La marcia oplitica dei millepiedi corazzati

Giant pillbug 1

L’unione fa la forza, così per gli uomini come per gli animali. Questi sphaerotheriida, o millepiedi giganti corazzati del Madagascar, sono abituati a spostarsi solo in grandi gruppi. Circa una volta l’anno, in un periodo variabile, intere comunità di questi artropodi si radunano, come per un appuntamento, puntano le antenne nella stessa direzione e poi si avviano verso una destinazione ignota, con obiettivi poco chiari, spostandosi da un capo all’altro dell’isola. Il loro aspetto esteriore, se preso fuori dal contesto, ricorda quello degli armadillidium, anche detti onischi o porcellini di terra, alcuni fra i più tipici abitanti dei vasti prati europei. Questi però sono lunghi fino a 7 cm. Quando si chiudono, per difendersi dai predatori, hanno la dimensione di una palla da tennis. Le loro placche dorsali si congiungono perfettamente, in una sorta di sfera, risultando impervie ad ogni tipo di attacco, tanto che i suricati, per tentare di mangiarseli, hanno l’abitudine di usare una pietra come banco da lavoro. Ma neanche loro, probabilmente, li sfiderebbero in tali quantità. Il primo avvistamento registrato di tale incredibile sciame risale al 1892, ad opera del missionario inglese James Sibree, che racconta di averne incontrato un’enorme concentrazione, per caso, durante le sue esplorazioni fra Tamatave e Antananarivom, nella parte centro-orientale del paese (via mitsinjo.org). Era difficile non notarli: decine di migliaia di questi esseri segmentati, ma di colore verde brillante, che marciavano nella foresta come presi da un’incredibile frenesia. Immaginatevi il rumore. La comunità scientifica dell’epoca, non disponendo di sufficienti prove e ulteriori attestazioni, decise di sottostimare la scoperta, che poi venne gradualmente dimenticata.

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Gatto musicista! Suoni il pianoforte per le soap?

Gatto Soap

Avete mai visto qualcuno che piange sulle note di un banjo, un ukulele o un mandolino? Per toccare le corde dell’anima occorre uno strumento nobile, che coinvolga. Come il pianoforte delle soap. Ci sono mille serie TV in onda ma ben poche soluzioni musicali. Racconti tremendamente complicati, tortuosi, che dipingono le interazioni sociali e gli affetti umani alla maniera di un dramma senza uscita…Du-du-du-duuun! Coppie di spasimanti che si lasciano per malaugurate coincidenze. Tresche maligne, rivelate all’ultimo minuto dalle suocere spietate. Nelle saghe familiari di Beautiful e Dallas, nelle tragedie di Sentieri e Il tempo della nostra vita si concentra ogni fisima, ogni fantasticheria o timore dell’uomo e della donna moderni, sovrapposti l’uno all’altro in un vortice di fiammate passionali e terribili afflizioni. Il successo di queste rappresentazioni pseudo-teatrali, diretta evoluzione o devoluzione delle tragicommedie antiche, è stato sufficiente alla creazione di un canone estetico specifico, ormai praticamente irrinunciabile. C’è uno stile di recitazione, quello di chi parla mentre cerca in qualche modo…di…trattenere l’emozione, fra lacrime e accenni di singulto; c’è un certo approccio all’abbigliamento e agli arredi scenografici, selezionati attentamente per suscitare il fascino della middle-class americana. E poi c’è la musica. Non c’è spazio, nelle soap, per la spontaneità orecchiabile del pop, del country o del rock, troppo leggeri e spensierati. Questo, il gatto lo sa. E risolve il problema, finalmente.

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Senza maglietta per colpa di un orango

Caloy Orangutan

Visitando lo zoo, ci si dimentica spesso di una grande verità: guardare gli animali è un’attività reciproca, durante la quale si viene a nostra volta osservati attentamente, da ogni lato e prospettiva. L’elefante nel suo recinto, opportunista curioso, controlla se abbiamo una nocciolina tastando con la proboscide serpentina. La gazzella, il kudu e l’antilope, erbivori ungulati, diffidenti dei gesti o movimenti bruschi, cercano in qualche modo di adattarsi alle attenzioni del grande pubblico, gettando occhiate frenetiche in tutte le direzioni. Tigri e leoni, nobiltà lese, mantengono la propria fierezza grazie all’affettata ostentazione di un distacco riflessivo, magari aspettando il momento d’imporre la propria volontà. E le scimmie? Loro sanno qual’è il loro posto. Per una specie di animali che ha oltre il 99% del DNA in comune con gli umani, capire il mondo di oggi è un vero gioco da ragazzi. Carlo, l’orango del Borneo che tutti chiamano Caloy, vive a Davao, terza città più grande delle Filippine. La sua gabbia si trova nel Crocodile Park, famoso zoo-cum-rettilario della zona. Vivere la maggior parte della vita dietro le sbarre è già piuttosto dura, senza calcolare il comprensibile fastidio di chi è fatto oggetto di continue attenzioni, non sempre desiderate. Così, un giorno come gli altri, l’amichevole creatura decise che era giunta l’ora di fare il primo passo verso il cambiamento. Un nuovo look.

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Il geco satanico, draghetto del Madagascar

Uroplatus phantasticus
Foto originale: Piotr Naskrecki

Coefficiente Pokèmon: superiore ai 9 decimi, premio speciale per l’aria diavolesca. E basta aggiungerci due alucce da pipistrello, come fatto dall’anonimo autore di questo singolare Photoshop, per rendersi conto di tutto il suo potenziale straordinario. Potrebbe comparire in un videogame di ambientazione fantasy o tra le illustrazioni di una campagna di D&D già così com’è, di suo. Eppure esiste veramente. Questa particolare specie appartenente al genere degli Uroplatus, comunemente detta “geco satanico dalla coda a foglia” è una lucertola arrampicatrice che vive tra le foreste del Madagascar, mimetizzata tra gli alberi. Le sue principali risorse evolutive sono, neanche a dirlo, la forma e il colore. Quando perfettamente immobile, infatti, si trasforma nella perfetta imitazione di una foglia secca, persino un pò mangiucchiata dai parassiti. Per questo passa intere giornate appeso a testa in giù, in attesa del momento giusto per balzare all’attacco. Se minacciato, si appiattisce sulla corteccia per nascondere la sua ombra e spalanca la bocca dall’interno rosso fuoco, con la precisa finalità di spaventare gli eventuali predatori. Il naturalista belga George Albert Boulenger (1858 – 1937) fu talmente colpito dall’avvistamento improvviso di questo animale che arrivò a considerarlo un prodotto della sua fantasia, attribuendogli il suffisso latino di phantasticus (immaginario).

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