Decolla come un fulmine ma pesa 40 tonnellate

JATO

Quando i vichinghi assaltavano le coste della Britannia o della Normandia, tutto l’equipaggio doveva immergersi nella furia della battaglia. Il timoniere sbarcava con gli altri impugnando un pesante scudo e persino il cuoco di bordo affilava le asce e seguiva il suo comandante nel mezzo delle fila nemiche. Giunto il momento della verità, nessuno aveva più un ruolo esclusivo e tutti contribuivano allo scontro. Così è, ancora oggi, per i Blue Angels, la squadriglia acrobatica della marina degli Stati Uniti seguita assiduamente da più di 13 milioni di persone, notevole soprattutto per la maestria dimostrata nell’impiego dei cacciabombardieri F/A-18 Hornet, con cui realizzano coreografici voli in formazione di 6 elementi. E celebri, anche, per il loro variopinto aereo da trasporto, un colossale C-130 Hercules detto Fat Albert, il quale piuttosto che limitarsi a fare da taxi volante per le apparecchiature e gli uomini partecipa anche lui, da protagonista, a ciascuno degli eventi in calendario. Decollando praticamente in verticale, nonostante le sue 35 tonnellate di peso (a vuoto) grazie all’impiego di un’originale serie di razzi ausiliari monouso, i cosiddetti JATO, concepiti per l’impiego in situazioni difficili, con piste troppo corte o carichi eccessivi a bordo. Originariamente, durante la guerra, venivano talvolta montati sugli alianti, per catapultarli subito in cielo senza l’impiego di un velivolo da rimorchio. Nel mondo di oggi tale tecnologia trova uno scopo decisamente più meritevole, quello di far sognare gli spettatori. Superando i limiti della fisica apparente nell’equivalente moderno di una drakkar scandinava, soavemente lanciata tra i mari celesti.

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Lo sport russo delle battaglie medievali

Modern Knights

Tula è una città che si trova a 193 Km a sud di Mosca, famosa per la sua appartenenza alla Zasechnaya chertala linea fortificata che il granducato di Moscovia aveva costruito nel XVI secolo, come misura contro le invasioni dei Tatari di Crimea. Nel 1607, conquistata dal ribelle Ivan Bolotnikov, divenne un bastione imprendibile persino per le armate dello zar, che dovettero assediarla per quattro lunghi mesi. Oggi, nell’epoca del razionalismo scientifico e del mondo digitale, custodisce nuovamente un suo patrimonio unico e prezioso, impervio a qualsiasi presunto detrattore o improprio mutamento: il primato delle battaglie in costume. Ogni anno, a settembre, squadre di coraggiosi provenienti da ogni parte dell’ex Unione Sovietica indossano pesanti armature, elmi splendenti e impugnano scudi variopinti, per competere nell’evento prestigioso delle Battaglie di Tula, un grande torneo in cui la Storia rivive al suono dei poderosi colpi delle loro spade, asce ed alabarde. Non sempre l’archeologia sperimentale è una disciplina sedentaria, adatta unicamente ai professori universitari e agli studiosi con il pallino della manualità; talvolta, coloro che accettano i rischi di calarsi a pieno nel personaggio potranno tornare a casa con l’esperienza di un’epoca lontana. E, almeno in questo caso, con qualche inevitabile taglio e contusione. Cos’è in fondo un cerotto, di fronte ai secoli di sanguinari conflitti dell’epoca Medievale?

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La danza balinese delle scimmie in guerra

Baraka

Tutti conoscono la storia di Elena e del suo fatale rapimento, dovuto all’impaziente bramosia del principe Paride, colui che di nascosto la portò con se a Troia. Il suo gesto sconsiderato, dovuto in parte alle manipolazioni della dea Afrodite, portò grandi sventure e tremendi lutti a due fra i più importanti popoli del mondo antico. Eppure questa non fu la sola volta, né la prima, in cui un’intera guerra venne combattuta per l’amore di una donna. Nel corpus mitologico di un paese lontano si narra infatti di una battaglia epocale, la cui portata impressionante giunse a mettere a rischio l’esistenza stessa del pianeta, combattuta da due possenti semi-dei per il diritto di conquistare la personificazione terrena della dea Lakshmi, signora di tutto ciò che è bello e fortunato. Il nome di questa splendida fanciulla era Sita, e delle sue vicissitudini trattano i due più importanti poemi epici indiani: il Ramayana e il Mahabharata. Il momento culminante di tale appassionante vicenda rivive nello spettacolare rito del Kecak, la danza balinese delle scimmie in guerra. L’ammirazione di alcuni movimenti occidentali per le ritualità e l’estetica dell’Induismo, religone strettamente legata alla meditazione e all’apertura intellettuale, talvolta induce a tralasciare i suoi aspetti più conflittuali ed esuberanti. Proprio questi potrebbero invece, a mio parere, offrire una chiave di lettura estremamente affascinante per comprendere quei popoli che la vivono in prima persona. Approfondendo le origini di questa danza sciamanica dell’Indonesia, adattamento di un’antico rito segreto, s’intuisce la presenza di un filo conduttore che fa parte, ora più che mai, del subconscio collettivo e dell’arte popolare della società moderna. Scopriamolo insieme.

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Oasi ghiacciate: in cerca della mistica polynya

Nathaniel Icebreaker

Si dice che siamo nati troppo presto per esplorare il cosmo e troppo tardi per la Terra. Le navi circumnavigano il globo in pochi giorni, così come i satelliti lo sovrastano, fotografando i luoghi più impervi, rendendo obsoleti i secoli di mappe tracciate grazie all’abilità e al lavoro scrupoloso di numerosi capitani.  Sir James Clark Ross, spedizioniere della Royal Navy inglese, è stato certamente uno dei più celebri e importanti. La sua avventurosa ricerca del Polo Sud magnetico, mito geografico dei suoi tempi, lo portò nel 1841 in mezzo al mare gelido che oggi porta il suo nome, dove restò bloccato per settimane a causa del ghiaccio troppo spesso. Il 22 gennaio, districatosi faticosamente dall’impasse, venne ripagato mille volte: dinnanzi a lui e al suo equipaggio, infatti, si stagliò d’improvviso la montagna cosiddetta del terrore, Erebus, un colossale vulcano, che lui ribattezzò a partire dall’omonima divinità della Grecia antica, un oscuro figlio del Caos e della Notte. L’autorevole esploratore non poteva immaginare allora che quel luogo, sede di uno dei pochi laghi di lava mai visti da occhio umano, sarebbe diventato il punto di partenza per tutti coloro che lo avrebbero seguito nella difficile esplorazione del circolo polare Antartico. E nemmeno sapeva della sua più incredibile controparte e conseguenza, una sorta di Eden che, secondo alcune teorie mai dimostrate, potrebbe racchiudere la via di accesso alle forme di vita di secoli e millenni di anni fà, la grande polynya del Polo Sud. Un’oasi in grado di ospitare vegetazione rigogliosa ed esseri viventi sconosciuti, proprio nel mezzo di uno dei luoghi più freddi e inospitali del pianeta. Persino oggi, nonostante le tecnologie moderne, poche navi possono dirsi davvero in grado di trovarla: una di esse è la Nathaniel B. Palmer, vascello rompighiaccio. In questo video della giovane scienziata Cassandra Brooks, parte del suo equipaggio, c’è il completo racconto del suo viaggio più recente, conclusosi proprio in questi giorni.

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