Puma che cattura un bradipo arrampicatore

Sloth Puma

Sorge l’alba, come il Sole, sopra gli alberi delle giungle mesoamericane.  A salutare l’astro, dall’intreccio di quei rami aggrovigliati, una creatura silenziosa. Il bradipo tridattilo, Bradypodidae, non emette versi. E nemmeno lo possiede, guarda caso, un verso definito. Muovendosi a ritmo di generazioni imponderabili, egli può trovarsi una mattina con la testa in alto oppure in basso, anche di lato. Ciò non turba la sua placida tranquillità. È un’arma evolutiva ben precisa, questa propensione, finalizzata alla conquista del totale mimetismo: sono infatti innumerevoli, i predatori del suo ambiente ultra-vitale. Ma tra questi, molto pochi quelli che si affannano per catturarlo. Con degli ottimi motivi. Tanto per cominciare, la paciosa bestia vive in alto, saldamente avviluppata ai muschiosi fusti delle piante più svettanti e inaccessibili, oltre il regno dei primati e delle protoscimmie. Dove soltanto gli uccelli, normalmente, posano le loro zampe. Oppur talvolta, chi ha un senso particolarmente atletico dell’ora di cena, ovvero il Puma concolor, principale felino del Cile, dell’Argentina, della Bolivia e del Paraguay. Benché geograficamente, in questo specifico caso, dove siamo non è chiaro.
Però nel presente video, pubblicato su YouTube presso il canale di Anar Abbasov, si assiste alle gesta che può compiere il signore della foresta (pluviale) se ha una fame pari al ritmo delle sue giornate. Sincopate, frenetiche, alla continua caccia di qualcosa; proprio come dovrebbe essere, secondo prassi naturale, il quotidiano vivere di un cosiddetto apex predator, il super-predatore. Ovvero la belva principale del suo ambiente, posta sulla cima dell’imprescindibile catena alimentare. Che divora, lui/lei soltanto, senza mai finire nella pancia o tra le fauci di nessuno. Un tipo di essere, questo, tra i maggiormente celebrati nell’immaginario umano. Perché forte, furbo, rapido, spietato. In grado di irrompere oltre le dighe, considerate invalicabili, dei primordiali presupposti. Quanti, anni, secoli o millenni, sono passati prima che il proto-bradipo salisse in cima a un albero? Scoprendo gradualmente, ad un livello inconscio, che questo era il metodo per garantirsi una continuativa discendenza. Almeno, statisticamente.
Ma un conto sono i grandi numeri, un altro i casi del momento. Fu così questo scaltro felino, tanto premurosamente definito dal commentatore con l’appellativo: Khan (ah, la spettacolarizzazione di una simile disavventura!) Vince una battaglia veramente rara. All’angolo opposto, metaforicamente parlando, di questa povera “Luana”. Senza neanche una liana a cui aggrapparsi! L’equivalente, nel terribile, fin troppo reale caso, di Beep Bepp l’uccello corridore, Titty il canarino e così via…Allo stesso modo in cui le fiabe preparavano i ragazzi alla morale degli adulti di una volta, fino a poco tempo fa c’era il cartoon. Oggi, invece, abbiamo la nuova documentaristica d’impianto emozionale. Utile, per il modo in cui permette di comprendere alcuni cupi presupposti del pianeta in cui viviamo. Però triste nel mostrarli in questo modo: quando un grosso gatto, facendosi le unghie, può andare sempre un po’ più in alto. Fino a che…

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La tortura del guanto di formiche brasiliane

Formica proiettile
L’ultimo video promozionale di Hamish & Andy, viaggiatori della tv australiana, dimostra chiaramente l’effetto del “dolore più intenso noto all’uomo”

