Una(1) scimmia incappucciata, in mezzo al gelo

Snow Macaque

Prendi un macaco, vestilo bene. Portalo in giro sulla neve. Dove finisce la scimmia, incomincia la persona. E se lei indossa cappotto con cappuccio, calzoni e sciarpetta beh, allora quell’esile confine sparisce nel nulla: niente più capo ne coda, da cui riconoscere scimmia o persona. “Sembra un bambino!” Così avranno detto i presenti, coinvolti accidentalmente in questa infrequente situazione: Svetlana Akishina, che porta in strada l’amato animale domestico, agghindato per sopportare il gelido clima del suo paese, la Russia. Perché se lo incontri fuori da un ragionevole contesto, Ivan, questo grazioso esemplare di macaca mulatta, colpisce per il suo modo di muoversi e le sue proporzioni, chiaramente non umane, però per il resto, ti vien da pensare: “Non sfigurerebbe dentro a una carrozzina!” Dalle tre splendide ruote rosse, zigrinate. Finché non si volta, guardandoti coi suoi grandi occhi marroni e scoprendo i denti silenzioso, assumendo la tipica espressione di un macaco, ogni volta che incontra un suo simile più imponente. “…” L’effetto di una tale esperienza, si capisce, risulta piuttosto singolare. Uno shock passeggero, seguito dall’immediato slancio empatico di un sentimento d’affetto, sarebbe il minimo garantito, il sine-qua-non.
Le scimmie come questa cancellano la distanza fra noi e tutte le altre creature della Terra. Che si scelga di accettare in qualche misura l’evidenza dell’evoluzione, piuttosto che il creazionismo dogmatico di tipica matrice nordamericana, non c’è dubbio su almeno un fattore. Qui, c’è un anello. Il punto intermedio tra uomo, inteso come essere bipede, craniodotato, relativamente poco irsuto e gli altri mammiferi, bipedi, quadrupedi, selvatici o addomesticati. Nel momento in cui, diverse decine di migliaia di anni fa, le civiltà preistoriche si accaparrarono le simpatie del lupo, ciò avvenne grazie ad elementi di contatto, piuttosto che di separazione. Siamo tutti animali sociali, bisognosi di cibo e di affetto. Tutti uguali (salvo minuscole distinzioni). Qualcuno leggermente più degli altri. Per quello che ha, piuttosto che in ciò che davvero è: strumenti, case, vestiti. Noi furbissimi uomini moderni, trasportati alla preistoria, difficilmente potremmo ricreare tutto da zero. Prendi un macaco, vestilo bene. Non imparerà a scrivere romanzi, però sa contare. Fino allo zero, il giusto e l’essenziale.

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Il signore degli scarabei robotici giganti

Kabutom

Momotaro guardò l’orologio, guardò il foglio del test di metà anno, infine rivolse la sua intera attenzione sull’inesorabile avanzare di quella dannata coppia di lancette. Per gli ultimi 10 minuti aveva cercato di fermarle con la sola forza della mente. Adesso basta, non ce la faceva proprio più. Stranamente, la sua bocca prese a concersi in una smorfia, mentre le labbra si mossero spontaneamente sussurrando sottovoce “Sono freg…” La vecchia prof. Matsuda, subito guardinga, fece di nuovo saettare il suo acuto sguardo da un lato all’altro dell’aula di matematica, pronta ad intercettare eventuali fughe d’informazioni tra i suoi amati 14 pupilli. Non che il sentimento fosse ricambiato, anzi. “…Ato”. Momotaro, pensa! Non puoi portare a casa un altro brutto voto! Tentando di risolvere l’ardua equazione, finì per distrarsi ulteriormente. Impossibile riuscire a far di conto, quando si è coscienti dell’enorme peso della storia.
Strinse nel pugno l’amato ciondolo magatama, gemma segreta del potere.  Come siamo giunti a questo strano 2560 d.C., l’epoca in cui tutti devono saper fare tutto? Io, ultimo discendente del clan degli artropodi guerrieri, costretto a far di conto come un comune servitore del daimyo di Owari! Dannato il pianeta Terra, che da quei tempi  ha scelto di seguire la via della civiltà. Sono passati esattamente mille anni dalla prima invasione degli alieni di Alpha Centauri, spietati conquistatori dei sette continenti. Da quando Sauratomaton, il tirannosauro corazzato, scatenò l’onda che sommerse i palazzi di Atlantide e di Mu. E nessuno mai dimenticherà Deltraidazon, lo strisciante limulo chelicerato, grande divoratore degli eserciti d’Europa e delle Americhe settentrionali. Soltanto i nostri antenati samurai seppero resistere a quei terribili nemici, stringendo le  misteriose alleanze che ancora preservano le poche roccaforti rimaste a questa umanità. La guerra non è mai finita, tutti lo ignorano e a me tocca pure andare a scuola! “Uff…” La prof. Matsuda lanciò un minaccioso colpo di tosse, come stesse schiarendosi la voce. Momotaro tacque. La sua ultima speranza: copiare dal foglio della sgobbona, la sua compagna di banco e di occasionali fantastiche avventure. Il tempo stava per finire. Questo era il momento di fare la sua mossa, imbrogliando.

