La Tartaruga d’Oro sul confine costruita per proteggere l’Impero dei Ming

Ai margini del deserto del Gobi, dove la strada sembra perdersi all’orizzonte tra le distanti montagne un tempo note come Da Song e Xiao Song, esiste un campo di battaglia plurisecolare, utilizzato ripetutamente per provare la preparazione dei soldati al servizio del Celeste Impero di fronte alla possente ed implacabile volontà dei propri principali oppositori. Qui dove la strada compie un’ansa in prossimità di un’oasi un tempo rigogliosa, sorgono le mura di un insediamento fortificato, con quattro porte grossomodo corrispondenti all’orientamento dei punti cardinali. All’insaputa per quanto possiamo immaginare del suo stesso costruttore per mandato supremo, il generale Li Wen (1535-1609) la forma di questa fortezza presentava una particolare configurazione che potremmo definire alquanto significativa. Poiché osservata dall’altezza di un pallone aerostatico, un drone telecomandato o un moderno elicottero, non soltanto il contorno ma lo stesso intreccio reticolare delle strade situate all’interno, avvicinano notevolmente la pianta di Yongtai all’aspetto del più diffuso rettile quadrupede, con la sua corazza impenetrabile alle zanne dei suoi nemici. Una sorta di analogia del tutto accidentale, se vogliamo, tra l’opera dell’uomo e l’intento evolutivo della natura…
Nel susseguirsi delle dinastie al potere nel vasto Regno di Mezzo, le cui onde circolari propagatisi nell’acqua delle civiltà erano state capaci di estendersi attraverso i secoli fino ai distanti paesi d’Europa, si era ripetuto più volte uno schema ormai piuttosto familiare: successivamente al collasso del potere costituito, un periodo di disordini civili e caos, seguìto dall’emersione di una serie di fazioni in guerra. Il predominio della più forte di queste, grazie all’opera di una figura carismatica dalla notevole competenza politica, strategica e carisma significativo. E dopo un certo numero di generazioni, assai variabili nella durata, l’accumulo degli errori pregressi, l’aggravio della burocrazia amministrativa e l’aumento dei dissidenti, possibilmente accompagnato da disastri naturali di variabile entità. Fino alla disgregazione delle strutture sociali, e il rinnovato verificarsi di un periodo di transizione del tutto paragonabile a quello della volta precedente. Al volgere dell’anno 1368, tuttavia, lo svolgimento del copione presentava un’importante differenza: a scomparire, in maniera precedentemente insospettata ed assai repentina, era la secolare discendenza degli Yuan, imperatori il cui potere era stato guadagnato con le armi e dall’identità etnica e culturale straniera, in quanto provenienti dai paesi settentrionali sotto l’egida dell’impero Mongolo fondato dal grande Khan. Quando il monaco squattrinato Zhu Yuanzhang, raggiunto l’apice delle proprie manovre, assunse dunque il potere supremo nella fazione di ribelli dei Turbanti Rossi e conquistò la capitale Dadu, ribattezzandola col nome oggi famoso di Beijing (Pechino) il sentimento serpeggiante tra la popolazione era quello esaltante di una liberazione lungamente attesa, accompagnato dal desiderio che nulla di seguito, da quel momento in poi, potesse verificarsi un’altra volta. Così mettendo all’opera le significative masse demografiche al suo comando, il nuovo sovrano con il nome auto-attribuitosi di Hongwu (Grande Guerriero) fece subito riparare la Grande Muraglia, fortificò Nanchino e pose le basi di quella che sarebbe stato il notevole impegno per la difesa da parte della neonata dinastia dei Ming. Così che ancora due secoli e mezzo dopo, durante il regno del sovrano illuminato Wanli (in carica: 1572-1620) il quale accolse tra gli altri il nostro padre Matteo Ricci come primo tra gli ambasciatori provenienti dal remoto Occidente, la creazione di fortezze inespugnabili era un’importante priorità nell’organizzazione di quei territori. Particolarmente nella regione immediatamente a meridione, rispetto al lungo nastro ininterrotto della Muraglia…

Leggi tutto

Il ponte che serpeggia in mezzo alla risaia per condurre chi lo visita alla buddhità finale