Immaginate, se volete. Di avere a pochi metri da casa vostra, sotto l’albero di pere, un intero nido di imenotteri simili a questiil cui pungiglione ospita, in qualche maniera inimmaginabile, il principio stesso della polvere da sparo. O almeno così vorrebbero dare ad intenderci, visto come le chiamano per analogia, in ambienti un po’ troppo civilizzati: formiche proiettile. Ipotizzate, dunque, di vedere tali insetti tutti i giorni della vostra vita, fin da piccoli, con sincero e imprescindibile terrore. E di evitarle ancora, ormai cresciuti, nel tragitto verso l’università e il lavoro. Da persone adulte, infine, fantasticate di scrutarle con rabbia, dietro finestrini chiusi molto saldamente, accompagnando i vostri figli a scuola con la macchina. Anch’essi spaventati, esattamente quanto voi, i vostri genitori e i vostri nonni e… Ad un certo punto, che fareste? Non le mettereste tutte dentro a un tubo di bambù? Non le addormentereste attentamente con il succo verde della pianta dell’anacardio, per poi incastrarle, una ad una, nella tessitura fitta e salda di una coppia di guanti da forno fatti con il vimini (che strano)? Naturalmente, avendo cura che il pungiglione sia rivolto verso l’interno! Per poi darglieli in regalo al vostro figliolo, nel dì allegro di una festa lungamente attesa…
Non ci sono parole per descrivere il dolore assoluto. Tanto che in campo medico, come ausilio alla diagnosi, si chiede al paziente di assegnargli una cifra indicativa, normalmente variabile tra l’uno e il dieci. Dove alla base della scala c’è un leggero fastidio, mentre all’apice, teoricamente, la via diretta verso una generosa dose di morfina o altra sostanza, possibilmente altrettanto valida nell’ottenere una pace torpida e immediata. Sarebbe questo il caso di chi sanguina copiosamente, per l’effetto di un attacco portato avanti con le terribili armi da fuoco, tormento della nostra civiltà. O che piuttosto langue, senza danni visibili o vere conseguenze, a seguito del morso di anche una singola formica tocandira. Gemendo per 24 ore, tra lenzuola altrettanto umide di cupa sofferenza…È soprattutto nell’attimo di passaggio tra la notte e il giorno che si sperimentano visioni mistiche particolari: ancora intorpiditi dalle lunghe ore di sonno, i neuroni umani a reagire bruscamente. Si risvegliano di scatto e all’improvviso, il campo elettrico cerebrale s’interseca e contorce, creando l’immagine di noi stessi, oltre i limiti del mondo. Diversi. L’eccessiva lucidità, per quanto apparentemente desiderabile, costituisce un’arma a doppio taglio. L’essere umano, sperduto nel vuoto cosmico dimenticato, si trasforma. Uno sciamano sperimenta la presenza del grande spirito. Altri coraggiosi, parlano coi morti. Ivi albergano mostri, santi e figure leggendarie. Per la maggior parte della gente, invece, c’è solo un astratto senso di totale smarrimento. Perché quel periodo sublime è  in realtà frutto di una transitoria e piccola morte, l’annientamento della consueta ragionevolezza, frettolosamente ricreata, mille volte in quel fatidico secondo. Uno scalino obbligatorio, che sa di lunga eternità. Finché ad un tratto, per fortuna, la mente viene tratta in salvo, dal martellante suono della sveglia o della pura volontà. Il fatto che ciò avvenga in qualche misura tutti i giorni, per l’effetto del comune addormentarsi, è una grande fortuna dell’uomo moderno e sano di mente, che fugge dal dolore come cosa totalmente inutile o persino deleteria. Un’opinione, questa, del tutto arbitraria e condizionata dalle circostanze. Di chi vive troppo lontano dalla tocandira, che condensa mille notti, come questa, in una sola indenticabile esperienza.
Gli “indiani” Sateré-Mawé della Foresta Amazzonica, popolo di guerrieri e cacciatori, conservano gelosamente l’usanza di un rito d’iniziazione impressionante. Che consiste nel sottoporre i propri giovani a un supplizio reiterato: la terribile, indescrivibile tortura del guanto saaripé. C’è molta tecnica ed arte nella sua preparazione…

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Auto di razza e branchi radiocomandati

