Tre modi per farsi amico un sauro

Uroplastyx

Così vuoi vivere con le lucertole, pallido umano senzascaglie. La strada che hai scelto è lunga e irta di molte avversità. Considera, prima di tutto, l’importanza delle dimensioni: piccola, media oppure grande. Di sicuro non enorme: per quanto tu possa sentirti affine ai cari rettili dalle zampe artigliate, ti metteresti in casa un coccodrillo? Sia chiaro, puoi andarci molto vicino (non lo fare). Come tutte le cose, la via domestica dell’erpetologo s’intraprende per gradi successivi. Facciamo l’ipotesi, per studio, che tu scelga di accogliere nel tuo terrario l’uromastyx, compatta abitatrice vegetariana dei deserti del Nordafrica, quel simpatico personaggio che in cattività raggiunge una lunghezza di 25-30 cm circa, dalla punta del naso alla sua tozza coda. Quest’ultima, ricoperta di protuberanze aculeate, sarebbe il suo strumento difensivo. Ebbene, benché il suo nome provenga dal greco οὐρά (che vuol dire coda) e μαστίχα (flagello) qui non c’è proprio nulla da temere. Alcune specie di questo animale, anzi, vengono consigliate ai principianti. In particolare, l’uromastyx del Mali, con il suo pancione fatto per riempirsi di preziosa umidità, dimostra capacità d’adattamento all’interazione sociale e alla vita casalinga non indifferenti, che sembrano andare ben oltre l’infelice tolleranza di una facile fonte di cibo. Fino a poco tempo fa non si sapeva molto dei bisogni particolari di questa lucertola, con conseguente diminuzione dell’aspettativa di vita, per gli esemplari tenuti in cattività. Oggi la situazione è molto migliorata. Ci vuole un grande ambiente artificiale, riscaldato e illuminato adeguatamente, con un fondo sabbioso che permetta di scavare. Una roccia su misura, sotto cui l’animale possa nascondersi, chiudendo l’apertura con la coda. E poi deve mangiare bene, verdure soprattutto, più l’adeguato apporto di vitamine, generalmente servite tramite il mangime per le iguane, che piace molto pure a lui. Talmente tanto che un giorno l’uromastyx, diventato vostro amico, si lascerà grattare sulla pancia, agitandosi come un grazioso barboncino. Sembrerà quasi dire, con voce stridula e sibilante “Gran ssignore delle uova di gallina, ti voglio tanto bene!”.

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L’ebbra cavalcata del coniglio antelucàno

Duracell Rabbit

Allarme automobilisti! Sulle stradine della notte britannica corrono conigli d’illusione. Bestie mannare, apparizioni sovrumane, visitatori arcani di altri luoghi. Attraversando i percorsi dell’asfalto campagnolo, privi della protezione dei lampioni, ben pochi restano impassibili e distesi. Tutto può essere, molto tende a succedere. Unico appiglio del sensibile: i fari del veicolo, quell’arma splendida dell’uomo, contro l’ignoto. Tagliare il velo della notte, può bastare? Scacciare il buio innanzi a sé, ci mette al sicuro? Forse si, se siamo fortunati. Gli antichi cacciatori-raccoglitori, posti a confronto con i carnivori delle pianure primordiali, accendevano un fuoco prima di addormentarsi. Traevano forza da quel tiepido lucòre. Il coniglio antelucàno, dal canto suo, risiedeva nel potenziale spazio di future generazioni darwiniane; non era si ancora reso manifesto. Centinaia di migliaia di anni di evoluzione modificano i rapporti di potenza fra le specie, creano relazioni interconnesse e danno luogo a comportamenti inspiegabili, piuttosto preoccupanti. In questo video del giugno scorso, creato da CraigSPB28 mediante l’impiego di un comune cellulare, si assiste alla strana scena di un piccolo leporide, sperduto nel mezzo dell’infinita striscia d’asfalto, che tenta di sottrarsi all’incombenza di un’implacabile automobile. Potrebbe correre di lato, tornare fra i prati, ma non lo fa. Sfuggendo a quello che lui percepisce come predatore, procede dritto innanzi a se. Superarlo, lungo questa stretta strada di periferia, sarebbe pericoloso. Così la scena si protrae, surreale: gli occupanti del veicolo ridono, a tratti simpatizzano con l’animale, cercano in qualche modo di farlo allontanare. Alla fine, non c’è verso di salvarlo; si scorge per un ultimo secondo, mentre sopraggiunge un’auto in senso inverso.
Il tempo si ferma per un paio minuti, mentre il fato, impassibile, decide la fine della storia.