L’utilizzo del bambù come materiale da costruzione, un’approccio che appartiene in modo tipico all’Oriente, è un metodo efficace per coniugare utilità ed estetica, durevolezza e funzionalità. Mantenendo nel contempo l’apprezzabile impressione che, tra i diversi tipi d’infrastruttura, ciò che appare in questa guisa costituisca una celebrazione trasversale di tutto quello che può essere la naturale persistenza delle cose. Anche quando interpretata, integrata e collocata nelle logiche dell’umana convivenza, sulla scala progressiva dei giorni; vedi un tempio in mezzo alla campagna e il suo sentiero lungo 800 metri e sopraelevato di 1 soltanto, nella regione thailandese di Mae Hong Son, non troppo lontano dal villaggio “caratteristico” di Pai. Vedi, in altri termini, l’alta pagoda principale del Wat Tham Poo Sa Ma (alias Dharma Phusama Park) oltre una distesa verdeggiante che è parte inscindibile di quell’irripetibile paesaggio rurale. E cosa c’è di meglio per i monaci, almeno in linea di principio, che attraversare tali campi per spostarsi tra il mondo di Buddha e quello appartenente all’uomo, per fare compere, raccogliere l’elemosina o mescolarsi temporaneamente al flusso numeroso dei turisti locali? Se non che questo particolare luogo, situato non troppo lontano dal confine col Myanmar, presenta una caratteristica che definisce in senso rilevante le particolari preferenze gastronomiche locali: per il riso, sempre riso, in pratica soltanto riso a profusione. E chiunque abbia mai avuto l’occasione d’immergersi fino ai polpacci nello strato d’acqua dove cresce tale nobile coltivazione, ben conosce le fondamentali problematiche che ne derivano; non ultima la dolorosa tendenza, largamente nota, a scivolare. Dal che l’idea risalente al 2016 del Maestro Sakorn Jaruthammo, direttore del gruppo dei monaci Kaikiri, di coinvolgere la popolazione locale nella costruzione di quella che potremmo essenzialmente definire come una lunghissima passerella, subito ribattezzata Boon Ko Ku So, ovvero il “Ponte di un magnifico avvenire”. Senz’ombra di dubbio degno di essere elencato nel Guinness dei Primati sotto diverse categorie soprattutto in connessione al materiale, se soltanto qualcuno pensasse di chiamare in questo luogo i giudici della prestigiosa istituzione internazionale. Mentre nel frattempo, il surreale ponte assolve senza drammi ed alcun tipo di problema d’usura la funzione per cui era stato costruito, assieme a un’altra che in origine, probabilmente, non moltissimi si sarebbero aspettati: agire come una sorta d’insolita attrazione turistica, ove recarsi nella caccia imprescindibile dell’ennesima inquadratura degna d’Instagram o altri equivalenti lidi digitali. Un’opportunità sfruttata almeno a partire dagli ultimi anni, con l’istituzione di una biglietteria per permettere l’accesso al ponte ai non abitanti locali soltanto previo il pagamento di una piccola somma di 20 baht, pari a 0,55 euro. Senz’altro un prezzo accessibile da conferire, per poter incorporare un tragitto tanto distintivo all’interno del proprio itinerario, mentre si conoscono una per una le notevoli attrazioni e luoghi significativi della regione di Mae Hong Son…

Leggi tutto

Domande da luna park: in che modo frenano le torri a caduta libera? E cosa può andare storto?

L’idea che la durata del divertimento debba essere direttamente proporzionale al tempo d’attesa per accedervi è sostanzialmente messa in dubbio dall’esperimento sociale collettivo dei luna park. Luoghi dove la gente si mette in fila, per potersi mettere in fila, aspettando il proprio turno al fine di pagare, ancora e ancora, con il solo fine di sperimentare pochi attimi di esaltazione del cervello rettile che dice: “Cadi! Cadi! Morirai!” Ed è ancor più sorprendente come nel momento stesso in cui ciò sta per verificarsi, debba essere l’angustia stessa di non sapere quanto ci vorrà prima che la gravità terrestre possa prenderci nella sua morsa, a costituire una parte imprescindibile dell’esperienza. Prendete per esempio l’attrazione moderna spesso identificata con il termine in lingua inglese di drop tower (letteralmente: “torre di caduta”) un infernale strumento inventato per tutti quei casi in cui l’impronta strutturale di un’intera montagna russa molto semplicemente non potrebbe trovare collocazione nel piano regolatore del parco giochi, sublimandone l’esperienza fondamentale in due soli gesti consequenziali l’uno all’altro: salire, scendere. O forse sarebbe meglio identificarne un terzo: il tempo prolungato ad infinitum della sosta sulla sommità distante, mentre i piedi scalciano nervosamente all’indirizzo delle plurime formiche sottostanti. Per non chiamarle con il loro vero nome di… Formiche? In taluni esempi quell’attesa, d’altra parte, viene veicolata e messa a frutto dalla coreografia stessa dell’attrazione, un metodo perfettamente rappresentato dai 120 metri del Lex Luthor Drop of Doom di Valencia (California) in cui un discorso minaccioso con la voce registrata del cattivo di Superman ha il compito di far entrare nella parte il pubblico seduto nella scomoda elevata circostanza. Prima che l’attesa termini, e la terra torni più vicina in un singolo battito di ciglio. Ma poiché come afferma un saggio proverbio, non è la caduta a ucciderti bensì l’impatto con il suolo, il fato delle sconvolte vittime è spesso quello di pagare il costo del biglietto per sperimentare nuovamente quei pochi secondi di esaltazione. Dopo tutto, nei ricordi, la ricompensa supera il più delle volte il significativo investimento trascorso nella serpeggiante macchina per la processazione dei clienti.
Attendere vuol dire, d’altra parte, avere il tempo per pensare. E non è insolito che interi gruppi dei partecipanti al grande gioco, non potendo fare altro che osservare gli altri, inizino ad interrogarsi sul funzionamento e la natura della torre antistante. Che cosa l’alimenta, quanto spesso viene ispezionata, come fa a salire, a scendere e soprattutto, a fermarsi. Perché senz’altro può succedere, e sarà successo almeno in qualche caso, che la corrente vada via durante il corso di un “giro”. Eppure non si è udita la notizia, di sicuro effetto, relativa a 16 persone che raggiungono la terra senza requie, per transustanziare il gruppo collettivo delle proprie anime all’altro mondo. Questo perché il funzionamento della tipica torre di caduta libera prevede l’utilizzo di un tipico sistema ingegneristico fail-safe, ovvero capace di fallire in sicurezza, compensando in questo modo l’indesiderabile tendenza all’annichilimento delle vite umane. Come osservabile da una presa in esame maggiormente approfondita di almeno due, dei suoi possibili meccanismi di funzionamento…

