La donna con dodici opossum nell’armadio

Opossum in the Closet

La celebrità è un fluido impercettibile che a volte cresce da lontano. In un salire di marea, graduale ma deciso, ricopre le persone che hanno avuto l’occasione o l’intenzione di magnetizzarla. In certi casi, invece, rassomiglia alla battente pioggia estiva. Camminando pensosamente tra la casa e la tua meta, d’improvviso ti ritrovi senza ombrello, in mezzo alla tempesta tiepida che avvolge, inzuppa i tuoi capelli. E allora, cosa fare? Se non prendere la telecamera, puntarla verso quella cosa strana che ti ha messo nella situazione in cui ti trovi, l’animale fuori posto, la suppellettile randagia, il piccolo peloso coccodrillo della situazione. Qualcosa di simile deve aver pensato Tara McVicar di Los Angeles, cugina dell’attore Gabriel Macht, al palesarsi della scena più bizzarra e inaspettata: una busta della spazzatura dentro allo stanzino, che si agitava e fischiava rumorosamente, come se, come se…Surprise! Due piccoli e tondi occhi neri, il muso a punta umido e vibrante, il ciuffo di peli sulla testa. “Aw, shucks.” Tu guarda, questa è bella. C’è (almeno) un opossum nell’armadio. Procedendo per gradi successivi di interazione, perché è chiaro che l’anomalia andava risolta in qualche modo, la donna inizia un buffo tira e molla con la bestia, usando il manico della scopa per tentare di fargli lasciare la sua tana inappropriata. I toni si fanno piuttosto accesi, benché lei sia pronta a riconoscere, con spontanea simpatia: “Dopo tutto è carino.” Finché, meraviglia inaspettata, non spunta una seconda testolina dal sacco di plastica, e poi un’altra e un’altra ancora. Dove sembrava ce ne fosse uno, che anzi era una e pure madre, risiedono anche i cuccioli, saldamente assicurati alla sua schiena. Il frangente aumenta di complessità.
Chiamate la…Polizia, i pompieri? La Guardia Nazionale o Turtleman, con i Ghostbusters come ospiti della puntata…È chiaro che abitando in mezzo a un’area densamente popolata, come per l’appunto questo verdeggiante quartiere di Beverly Grove, parte dell’area nord-orientale della grande città di Hollywood, la visita di animali selvatici tra le mura domestiche risulti alquanto rara. Ma gli Stati Uniti, di massima ed a giudicare dall’alta quantità di testimonianze mediatico-televisive, sono abitati da un maggior numero di mammiferi, dalle più diverse dimensioni, perfettamente adattati al convivere e dividere gli spazi con l’uomo. Così gli orsi che frugano tra i rifiuti (certo, sarebbe un po’ difficile nel mezzo di un sobborgo come questo) o i procioni ed i coyotes nel giardino, come pure, del tutto incidentalmente, la qui presente migliore approssimazione sul pianeta di un mostruoso topo alieno. Uno dei moltissimi appartenenti alla famiglia marsupiale dei Didelphidae, che vanta ben 103 diverse specie assai diffuse negli Stati Uniti, nei Caraibi e fino in Messico, dove vengono chiamati tlacuache. Gli opossum sono animali largamente innocui e dal sistema immunitario piuttosto resistente, quindi largamente privi di pericoli per l’uomo. Addirittura, il loro metabolismo troppo freddo impedirebbe al virus della rabbia di contagiarli, nonostante sembrino perennemente affetti come da una sorta di frenetica pazzia. Si tratta, in poche parole, del loro principale mezzo difensivo contro i predatori, configurato in un minaccioso spalancarsi di quella boccuccia ben fornita di incisivi, canini ed ottimi molari. La dentatura degli opossum, particolarmente fornita, è tra le loro doti migliori. Assieme alla tecnica di depistaggio, che spesso in lingua inglese viene definita per antonomasia con il loro nome, consistente nell’immobilizzarsi per fingere la propria morte. Questi animali, se costretti a ricorrere a tale meccanismo, secernono anche un odore disgustoso descritto come simile a quello della putrefazione. In effetti, quindi, non c’è molto da scherzare: la qui presente McVicar si trovava alle prese con una situazione tipicamente cinematografica, non dissimile dal disinnesco di una pericolosa bomba radioattiva, che il cattivo di turno avrebbe piazzato in mezzo alle proprie beneamate scarpe, i vestiti e tutto il resto.
L’approccio scelto successivamente, in ultima analisi, è stato probabilmente quello più efficace. Passando alle buone maniere, da una madre all’altra, l’inquilina originaria dell’abitazione inizia ad usare le maniere buone. Parlando alla opossum come se fosse un bambino umano, gradualmente si guadagna la sua fiducia, quindi, in una scena non mostrata prende dalla busta uno o più dei suoi cuccioli, portandoli fuori in giardino, dentro la grande gabbia del coniglio di famiglia, tale Mustache. L’obiettivo di un tale gesto è presto detto: costringere la madre ad uscire dalla tana inappropriata, per ricongiungersi alla prole. Funzionerà? Beh…

