L’insidioso nascondiglio della tartaruga azzannatrice

Treasure Turtle

Ci sono tesori di tutti i tipi: preziosi o significativi, materiali o filosofici, archeologici, situazionali. Ma il potenziale ritrovamento più meritevole di tutti, da un lato all’altro dell’Atlantico, resta pur sempre l’amicizia. Ed è innegabile che Beau Ouimette, escursionista della Virginia Occidentale, un simile dato sia giunto a comprenderlo davvero molto bene. Altrimenti non si spiegherebbe questo suo video relativamente sottovalutato nel quale, invece di tuffarsi col metal detector come suo solito nelle paludi o i fiumi più generosi degli interi Stati Uniti, s’intrattiene in un diverso tipo di ricerca. Con ben stretto fra le mani un comune retino da pesca di alluminio, che tuttavia lui ha rovesciato in senso contrario a quello d’utilizzo, con la finalità di sfruttarne l’impugnatura a mò di tipico bastone da passeggio. E tasta e spingi, tocca e premi, tutto questo per trovare…Funghi? No, l’altra cosa. Un suo personale esemplare di Chelydridae, quel tipo di tartarughe che esistono soltanto nel continente americano, e sono comunemente identificate dallo specifico termine onomatopeico che vuole sottintendere l’amputazione delle dita: snap, snap, snapping turtle. Quale miglior presupposto, per andare a caccia di Pokémon nella foresta!
O per meglio dire, ai suoi margini più estremi, visto come ci troviamo in un punto imprecisato (deformazione professionale dell’autore) dello stato con capitale Charleston, in cui un ruscello particolarmente torbido si estende fuori dagli alberi e nel bel mezzo di un pascolo per mucche, tranquillo e alquanto paludoso. E qualche bovino lancia il suo muggito d’accoglienza, mentre l’uomo a volte noto come Acquachigger inizia a intavolare il suo discorso d’occasione. C’è una finalità nobile di fondo, appare molto chiaro: il suo messaggio più enfaticamente ripetuto, ben due, tre, quattro volte è di non prendere la tartaruga per la coda. Mai e poi mai, esclama! Nonostante quello che avete visto in Tv. E qui cita il personaggio di Turtleman, protagonista televisivo dell’omonimo reality trasmesso in Italia da DMAX, che per la prima volta venne notato grazie ad un segmento in cui faceva proprio questo. Mentre sollevare simili creature in malo modo, ci spiega il qui presente narratore, sarebbe fondamentalmente come farlo con i cani. Molto spiacevole, per l’animale. E forse anche per noi… Il che inaugura un lungo discorso, sui meriti e i fraintendimenti relativi a queste creature dalla stazza considerevole eppure molto abili a nascondersi, fatto in grado di causare significative problematiche agli allevatori del suo ambiente naturale. “Si, non sono poi così aggressive. Se disturbate, normalmente si allontanano e corrono a infilarsi sotto il fango più accogliente.” Ci spiega. “Ma territoriali.” E di sicuro, se gli capita un piede o zoccolo davanti agli occhi, non ci pensano due volte prima di serrare il loro becco affilatissimo sul nemico percepito, nel tentativo disperato di difendere la loro grossa testa dalle scaglie dure. Per non parlare, dunque, dei neuroni.
Completata la descrizione generica dell’animale, comincia la parte dello show per così dire fattiva, in cui Ouimette si mette a percorrere il ruscello alla ricerca di segni rivelatori. Per prima cosa, puntualmente, ci viene mostrata l’impronta della belva: una zampetta artigliata, dall’aspetto vagamente sovrannaturale e licantropico, suggestiva di una stazza comparabile a quella di un pastore tedesco. Poco più avanti, invece, trova il segno della coda, che venendo trascinata dietro il corpo principale, ha lasciato un’evidente esse sulla terra friabile dell’acquitrino. A questo punto, il primo falso positivo: un dosso preminente in prossimità della riva, dalla forma suggestivamente simile a quella di un guscio. Ma un rapido inserimento del retino, tutto attorno al luogo presumibilmente interessato dalla placida presenza, non può che smentire l’agognato ritrovamento. La dura caccia, quindi, deve proseguire…

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L’ardua sfida del cestino anti-orsi

