La situazione che presenta una premessa già piuttosto strana: come può crescere fino a questo punto, entro i confini di una città da 8 milioni e mezzo di abitanti, una stalattite di esseri che ronzano, tanto vistosa e preoccupante? L’Apis dorsata, o ape gigante indiana, non ha infatti quella stessa abitudine della sua controparte occidentale più diffusa, l’A. mellifera, di fare il nido in luoghi ombrosi e riparati. Anzi, l’esatto opposto. Evolutasi per fare del suo regno le fitte foreste di Melaleuca, diffuse nell’interno sud e sud-est asiatico, fino alla penisola del Vietnam e nell’intera Thailandia, questa tipologia di insetto sociale si riconosce dalla capacità di accaparrarsi sempre uno dei rami più alti, al di fuori della portata di (quasi) tutti i predatori naturali. Il che significa, incidentalmente, che non è mai stato addomesticato. Immaginatevi un apicultore che dovesse decidere di tenere i propri insetti in alto, fuori da qualsiasi arnia e sotto gli occhi dei vicini, sopra quelle teste infastidite: semplicemente impossibile. Dunque qui non stiamo per assistere alla mera e familiare scena, assai diffusa negli Stati Uniti, di un hobbista/allevatore che viene chiamato al posto dell’impresa di disinfestazione, allo scopo di portarsi via la regina e la sua corte, poste al sicuro nella scatola di legno di un’arnia artificiale. Niente di così tranquillo e codificato dal senso comune! Mr. Karthik, il protagonista umano della scena, sembra piuttosto la versione moderna di uno sciamano della giungla, intento nel consumarsi di un pericoloso rituale. Non per niente, proviene da una tradizione vecchia di secoli, praticata assiduamente dagli abitanti del Bengala Occidentale di generazioni successive, allo scopo di raccogliere l’ambrato nettare dell’alveare. Lui sorride, il cliente sorride, soprattutto, nessuno indossa neanche il minimo accenno di indumento protettivo…Perciò dai, scordiamoci per un attimo di essere al cospetto di un intero agglomerato di esseri potenzialmente letali, lasciando che il ronzio ci culli nell’apprendimento di un concetto nuovo: si può amare l’ape, mai convivere con l’ape. Occorre, quindi, disporre dei giusti metodi procedurali.
La sequenza inizia con il primo passo irrinunciabile di tutte queste imprese, ovvero la fumigazione. L’addetto occidentale generalmente impiega le setole della saggina di una scopa o un sacco di juta, fatto ardere esattamente sotto il condominio alato per indurre la giusta misura di torpore senza rovinare la mobilia circostante. Problematica che non coinvolge Karthik, vista la location specifica dell’azione qui dimostrata: siamo infatti sul balcone di un qualche grande condominio, dove il vento può occuparsi di disperdere la fuliggine residua senza gravi conseguenze. Così lui impiega, come da prassi del suo ambito professionale, un intero ramo verde di qualche pianta misteriosa, probabilmente reciso per l’apposita occasione. Sono dunque fatti fuoco e fiamme, seguiti l’emanazione nera che disturba. L’operazione procede per qualche minuto almeno, benché la presenza di stacchi nella registrazione, a quanto ne sappiamo, potrebbe anche alludere a diverse ore di attesa. La sicurezza non è mai troppa, giusto? Sull’effetto e lo scopo di un simile passaggio, i commentatori presentano una marcata divergenza d’opinione: chi dice che le api, convinte che stia per sopraggiungere un incendio sulla propria casa, consumino tutto il miele a disposizione, allo scopo di prepararsi per la fuga. Ma che poi, costrette a sloggiare troppo presto, si ritrovino intontite ed incapaci di reagire. Secondo altri, il fumo ha la funzione d’interdire la percezione dei pericolosi feromoni, il segnale olfattivo, rilasciato dalla prima operaia che si sacrifica per pungere il nemico, e che convince le sue innumerevoli sorelle a far lo stesso con le conseguenze largamente immaginabili. Nel 2014 un disinfestatore di Singapore, operante mediante l’uso di metodologie più moderne, è sfortunatamente deceduto sul lavoro, durante un’operazione simile portata avanti contro le A.dorsata. Il referto del coroner parlava di circa un centinaio di punture effettuate nel giro di pochi minuti, sulle braccia, il corpo e il volto. L’organismo umano non può resistere ad un tale bombardamento, benché vada specificato che l’ape gigante d’India, nonostante il suo nome, non è molto più aggressiva della nostra A. mellifera, e lo sia certamente alquanto meno di qualsiasi vespa. Detto questo, occorre prestare una certa attenzione. Simili corposi alveari, del resto, presentano anche un sistema di avvertimento: la specie in questione ha l’abitudine, se minacciata, di effettuare la speciale danza dell’ondeggiamento difensivo. L’intera popolazione dell’alveare, in questo caso, si dispone a strati sovrapposti sulle sue pareti esterne, iniziando ad alzare il posteriore e far vibrare le ali in sequenza. L’effetto, visto da lontano, è stato descritto come simile a quello del pubblico di uno stadio che faccia la ola. Ma ci vuole ben altro, per scoraggiare un cacciatore consumato come Karthik…