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Il problema di chi corre coi tori

Tourada

Parte del corpus di tradizioni secolari dell’isola di Terceira ma poi mutuata dall’intero arcipelago delle Azzorre, la tourada à corda è sostanzialmente un diverso tipo di corrida, in cui nessun toro viene intenzionalmente leso, ma sono piuttosto gli uomini più coraggiosi del paese, i loro figli ed alcuni turisti dal notevole entusiasmo, a finire gioiosamente calpestati, spinti contro un muro, percossi con trasporto dalle punta delle corna del bovino. Le quali vengono oggigiorno, per fortuna, racchiuse da involucri o tappi di cuoio, concepiti appositamente per fermarne la penetrazione nelle carni del malcapitato di turno. Per fortuna, dico, perché almeno a giudicare da questo compendio d’episodi accidentali messo assieme dal fotografo Gabriel Alves Vieira, che si è guadagnato dal 2012 oltre 9 milioni di visualizzazioni in crescita costante, non è affatto insolito che in questo evento vinca il toro. Innanzi tutto perché, un po’ come nelle celebri fiestas di San Firmino a Pamplona, la corsa non si svolge in un’arena, bensì lungo l’intero corso principale delle maggiori città oltre quelle coste, in un vero pandemonio di schivate, salti e tentativi malgestiti di gettarsi a terra, con l’illusione che la bestia sia più incline a correre dietro le persone in movimento. Il che talvolta è vero, ma in determinati casi… Al signore fatto rotolare sul selciato del caffè d’angolo, a quell’altro con la schiena alla fontana, mentre l’animale tenta di spingerlo col muso dentro la scultura (ehm, scusa per le punte) all’incredibile frangente di chi scappa in acqua, quelle volte in cui il tragitto si conclude in spiaggia, ma le corna lo raggiungono lo stesso, perché i quadrupedi sanno nuotare fin da giovani e persino in tarda età. E poi all’uomo la cui caviglia resta impigliata nella corda, trasformandolo nel contrappeso odiato dell’essere terrorizzato e in fuga; vorrei chiedere, vi state divertendo, persino adesso? È una questione dalle approfondite basi sociologiche, quella che trova genesi nel desiderio di mettersi talvolta in massima difficoltà. O come in questo caso, un effettivo stato di pericolo, un cui può bastare un passo falso, un’attimo di distrazione, per finire vittime sacrificali del frangente costruito dall’ansiosa collettività. Così ogni anno, nelle Azzorre come in Spagna, c’è qualcuno che paga per tutti, sacrificando l’incolumità del giorno per costruire il mito di una corsa senza tempo e forti intenti commerciali, parte di una scala di valori dolorosamente scollegata dal presente. E forse soprattutto per questo, tanto spesso oggetto delle critiche più fervide ed accalorate.
La corsa coi tori è una tradizione antica quasi quanto l’addomesticazione di questa genìa così fondamentale per la nostra dieta, che viene convenzionalmente fatta risalire all’epoca dell’antica civiltà minoica, poi quella greca e dei romani. Tutti conoscono il celebre affresco della taurocaptasia, ritrovato sulla parete est del palazzo di Cnosso, con i tre giovani che saltano attorno a questo lontano cugino dell’amato minotauro, disegnato luuuungo come un cane bassotto e con le gambe veramente molto, molto corte, forse per meglio riempire lo spazio blu della composizione decorativa. Si tratta forse di una delle immagini più note della prima epoca classica, databile fino XVII-XV secolo a.C, la cui composizione cinematica esemplifica uno stile quasi fumettistico e letteralmente ininterrotto fino ai nostri tempi, grazie al quale il limitarsi a due sole dimensioni, e un singolo fotogramma, non ha mai potuto impedire agli artisti migliori di trasmetterci i momenti maggiormente rappresentativi delle loro epoche distanti. E non c’era allora, forse, un attimo più rappresentativo di questo: il bisogno di misurarsi con la forma più prossima della natura infuriata, lo sbuffante, scalpitante essere dal manto nero, bianco o a macchie, generalmente in dei contesti attentamente codificati, come feste religiose o spontanei raduni degli spettatori sugli spalti accidentali di una piazza (non più) gremita. Ma c’è dell’altro: esistono diverse teorie secondo cui questo stile per eccitare e infastidire l’animale, attraverso gli schiamazzi e il movimento caotico di un gruppo di persone, fosse stato adottato da principio come approccio pratico a spronarlo innanzi, con lo scopo di raggiungere quanto prima il luogo dell’esposizione, del mercato o della vendita imminente. Accadde poi che alcuni degli astanti,  in determinate antiche città mediterranee, iniziassero a lanciarsi sulla strada della bestia, col dichiarato scopo di mostrarsi privi di paura. E se lo fa uno, ben presto saranno due, quindi tre e…Il resto riecheggia nel muggito della Storia.