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La frenesia dell’uccello sghignazzante

Kookaburra

Difficile descrivere il verso del chiassoso kookaburra. Come un ululato, una risata, mille scimmie impazzite o il delirio derisorio di una iena innamorata sul finire dell’estate. Hollywood, nonostante le sue molte prerogative creative e immaginifiche, tende a riciclare di continuo certi elementi. Tutti avranno sentito, almeno una volta, il celebre grido di Wilhelm, l’ululato in dissolvenza prodotto da un personaggio colpito da qualcosa, che cade rovinosamente dentro l’abisso senza fondo. E se tale gemito è da sempre un elemento fondamentale dei film western o d’azione, puntualmente riemesso dai cattivi sconfitti in prossimità del pirotecnico finale, ecco qui una prestigiosa controparte, altrettanto importante eppure decisamente meno nota. Lo produce naturalmente questo uccello, altamente stimato in funzione della straordinaria dote. Sarebbe il classico suono di sottofondo per ogni scena ambientata nella giungla, irrinunciabile in ciascun capitolo dell’eterna saga di Tarzan o negli exploit dei suoi molti imitatori. Sotto l’ombra degli alti alberi pluviali, grondanti d’umidità e di vita, risuona in questo modo: (vedi video, registrato presso lo zoo di San Diego). Se si potesse prendere tutta l’Amazzonia, concentrarla in un barattolo come quelli della serie cow-in-a-can, poi aprirlo e guardarci dentro, spunterebbe fuori uno di questi kookaburra. Ci starebbe un po’ strettino, poco ma sicuro. Una volta uscito, meglio correre ai ripari.

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Millepiedi non bastano per arrivare prima

Millipede

Neanche l’artropode miriapode più grande al mondo può sottrarsi alle regole del codice della strada, specie qualora debba confrontarsi con delle dispotiche formiche legionarie. La scena si svolge nel parco nazionale di Bui, nel Ghana meridionale. Archispirostreptus gigasanche detto il millepiedi gigante africano, quella mattina si era svegliato con un proposito importante. Andare verso una specifica direzione, per un tempo indefinito, verso mete vagabonde. Difficilmente questo essere, che può raggiungere la ragguardevole lunghezza di 38 cm e i 7 anni di età, pensa profondamente a qualche cosa. Già le sue 256 zampe, di un numero equivalente ai colori grafici di un vetusto standard VGA, occupano la parte principale della preziosa materia cerebrale nascosta nel suo capo corazzato. Lentamente, tastando il suolo con le antenne, si volge verso sera. Una volta pronto, zampettando se ne va. Gira intorno ai tronchi degli alberi, in cerca del materiale putrescente di cui si abitualmente ama nutrirsi. Serpeggiando evita le pozze e i pochi torrenti delle regioni sub-sahariane, in cerca di un pascolo gradevolmente ombroso. Se incontra un predatore più grande di lui si chiude a spirale, lasciando scoperte unicamente le rigide placche dorsali, simili all’armatura a scaglie di un cavaliere medievale. Vive nella più totale serenità di un singolo momento, sapendo che in caso d’emergenza può anche secernere un fluido speciale, urticante per gli occhi e il muso degli eventuali mammiferi affamati. Tra l’altro non ha nemmeno un buon sapore. Tutti lo ignorano. E lui degli altri, non se ne cura. Finché, distrattamente, non giunge a contato con la sua perfetta antitesi: un formicaio, comunità brulicante fondata sul senso pratico e la determinazione. E li, beh, sarebbe servito l’aiuto di un semaforo.

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