La leggenda delle torri sull’Oceano

Lighthouse relief

La nostra bestia addormentata, questo dinosauro-continente, vanta l’ornamento di due corni che si estendono verso le acque d’Occidente, percossi dalle turbolente onde dell’Atlantico selvaggio: sono la Cornovaglia d’Inghilterra, da una parte, e dall’altra la propaggine finale della Francia, tanto prossima a quell’altra, anche culturalmente, che già i Romani la chiamavano Britannia Minor, vista l’evidente analogia. Appellativo che nel tempo diventò Bretagna, ritrovandosi l’aggiunta di un trascurabile fonema /ɲ/ [-gn]. Ben poco cambiò il nome, di una tale terra, di Namneti, Osismi, Lexovii, Baiocassi, Diablinti, Coriosoliti, e di tutti gli altri popoli del ceppo celtico, tanto numerosi e variegati, quante le insenature delle loro coste, così poste sull’estremo settentrione. Molto cambiò invece il resto, di palazzi e torri, fari persi tra tempeste battenti… Non rassomiglia certamente al corno di una mucca, questa penisola, bensì a quello di un possente cervo. Perché ha duecento ramificazioni, scogli acuminati e piccole propaggini sabbiose, ostacoli tremendi alla navigazione. Molto più benevoli furono Scilla e Cariddi, gli antichi mostri geografici della nostrana tradizione, al confronto di una tale zona frastagliata, dove le fredde acque del Baltico e del Mar del Nord, sfociando nell’Oceano, turbinando si trasformano e scatenano la loro forza. Il placido Mediterraneo, culla di grandiose civiltà, mai conobbe questa guerra tra giganti. Per fortuna: che può fare l’uomo, contro tali forze? Guardarle, sorvegliarle, fargli luce nella notte, al massimo, per la maggiore sicurezza dei natanti. La Jument. Nividic. Kreac’h. Nomi che risuonano del peso dei naufragi ormai trascorsi. Questa è la ragione di tre torri, naufragate in questo mare da cent’anni, eppure, mai perdute, ancora vive e vegete, soprattutto grazie all’operato dei sistemi meccanici informatizzati – Non c’è molto da meravigliarsi. Ben pochi coraggiosi, oserebbero salire in sedi come queste.
Che noia, la vita del guardiano del faro! O almeno così dice, chi ancora non l’ha mai provata. Nel video soprastante, caricato giusto ieri su YouTube, viene mostrata l’esperienza memorabile del cambio della guardia presso un tale regno del sensibile, oltre lo sguardo di chi vive sulla terra firma propriamente detta. Della solida pietra su cui poggia il plinto, da cui sorge l’edificio, non v’è traccia; è stata nascosta, sia ben chiaro, dalla spuma delle acque turbolente. Non è questa una torretta galleggiante verticale, da cui calarsi sull’imbarcazione, giunta misteriosamente in mezzo al nulla. Se così sembra, sarà uno scherzo dell’inquadratura. C’è un segreto. Altrimenti a cosa servirebbe la testimonianza? La costa non compare mai, nell’iconografia dei fari.

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