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Il segreto per ipnotizzare gli squali

Shark petting

Per la serie informazioni che teoricamente, un giorno, saranno in grado di salvarti la giornata (e forse tutte le altre successive?) Ovvero un metodo speciale, tramandato doverosamente negli ambienti di settore. Guarda: c’è una storia, che è una scena, che è una soluzione, a quanto pare, per quel classico problema di te a mollo, quando all’improvviso spunta (chi l’avrebbe mai detto?) non soltanto quella pinna all’orizzonte, ma anche la coda, il dorso e tutto il resto, di lui/lei/l’altro, un esponente singolo dell’ordine dei pesci più potenzialmente pericolosi dell’ambiente acquatico per eccellenza, il vasto e umido mare. Ahi, ahi, ahi, che fare…C’è persino il caso che qualcuno si affidi, con ecologico entusiasmo, alla statistica secondo cui l’attacco di uno squalo verso l’uomo sia piuttosto raro, nonché sempre accidentale: “Un pesce come questo non divora le persone. Se ti mangia, poi ti sputa, perché preferisce carni d’altro tipo.” Però intanto ti ha assaggiato, almeno un pezzettino e forse due. Dunque se tu invece vuoi nuotare e allontanarti verso riva, sei pregato di considerare questo: uno squalo di medie dimensioni, come potrebbe essere il Prionace glauca (la verdesca) si sposta normalmente a velocità che si aggirano attorno ai 15 Km/h, planando sulle sue pinne pettorali in mezzo alle correnti dell’Oceano sconfinato. Però ecco, piuttosto di frequente, sono stati osservati esponenti di questa specie che riuscivano a contrastare facilmente i flutti avversi di anche 25 Km/h e almeno in un singolo caso, è stato riportato il caso di un grosso maschio (2 metri ca.) che ha raggiunto e sostenuto la velocità di 39,5 Km/h. Insomma lui non ti cerca, non ti vuole. Ma se per caso dovesse decidere di prenderti, stai pur certo di una cosa: in qualche modo lo farà.
Se non puoi ignorarli, né fuggire, sarebbe quindi meglio ritornare amici degli squali. Ricercare nell’incontro, al cospetto di una tale essenza tipologica di pesci e cani, non tanto l’ittico, quanto il princìpio stesso del migliore amico degli umani. Senza lingua penzoloni, ma pur sempre ben disposti verso chi ha la voglia di comprenderli ed interpretarne la maestà. A vantaggio di noialtri, che guardiamo ed apprendiamo per l’ipotesi futura di un bagnetto molto sfortunato. In questo video comparso all’improvviso sul portale LiveLeak (una delle migliori alternative indipendenti al mare di YouTube) si può osservare un caso strano e stranamente noto, del migliore approccio praticabile nell’interazione uomo-belva, almeno quando la belva è libera e in attesa del suo pane quotidiano. Succede di continuo, lassù nelle Bahamas, a vantaggio di quel particolare tipo di turista, ai nostri giorni sempre più diffuso: colui o colei che cerca l’avventura. Gode del trovarsi un po’ al cospetto della morte stessa, per conoscerla di fama, se non nella sostanza, e contare sul ricordo in occasione d’imprevisti successivi. L’adrenalina è la migliore delle droghe, perché si trova già all’interno del nostro organismo. Occorre solo il giusto stimolo per scatenarla. Così, si paga un prezzo, che naturalmente può variare, per recarsi assieme agli istruttori in luoghi molto frequentati dai Carcharhinus perezii, o squali di scogliera dei Caraibi, proprio mentre avviene la consumazione di un banchetto molto amato: qualche esca, oppure decine di esse, vengono soavemente rilasciate a mezza altezza, lievemente galleggianti fra molecole di circostanza. Finché, H2O! Non giunge il primo ospite di quel banchetto. Seguito dagli amici prossimi, gli zii acquisiti, scolaresche (il termine inglese per un gruppo di pesci è giustappunto school) ed un intero branco di ruvidi visitatori, tutti tesi per conoscere il piacere dell’incontro con gli umani. Che non è soltanto, a conti fatti, il quibus cibario sopra il piatto azzurro virtuale, ma anche il più semplice piacere della compagnia. Ben esemplificato da un piccolo gesto d’affetto naturale, che accomuna le creature sopra, sotto e attorno l’acqua: una carezza, sopra il naso, offerta con dei guanti corazzati in maglia di metallo, perché non si sa mai. L’effetto è veramente inaspettato.