Bear Bin Lubiana

Siamo a Lubiana, nella Repubblica di Slovenia, per assistere a una scena alquanto rara. Tre esponenti della specie Ursus arctos arctos (l’orso bruno eurasiatico) si trovano all’interno del recinto dello zoo cittadino. Insieme a quello che potremmo definire, senza dubbi residui o inutili romanticismi, un plasticoso corpo estraneo di colore rosso. Pieno zeppo di…Frutta, mele, pere ed ogni altra possibile fragranza ad esse collegate, in un melange tale da portare alle vertigini la testa di chiunque aspiri ad un gustoso snack. Ovviamente, in un mondo perfetto il recipiente si spalancherebbe come una copiosa cornucopia, per la massima soddisfazione dei tre irsuti beneficiari. Mentre qui, purtroppo, c’è in agguato la fregatura e una tremenda faticaccia: l’intero set-up, in effetti, è stato costruito con lo scopo preciso di mettere alla prova un’avveniristica tecnologia, sfornata dai laboratori degli esperti del settore. La LIFE DINALP BEAR, associazione locale mirata alla salvaguardia del patrimonio faunistico, ha infatti messo a punto un tipo di cestino per la spazzatura che dovrebbe essere, almeno nell’idea dei suoi progettisti, del tutto impervio all’apertura da parte dei suddetti onnivori dei loro boschi. Cosa che puntualmente, per il primo topico minuto, pare verificarsi: il materiale dell’oggetto in questione appare sufficientemente resistente, e la sua chiusura abbastanza complessa, perché i soggetti dell’esperimento debbano limitarsi a palleggiarselo a vicenda, nel tentativo inutile di accedere ai suoi contenuti. Ma tutte le volte in cui sviluppa il desiderio di qualcosa, si sa, un orso sa essere davvero molto persistente…Figuriamoci tre.
Che la foresta sia un luogo inospitale e scomodo è un dato sostanzialmente opinabile. Un territorio vergine, incontaminato. Ricco di alimenti ed opportunità! Non ne è forse la prova lampante, dinnanzi agli occhi di noi tutti, la stazza stessa del più grande abitante di quei luoghi? Una creatura del tutto simile a noi, se soltanto avessimo un muso allungato, il grasso di riserva ed una folta pelliccia per l’inverno, gli artigli in grado di sradicare un albero, la predisposizione ad andare in letargo… Animale, per di più, perfettamente in grado di deambulare sulle zampe posteriori, in una ragionevole approssimazione di quello che si potrebbe scambiare per una sorta di lupo mannaro. Anche per i suoi processi comportamentali, insistenti e scaltri, così distanti da quelli che saremmo soliti attribuire ad simile esponente dell’antica evoluzione. Si, è una belva che conosce l’uomo, sia pure di seconda mano. E farebbe di tutto, per acquisire alcuni dei nostri vantaggi e le più utili prerogative. Perché quando un grizzly si sveglia la mattina, già sa che dovrà consumare circa 30.000 calorie entro il tramonto del sole: l’equivalente di 30 piatti di pasta e 30 hamburger! Da acquisire, tuttavia, grazie al tramite di semplice materia vegetale, quali cavoli e sedano, radici commestibili di vario tipo. L’immagine popolare dell’orso che fagocita i salmoni intenti a risalire il fiume, in realtà, non si riferisce che a uno specifico periodo dell’anno, qualificabile come un banchetto davvero speciale. Così come la questione dell’alveare ricolmo di miele, scovato, diciamo, al massimo una volta o due per ciascun mese. Per la rimanenza del suo tempo, un tipico plantigrade non potrà MAI contare su tali fortune. È un po’ come la questione del panda gigante, che per sopravvivere deve passare ogni singolo minuto della sua vita a sgranocchiare l’incommestibile germoglio di bambù. Del resto, nei terreni elevati del suo antico ambiente naturale, non c’era altro che potesse soddisfare il suo appetito. Ma anche i nostri prosaici orsi dalla tinta unita, siano questi delle specie americane oppur d’Europa, devono fare i conti con un simile problema. Pensare sempre al mangiare, mangiare, mangiare….

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Il ragno corazzato che assomiglia a una moneta rara