Dogs RC car

Snoopy, Australia 2014: per sempre in fuga dal branco ululante, l’automobile 1:16 continua la sua corsa. Sarà sufficiente la durata della batteria? Riusciranno le svelte dita del padrone a comandarla verso la salvezza? Cosa sono, in fondo, qualche centinaio di dollari, rispetto alla soddisfazione di svagare quasi dieci cani tutti assieme… È una scena spettacolare, un po’ ridicola e altrettanto memorabile, quella gentilmente pubblicata da red crawler, che si autodefinisce come “Appassionato di Beagles, Dashcams & random other things” [un po’ di tutto, insomma]. Delle quali cose, qui ne vediamo almeno due: la razza, per massima eccellenza, dei cani da caccia di taglia media e la telecamerina usata per riprendere la scena, assai probabilmente una GoPro, dalla frequenza di aggiornamento e risoluzione veramente eccelse. Per fortuna, direi! Vista la rapidità dei molti protagonisti, così piccoli rispetto al campo largo dell’inquadratura, tanto svicolanti, zigzaganti, svelti grazie all’ìmpeto supremo dell’inseguimento. La regina Elisabetta I Tudor era non a caso nota, fin dalla sua salita sul trono d’Inghilterra (1558) per la sua predilezione verso questi cani alti all’incirca 30 cm, ben presto introdotti, per osmosi, verso le altre principali corti dell’Europa Rinascimentale; dove si guadagnarono la propria fama d’eccellenza, proprio in virtù dell’abilità dimostrata nell’inseguire e catturare lepri, volpi, fagiani sfortunati. Destinati ad essere la preda di quei piccoli e vivaci denti, prima di finire in pentola o alla brace. Un epilogo, questo, particolarmente improprio nel presente caso, di una tale bestia artificiale, fatta in plastica, metallo e altre sostanze niente affatto salutari. Anche troppo prevedibile sarebbe il caso sfortunato di un cappottamento, l’urto di un ostacolo imprevisto, preambolo dell’arrembaggio ringhiante e scriteriato. Forse, constatata l’assenza di piume o di un odore oltre a quello del padrone, i saggi bracchetti lascerebbero fuggire via la vittima designata. I cani sono noti per la loro ragionevolezza, giusto?
Poco importa, dinnanzi ad un simile divertimento in cooperativa, tra l’uomo e i suoi compagni a quattro zampe. Perché si tratta, per usare un termine ludico moderno, della perfetta interazione asimmetrica, Sacro Graal del media digitale. Il pilota, usando la sveltezza di mano ed il cervello, che si applica con le sue dita sul telecomando, l’approssimazione dei pedali col volante. Il suo strumento principale è l’empatia: risulta fin troppo facile, nonché appassionante, immaginarsi al posto di guida dell’oggetto usato per segnare il ritmo della danza, quella costosa quanto desiderabile automobilina. Nel frattempo, i cani fanno quello che gli riesce meglio. L’obiettivo diventa… Dare seguito agli istinti atavici, oltre i confini del parco e del momento. C’è un senso del dovere in tale operatività canina. Che da un senso pregno alla battaglia del presente!

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La pesca miracolosa dei piranha

Piranha Girl

È chiaramente molto furba la ragazza sudamericana, dotata di un singolo trancio di carne un po’ malmessa, che riesca a trarne un tale ricco e portentoso nutrimento. E abboccano i bocconi, l’uno dopo l’altro, neanche lei gli avesse offerto del prosciutto prelibato. Non uno, né due pesci, ma un’intera bacinella quasi straripante, così trasformata nella pentola di un’esultante festa di paese. Vociano i bambini: dopo quella mattinata, sarà ricca la padella di un gustoso pomeriggio di..Fritture? Era forse la sagra del piranha, lungo il corso del Rio delle Amazzoni o dell’Orinoco? Chi può dirlo. Possiamo soltanto assistere al rastrellamento, basiti. Certamente, non piccati. Giacché l’immagine di questo pesce prognato e vagamente rosseggiante, lungi dall’essere tenuta in alta considerazione dagli animalisti, evoca le persuasioni di una terribile voracità. Tutti temono e detestano quel demone minuto, forse anche maggiormente che lo squalo, o il barracuda. Esiste una vecchia tradizione brasiliana, ormai desueta, secondo la quale per ciascuna mandria di bestiame andava sempre designato un capo particolarmente debole, vecchio e sacrificabile, detto il “Boi de piranha”. Al momento di attraversare un corso d’acqua, dunque, si sarebbe uccisa la povera bestia, per poi gettarla tra gli affioramenti d’alghe, come un richiamo irresistibile da sgranocchiare. Ben sperando che la sua carne tenera bastasse, anche quella volta, per saziare le furie sommerse con le pinne e i denti acuminati. Solo così, si diceva, ci si sarebbe garantiti un passaggio sicuro per il resto degli armenti o i propri familiari. A tal punto si temeva il concetto di un tale pesce invisibile e sempre in agguato, che esso era diventato come un dio del fiume, da placare con offerte o preghiere degne della sua famelica maestà.
Il piranha comune, appartenente al genere dei Pygocentrus, misura tra i 15 e i 25 cm. Quelli catturati dalla ragazza, visto l’evidente quanto riconoscibile ventre rosso, erano assai probabilmente della specie P. Nattereri, diffusa praticamente in tutto il Sudamerica. Questi pesci sono noti per la maniera caratteristica in cui fanno la guardia alle proprie uova, assicurate saldamente ai fusti delle piante acquatiche in affioramento. Il maschio e la femmina pattugliano i dintorni in coppia, tenendosi strettamente a contatto, con le schiene rivolte verso l’esterno. In questo modo nessun predatore  in cerca di uno spuntino potrà sfuggire ai loro attenti sguardi. Chissà quante amabili famigliole saranno andate distrutte, per un piccolo piacere transitorio!

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