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Un verme velenoso espelle l’appendice aliena

Nemertea

Gli anelli sono fuori, i bracciali, i polsini ricamati, i tatuaggi fatti con l’henné. Che noia, le unghie finte colorate, i mezzi guanti col ricamo di un pupazzo oppure l’astro del mattino…. E non parliamo di Apple Watch! La migliore decorazione per la mano umana, almeno agli occhi di chi ha doti di discernimento: un verme rosso lungo quindici centimetri, la testa gonfia, il corpo piatto ma bitorzoluto. Le migliaia di minuscole ciglia che si agitano sopra l’epidermide, spingendolo a spostarsi sopra un velo di sottile muco appicciccoso. Proprio così. Avvicinati mia cara, che ho un regalo qui, per te. È un piccolo rappresentante del phylum Nemerteail cui appellativo proviene dalla ninfa omonima del mare, figlia di Doris e del principe del Ponto. Quale grazia che ha nel suo strisciare! Che profumo deliziosamente marcescente… E questo non è tutto: il meglio ha ancora da venire. Già la molle mano si alza di sua propria volontà, quasi a porgerti un tal frutto della pesca particolarmente fortunata. Non far caso al modo a cui si gonfiano la bocca e l’ano, scuri estremità agli antipodi dell’animale. Piuttosto aspetta con pazienza che si calmi per un attimo, quindi appoggia delicatamente un dito sulla sua magnifica eminenza. Lo senti, com’è liscio? Questo è veramente il re dei vermi. Pensa che sott’acqua, non necessita di branchie ma respira già dalla sua pelle, che assorbe pure il plankton di passaggio. Semplicemente esiste, mentre filtra l’acqua e vegeta i momenti del suo tempo. Tranne quando ha voglia di un boccone sostanzioso! Ecco, ci siamo. È venuto il suo momento. Si è arrabbiato, non riesce a contenersi…Il verme vibra con veemenza veramente virulenta. Sei pronta allo spettacolo? Ssss-PLAT.
Indurre l’inversione dell’organo proboscidale, detto rincocele, di un verme appartenente a simili genìe non è davvero complicato. Si tratta dopo tutto di una reazione automatica dei quattro gangli nervosi posti a coronamento della bocca, ciò che passa per cervello in questo lato della classificazione tipologica di ogni essere che striscia, si agita o nuota fra le onde. Forse maggiormente nota è la reazione simile dei cosiddetti cetrioli di mare (Holothuroidea) lumache dei fondali che, nell’attimo in cui si sentono minacciate espellono improvvisamente l’intestino, i polmoni e la gonade riproduttiva, affinché l’eventuale predatore se ne nutra, mentre loro fuggono lontane. Per poi rigenerare quasi subito tali importanti componenti, verso nuovi limiti e diversi presupposti d’avventura. Comoda, la vita degli organismi semplici, nevvero? Ma il Nemertea, anche detto verme a nastro, è differente. Innanzi tutto, perché è esso stesso, un predatore. Ed è infatti solito nutrirsi, in aggiunta alla sua dieta di micro-organismi, di altri anellidi o Polychaeta, magari piccoli granchietti di passaggio. Una qualunque, insomma, delle variopinte e diversificate forme di vita che percorrono il fondale di ogni regione terrestre, gradualmente digerite nel suo piccolo ma efficiente sistema di stomaco e intestini, posti proprio dietro il rincocele. Che costituisce, per così dire, il massimo segreto del suo successo: basti guardare, come riferimento, il video misterioso che sta spopolando in questi giorni sui diversi blog e board generaliste, in cui una creatura misteriosa, appoggiata sulla mano di una ancor più ignoto individuo (dove ci troviamo? Qual’è la sua nazionalità?) Dimostra spontaneamente il suo metodo di caccia preferito. E sembra un mostro proveniente da galassie inusitate, per il modo in cui d’un tratto si raddoppia d’estensione, lasciando fuoriuscire le diverse ramificazioni di questa orrenda lingua biancastra, affine al propagarsi di una figura di Lichtenberg attraverso un solido trasparente, il metodo ufficiale per intrappolare una corrente elettrica a vantaggio degli spettatori. Almeno potenzialmente, quasi altrettanto dolorosa.

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