Cyclocosmia Spider

Uno scenario interessante: state camminando lungo le pendici di un avvallamento boschivo, nel Tennesse, nell’Alabama, nella Georgia o nella Florida settentrionale. Magari per portare a spasso il cane, o in forza di un’occasionale passeggiata. Ad ogni modo, siete rilassati. Ed attenti a cogliere i dettagli della natura. Così all’improvviso, in prossimità del vostro piede destro, vi capita di scorgere qualcosa di parecchio insolito. Come un movimento lieve, e ingiustificato, di quello che potrebbe essere descritto unicamente come…Un minuscolo disco di terra. Proprio così. Qualcosa di fabbricato artificialmente, se ben capite cosa intendo. Colti dall’improvvisa ispirazione di approfondimento, vi inchinate sul terreno carico di foglie e di sterpaglie, per guardare meglio quella strana cosa. Quindi, avvicinando la vostra mano dominante, sollevate lo strano oggetto, per tentare di comprendere chi l’abbia costruito. Sotto ad esso, appare un buco. Ma quello che sussiste al suo interno, piuttosto che chiarire le circostanze, non fa che rendere la storia ancor più misteriosa. La luce del primo pomeriggio, per necessità di trama, cade in senso perpendicolare verso terra. E penetrando nella fessurina, finisce per illuminare un qualcosa di profondamente inaspettato. Come un disco, perfettamente circolare, dal diametro di una moneta da 10 centesimi. Ricoperto di scanalature a rilievo, che si diramano a raggiera da una figura indistinta, simile a ciò che avrebbe potuto disegnare un’artista per rendere l’idea di un teschio alieno. La mistica visione pare approssimarsi a un talismano, oppure a un qualche tipo di medaglietta da collezione. A questo punto, cosa fate? Lo raccogliete? Difficile resistere. Ma persino il più coraggioso tra gli umani, successivamente a un tale gesto, potrebbe avere una reazione istantanea di disgusto e spavento. Perché una volta preso in mano, quell’oggetto inizierà a muoversi. E con un rapido ribaltarsi della situazione, potrebbe pungervi coi suoi cheliceri, grondanti veleno. Un’esperienza estremamente dolorosa, anche se priva di rischi a lungo termine. Almeno stando a quanto è riportato sul web.
Dicono che ne siano rimasti molto pochi, a questo mondo. O in alternativa, che ce ne siano stati sempre meno di quanti se ne potrebbe pensare, soprattutto considerata la celebre prolificità degli aracnidi, comparabile a quella di taluni insetti infestanti. Eppure persino lo IUCN, l’Indice Rosso delle Specie a Rischio d’Estinzione, si limita a classificarli come DD (Data Deficient) per assenza di nozioni certe sulla loro distribuzione, lo stile di vita e l’effettiva degradazione dell’habitat di residenza. Non siamo neppure certi di quale sia, per dire, tale luogo eletto ad essere uno dei terreni di caccia maggiormente inusuali noti alla scienza. E questo perché ciascun membro delle sette specie appartenenti al genere dei Cyclocosmia, è costretto a vivere perennemente sotto terra, per sfuggire ad un pericolo ronzante. Quello della vespa Pompilide, che non chiederebbe nulla di meglio dalla sua giornata, che trovare un aracnide da infiocinare, con l’acuminato ovopositore, per deporvi dentro le sue uova, le quali, schiudendosi, lo riempiranno di mostruosi parassiti carnivori, destinati a loro volta a diventare dei feroci volatori. Ora, essere divorati dall’interno dev’essere un’esperienza decisamente… Spiacevole. Ma pensate che un simile destino è toccato in sorte a così tanti di questi ragni, nei secoli e millenni, che la selezione naturale ha finito per cambiarne in modo significativo il codice genetico, dandogli abitudini e un aspetto totalmente differente dai loro consimili delle preziose ragnatele. Al punto da non farli più sembrare quello che realmente sono. Ma un oggetto abbandonato, ai confini della civiltà e del tempo.
Orribile. Mostruoso. Sconvolgente. Nei racconti più distopici di un futuro soggetto alla crudeltà degli esseri di fantasia, l’umanità è costretta spesso a sopravvivere nel sottosuolo, all’interno di rifugi totalmente segregati dalla superficie. Ora immaginate di dover quotidianamente temere l’assalto di una morte volante dal cielo, e neanche disporre di una serratura funzionante. Neanche voi avreste il piacere di lasciare l’uscio della vostra casa, soltanto per trascorrere, magari, qualche ora tra gli incubi di un sonno passeggero. Così questi ragni hanno compiuto il passo successivo, e sono diventati loro stessi, guarda caso, la porta. È una questione veramente affascinante…

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Insetti ed armi chimiche, un pericoloso videogame

