato, trovò il suo sfogo nella scienza e nelle arti, guadagnandosi l’insigne titolo di “guerriero filosofico”. Era il prototipo dell’Alchimista di Stato….

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L’eloquente cozzare del maglio austriaco

Maglio

Fra tutti gli attrezzi di una forgia il più poderoso, impressionante e sonoramente significativo è senz’altro il maglio. Battere il ferro, dargli una forma, è un compito che può affrontarsi con diverse pretese d’efficienza. Ai primi fabbri di ciascuna civiltà, emersi dalle pagine della storia per mettere insieme aratri e strumenti agricoli di vario tipo, bastavano i muscoli, gli attrezzi manuali e un sapiente impiego del più valido fra i diversi elementi: la fiamma di Prometeo. C’era però, sempre e comunque, un limite oltre cui non era possibile andare. All’inevitabile e ripetuto scoppio di una guerra, quando il filo tagliente di un’arma poteva trasformarsi nel tesoro di un regno, e ancor di più successivamente, fra i colpi fragorosi degli archibugi e dei cannoni d’artiglieria, coloro che avevano il compito di armare i soldati dovettero sempre più spesso affrontare un gran dilemma. Quello di come ottimizzare, oltre ogni limite del possibile, la loro produttività giornaliera. Così, dopo tutto, nacque una buona parte dell’attuale tecnologia; per un bisogno di sopravvivere all’umana avidità guerriera. E chi avesse bisogno di materiali testimonianze, oltre all’odierna continuativa evidenza, può prendere atto di questi mostruosi macchinari. Ce ne sono due, dentro l’officina di Sepp Eybl, fabbro e scultore della cittadina di Ybbsitz, in Austria. Le squillanti voci dei suoi martelli automatici bastano a trasportarci, con la mente, ad epoche o mondi lontani, non dissimili da quelli mostrati nelle scene d’apertura del film Lo Hobbit, ispirato, per il tramite di J.R.R. Tolkien, alle saghe nordiche e ad altre atmosfere più moderne, musicalmente e visualmente wagneriane. Il video è stato ripreso e pubblicato da Kim Thomas di ThomasIronworks, un canale dedicato alla lavorazione dei metalli, in ogni forma e paese del mondo.

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Come correvano i cannoni d’Inghilterra

Royal Field Gun Race

Il concetto della competizione sportiva come una fonte di pura soddisfazione intellettuale è un’invenzione piuttosto recente, che nasce dalle garanzie di un mondo benestante, industriale e moderno. Persino adesso, sui campi delle Olimpiadi estive e invernali, si respira un’aria tutt’altro che pacifica, con frecce volanti, fucili squillanti, giavellotti spiraleggianti ed altri implementi similari, che soltanto in tempi molto recenti hanno perso una buona parte delle loro connotazioni naturalmente guerrafondaie e deleterie, surclassati da nuove, più letali tecnologie. C’è però la tradizione secolare di uno sport praticato unicamente dalla Royal Navy, la marina militare inglese, in cui la preparazione atletica dei partecipanti trova la sua applicazione in un contesto ancor più strettamente legato alle guerre di oggi, proprio perché nato negli anni turbolenti di un’epoca, e una sfortunata regione geografica, che ancora risuona dell’eco dei colpi dell’artiglieria. Praticamente, quelli erano gli stessi cannoni che qui rivediamo, in un video del 1997, trasportati a spalla da due gruppi di soldati, nel tentativo di guadagnarsi l’ambìto premio di un modellino in bronzo, commemorazione di una delle battaglie più famose della storia britannica moderna. La statuetta in questione rappresentava una squadra di marinai al momento dello sbarco dalle navi HMS (Her Majesty’s Service) Terrible e Powerful sulle coste del Sudafrica, a 1500 Km circa da Città del Capo, nel 1899. Furono loro che, seguendo un ordine quasi impossibile dell’allora capitano Percy Scott, smontarono 6 potenti cannoni navali per portarli lungo un tragitto accidentato, oltre aspre colline e fin sulle mura di una città assediata. E salvarono la situazione.
L’episodio si svolse a Ladysmith, un importante centro abitato sito fra le due Repubbliche Indipendenti Boere, fondate dai pionieri e dagli agricoltori, detti afrikaner, che si erano imbarcati per cercare fortuna all’altro capo del mondo. Come ogni altro luogo remoto di quel particolare frangente storico, però, apparteneva, almeno in teoria, anche ad un’altra giurisdizione: quella dello sconfinato impero della regina Vittoria d’Inghilterra, fondato sulla certezza di uno stato di diritto imprescindibile e assoluto. La cui marina era talmente forte da poter cancellare il detto “Tra il dire e il fare…” Tranne che in un caso: quando in mezzo alle due cose, come a volte inevitabilmente capita, non c’era il mare, ma il suolo.

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