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Quella deliziosa cimice assassina

Toe Biter

La più terribile creatura dello stagno non è il rospo cornuto, la ranatra lineare, neppure il ragno palombaro. Nero come la notte, lungo come un pennarello e più fragrante di un gatto passato a miglior vita, quel predatore giace immobile semi-sepolto fra le alghe, in attesa di essere apprezzato. Può raggiungere i 12 cm. Gli americani lo chiamano toe-biter (mordi-dita) o ammazza-girini, con chiari riferimenti al suo pacifico contegno, mentre nel Sud Est Asiatico tutti lo usano per dare un particolare sapore ad alcune delle loro zuppe, quelle vietnamite dette di cà cuống. In India, dal canto loro, questa splendida bestia l’incontrano di tanto in tanto, giusto abbastanza perché non sia particolarmente conosciuta. Come quella volta in cui una guardia di sicurezza della scuola, interpellata in merito allo strano insetto, aveva garantito alla youtuber aniow che poteva anche prenderlo e portarlo via con se, senza particolari pericoli o preoccupazioni: “Tanto neanche può volare!” Vatti a fidare dell’entomologo di turno. Ci sono insetti che, come parte delle loro difese evolutive, hanno sviluppato segni di pericolo incipiente, ovvero livree colorate che scoraggiano altamente la manipolazione. Nessuno metterebbe una vespa fra tre pennarelli, considerandosi al sicuro. Altre creature, ad esempio i ragni, hanno semplicemente una pessima reputazione. Chiunque abbia frequentato gruppi di discussione, forum o imageboard statunitensi avrà notato l’istintiva e diffusa fobia per gli aracnidi, quasi incomprensibile per noi europei, geograficamente lontani dalle specie piú maligne o micidiali. Il morso corrosivo del ragno violino, molto comune in Arizona, non te lo scordi tanto presto. Questa cimice, invece, devi averla approfondita. Poteva sembrare un grosso scarafaggio stravagante, placido e a suo modo delizioso. Quanto è facile sbagliarsi! E con che conseguenze….

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Se incontri un bufalo nella foresta,

Buffalo

Se incontri un bufalo nella foresta del parco di Yellowstone, amico guarda meglio, quello non è un bufalo è un bisonte. L’animale più grande del continente americano. L’animale più grande del continente europeo. Quell’essere che ricorderebbe molto da vicino una mucca, soltanto che è lungo 3 metri, alto 1,90, pesa fino a 900 Kg, ha i quarti posteriori di un cavallo purosangue, il davanti di un grizzly e degli ottimi motivi per portare risentimento verso l’intera razza umana. Ah, si, anche un paio di corna, piuttosto mediocri rispetto all’enormità di tutto l’insieme. Nessuno mai ci pensa, a quel paio di piccole corna diavolesche, potenziale segno di riconoscimento e classificazione. Meno di tutti, forse, gli scopritori del vecchio West, coloro che, viaggiando sui loro carri lungo la pista dell’Oregon, di queste creature ne lasciarono un’esanime scia, tanto lunga da poter collegare gli estremi limiti di un continente. Loro, i pionieri mormoni in fuga dalle discriminazioni delle colonie inglesi, non andavano granché per il sottile, né del resto lo facevano i soldati delle compagnie mercenarie, pagate per fornirgli cibo e protezione dagli “indiani”. Passati erano i tempi in cui le popolazioni semi-nomadi delle americhe sfruttavano quelle antiche mandrie con giusta moderazione. L’eroico Buffalo Bill, forse il più grande cacciatore della storia, si vantava di averne uccisi, lui soltanto, circa 4000. Gli alti cumuli dei loro crani bucefali marcavano la posizione dei campi recentemente arati, come materia prima per far da concime. Certi dagherrotipi, visti ai giorni nostri, ricorderebbero più che altro le copertine fantasy di Frank Frazetta con il mefistofelico Death Dealer, rimpiazzato per l’occasione da un cowboy, ugualmente trionfante sulle spoglie defunte dei suoi molti barbarici nemici. Se soltanto li avessero guardati due volte, prima di sparargli, non li avrebbero chiamati bufali. Avrebbero probabilmente notato quanto diversi fossero nell’aspetto dai bovidi della tradizione europea, i cosiddetti “tori lunati” dell’Eneide e della Teseida di Boccaccio. Niente puntuta luna sulla testa…Ma quelli erano tempi difficili e con il bisonte c’è poco da scherzare: l’animale che era e resta tutt’ora più pericoloso dei puma, degli orsi bruni e dei lupi messi tutti assieme. Statistiche alla mano, s’intende!

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