Enthomology Animated Bombardier Beetle

Ci sarebbe da spezzare una lancia, tutto considerato, a favore del libero possesso della ghiandola pigidiale. Se il governo degli artropodi Uniti dovesse oggi promuovere una legge per vietarla, contrariamente al desiderio dei nostri bruchi fondatori, allora come potremmo mai difenderci dalle formiche del prato accanto? Che pessima idea! Privati della possibilità di spruzzare liquido appiccicoso ed ustionante in caso d’emergenza, ci ritroveremmo a che fare con situazioni totalmente impossibili: perché gli scarabei di terra criminali, mutati dalle radiazioni, ancora disporrebbero dell’arma di cui la natura li ha forniti. Mentre noi civili, rispettosi cittadini della grande quercia, senza ghiandole a disposizione, non potremmo che farli passare fino a dentro il nostro territorio. Piegando le due zampe anteriori e le alte antenne, di fronte ai loro occhi sfaccettati e carichi di foschi pensieri. Una ghiandola pigidiale, per quanto potenzialmente pericolosa, non è di per se malvagia. Sono gli insetti che uccidono altri insetti, non i loro più preziosi tesori! Anche la pallina di sterco dello scarabeo sacro, paragonata dagli antichi al disco del dio Sole, potrebbe facilmente schiacciare una coccinella o una cimice della corteccia. Ma non li sentiresti mai, quegli altri del partito, a chiacchierare contro quella cosa tanto amata da grandi e piccini. È sempre il carabide, coleottero di terra, a doversi assumere la colpa dei sensi di colpa della collettività. Eppure, quando c’è da divertirsi, ecco! Tutti si ricordano di lui. Frrr..
È una terribile battaglia. È la scena culminante di un film thriller sui mostri preistorici. È un twin-stick-shooter, nello stile di Geometry Wars, Helldivers o Hero Siege. È l’ultimo video di Eric Keller, rinomato artista dell’animazione digitale (sede operativa: Los Angeles) che ha ultimamente reso pubblica la sua passione trasversale meno prevedibile: quella per il mondo piccolo degli animali ricoperti di esoscheletri vibranti. Insetti ed entomologia, un argomento tra i migliori. Perché non c’è nulla di più facile, e al contempo straordinariamente soddisfacente, da realizzare tramite la versione informatizzata del primordiale modellismo, che creature tanto differenti da noi, che ben conosciamo senza averle mai davvero, guardate nei dettagli. Eh, ce ne vorrebbe di pazienza! Per riuscire a farlo, con lente d’ingrandimento o microscopio, strumenti fotografici dalle alte prestazioni, così via. Già mi sembra molto meglio, invece, sottoscrivere questo canale, in attesa del probabile terzo episodio, che arriverà probabilmente, domani? O dopodomani? Difficile aspettare. Qui c’è il marchio meritevole che aleggia, quello sempre più raro dei contenuti scientifici di qualità. Non per niente, stando alla rivista Popular Science, lo stesso rinomato entomologo Edward Osborne Wilson, visto il primo video della serie, lo ha elogiato ed ha voluto incoraggiarne la continuazione. Che puntualmente è giunta, con questa epopea di spruzzi e zampettante perdizione. Scarabeo bombardiere è il nome comune attribuito, soprattutto in lingua inglese, al gruppo delle circa 500 specie appartenenti alla famiglia dei Carabidi, sottordine Adephaga, ordine Coleoptera, degli insetti carnivori che hanno in comune, come principale tratto distintivo, un particolare sistema per spruzzare a distanza una secrezione repellente, terribilmente efficace nel respingere una vasta gamma di potenziali predatori. O prede. La ghiandola si trova, come per l’appunto dicevamo, sul retro del pygidium, la parte posteriore dell’addome, ovvero in prossimità dell’ano, ed ha un funzionamento assai più complesso di quanto si potrebbe pensare. Nella fedele ricostruzione tridimensionale che ne mostra l’autore, addirittura, pare un componente di un motore a scoppio, con tanto di candele di iniezione. Ed è difficile non entusiasmarsi, alla descrizione offerta del suo funzionamento: ci sono due lobi simmetrici, nella parte superiore, simili a cavità o veri e propri organi, tramite i quali l’insetto riesce a secernere una serie di sostanze estremamente diverse tra di loro. Ovvero acqua, principalmente, ma anche idroquinone (una sostanza tossica e maleodorante) e udite udite, perossido di idrogeno (H2O2) lo stesso componente chimico che ritroviamo, addirittura, nel carburante dei nostri razzi spaziali. Naturalmente, le quantità sono diverse. Ma il concetto resta tale e quale: i due pericolosi reagenti, per la maggior parte del tempo, restano inerti nell’addome dello scarabeo. Finché egli non decide che sia giunto il momento di farsi largo tutto attorno, attivandone il tremendo potenziale; allora, speciali muscoli aprono delle intercapedini dotata di valvole, attraverso cui la miscela precipita, per effetto della forza di gravità, nelle cavità di attivazione; dove speciali enzimi, prodotti dall’organismo della creaturina, agiscono sull’insieme, causandone la rapida trasformazione; il risultato, può essere riassunto con…

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