Leggi tutto

La storia e lo stato della Cliff House, iconica dimora sugli scogli di San Francisco

Camminavo pensierosamente tra le sabbie di un famoso lungomare, quando vidi l’alta forma all’orizzonte. Come un alto castello medievale, posto in posizione irraggiungibile, sovrastando il feudo del suo signore. Mentre nella solitudine della foschia mattutina, gli unici soggetti di quei bastioni parevano appartenere al silenzioso gruppo di leoni marini, adagiati lietamente sulla roccia che sporgeva dal pelo antistante dell’Oceano Pacifico, intento a sussurrare il suo richiamo al loro posto. Quanti segreti albergano all’interno, dietro gli occhi di quell’alto maniero ormai da tempo privo di utilizzatori… Ma per sempre vivo nella mente di chi ne ha visto gli anni migliori, pranzando e cenando in un lieto convivio, al suono dell’organo meccanico posizionato nel suo vasto salone. Come fosse una balena la cui bocca si è ormai chiusa per l’eternità, mentre si trova in bilico tra questo mondo e quello successivo.
Le ossa, queste antiche ossa sbiancate dal mare: c’è del potere, nei ricordi di un luogo e le vicende che si sono susseguite al suo cospetto, come una certa quantità di naufragi. Il cui fasciame risultante, sulle generose spiagge di San Francisco, sarebbe stato ritrovato in base a una leggenda metropolitana dal giornalista e uomo d’affari mormone Samuel Brannan, il quale avrebbe deciso di farne la sua dimora sulla cima del pendio roccioso antistante… Una storia che, nonostante sia datata al 1858, sarebbe sempre risultata particolarmente difficile da confermare. Ciò che è certo, invece, è che dopo soli 5 anni in tale luogo sussisteva un edificio, di proprietà del senatore degli Stati Uniti John Buckley, che aveva adibito quelle mura alla mansione di locanda. Un punto di ristoro, dalla semplice struttura quadrangolare e il tetto spiovente, creato assai lontano dal centro pulsante cittadino, con lo scopo dichiarato di accogliere gli escursionisti, i cacciatori e i taglialegna che solevano percorrere la costa del Pacifico in determinate circostanze della loro quotidianità desueta. In una quantità destinata unicamente ad aumentare, con la costruzione della strada a pedaggio antistante nel 1877 e l’inaugurazione del vicino Golden Gate Park, dai 1.017 acri di verde pubblico a disposizione della popolazione locale. Fu in questo periodo ed in tale guisa, che l’affascinante struttura assunse tutte le caratteristiche di un ottimo investimento, prontamente individuato da un altro grande capitalista ed inventore della storia americana: niente meno che Adolph Sutro (1830-1898) già responsabile dell’ingegnoso marchingegno utilizzato per svuotare d’acqua la redditizia miniera d’argento di Comstock Lode, in Nevada. Il quale diventato sindaco di San Francisco nel 1894, pensò bene di riuscire a celebrare quel traguardo tramite la costruzione di un qualcosa di straordinario, persino monumentale nella sua apparenza. Come un letterale chalet in pieno stile vittoriano dell’altezza di 7 piani, costruito proprio sul terreno che era un tempo appartenuto a Buckley. Una struttura sproporzionata, quasi surrealista, tale da attirarsi non poche critiche da parte degli artisti ed intellettuali locali perché dolorosamente “fuori posto”, benché non tutti condividessero tale opinione largamente soggettiva. Cosa c’è di fondamentalmente spiacevole, d’altra parte, in una cittadella fatata che ti osserva, e può essere osservata dal basso in alto? Il che non fu giudicato, alquanto prevedibilmente, ancora abbastanza da Sutro, il che lo avrebbe portato nel giro di qualche mese ad ultimare la sua seconda regalìa nei confronti della brava gente di San Francisco. L’equivalente moderno di una basilica termale dei tempi degli Imperatori Romani…

Leggi tutto