L’antilocapra che costituisce l’animale più riconoscibile delle foreste giapponesi

Terra dalla storia non del tutto lineare, capace di raggiungere una sostanziale unificazione soltanto verso gli albori della nostra epoca Moderna, il Giappone ha sempre posto su di un piedistallo il fondamentale concetto di Wa  (和) armonia. Pace ed uniformità all’interno di un gruppo sociale, non importa quanto vasto, ma anche la corrispondenza univoca tra i reciproci fattori culturali eminenti. Antico e moderno. Razionale ed onirico. Progresso e natura. In modo largamente parallelo ma talvolta, nel caso di appropriati allineamenti, tutto assieme ed allo stesso tempo così come potrebbe giungere a testimoniare il Capricornis crispus o kamoshika, animale con gli zoccoli fessi, ghiandole odorifere sul muso e due piccole corna rivolte all’indietro, dall’aspetto falsamente inoffensivo così come il tipico sguardo che rivolge agli escursionisti nel suo territorio elettivo. Creatura solitaria, riservata, questo serow (dal nome assegnato agli appartenenti tassonomici allo stesso genere nel resto dell’Asia) trascorre infatti buona parte delle sue giornate a sorvegliare il paesaggio da un luogo elevato, pronto a palesarsi, dall’improvviso, tra le fronde soffiando e sbuffando un peana minaccioso all’indirizzo di coloro che minacciano la propria posizione di predominio. Capacità derivante in buona parte dal possesso altamente distintivo di un pié leggero e l’eccezionale agilità che ne caratterizza gli spostamenti, al punto da essere fantasiosamente associato alla figura semi-storica del ninja o shinobi, leggendario agente delle ombre in grado di mimetizzarsi e agire in base agli ordini del suo signore. Personaggio amato e al tempo stesso emarginato dal mondo civile e tutto ciò che questo simboleggia, un destino che allo stesso modo sembrerebbe aver condizionato gli ultimi 3 o 4 secoli di vita per il nostro amico caprino. L’animale era noto già storicamente per la sua carne e la pelle pregevole, come menzionato già nel Nihon Shoki (Cronache del Giappone) dell’VIII secolo, in merito ai doni diplomatici inviati dall’Imperatore di Yamato ai suoi magistrati di maggiore importanza. Per poi comparire di nuovo, possibilmente, nella raccolta di poesie waka dell’epoca immediatamente successiva del Man’yōshū (le Diecimila Foglie) ove si narra di un gruppo di shishi (capre) che si aggiravano nella foresta. Ma i suoi problemi maggiormente seri sarebbero iniziati successivamente, quando durante l’epoca Edo per i concetti importati della medicina tradizionale cinese si cominciò a credere che estratti ricavati dai suoi organi potessero curare diverse afflizioni dell’organismo umano. Favorendo una caccia ad ampio spettro, ulteriormente incrementata con il beneplacito degli agricoltori ed in modo particolare gli amministratori di terreni custoditi con finalità di produzione del legname, ove la loro abitudine di consumare teneri virgulti tendeva a causare l’impossibilità di pianificare adeguatamente un raccolto. Almeno fino all’introduzione nel 1934 di una legge per la protezione delle Proprietà Culturali e la nomina a importante simbolo nazionale, benché all’epoca gli esemplari rimasti fossero soltanto qualche centinaio distribuiti tra le isole di Honshu, Kyushu e Shikoku. Ma la fortuna di queste creature, in quel momento, stava per subire una brusca risalita…

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Setole di fuoco e sofferenza: l’anticipo del caldo ha richiamato il vermocane

“Gli scarafaggi sopravviveranno!” Per quanto possa essere correntemente udita, e ripetuta come un certo tipo di proverbio dell’Era contemporanea, non è chiaro se si riesca a interpretare tale frase fino alle sue ultime e più problematiche conseguenze. Poiché non occorre nessun tipo di guerra nucleare, o apocalittica catastrofe meteorologica, affinché l’uomo si ritrovi a pagare pegno come conseguenza delle proprie azioni. Il che significa una Terra dolorosamente avvelenata dall’inquinamento; ma anche, e soprattutto, la carente biodiversità dei giorni a venire. Pochi animali, dove un tempo ce n’erano molti, e ciascuno l’ultimo depositario di una linea evolutiva. che potremmo definire in essi declinata fino al punto più elevato dei concetti di adattabilità e resistenza. Chiavi di lettura in base a cui gli esponenti dell’ordine dei blattoidei stanno agli insetti, come i policheti agli anellidi marini, o per usare una qualifica più ad ampio spettro, gli spazzini serpeggianti e banchettanti dei mari. Definizione particolarmente calzante per quella che Aristotele chiamava “scolopendra dei mari” prima che l’introduzione del sistema binomiale scientifico portasse all’inaugurazione dell’appellativo Hermodice carunculata, benché tra gli ambienti dei pescatori o chiunque altro abbia regolarmente a che vedere con queste creature, gli venga normalmente anteposto qualcosa sulla falsariga di: “Quel dannato verme, figlio di un cane!”, “Baubau, non di nuovo!” oppure. in modo ancor più diretto: “Ahia, per il mastino del dio Nettuno!” Quest’ultimo perché il nostro oblungo amico misurante in genere fino ai 30 cm benché esemplari eccezionali di fino a 50 siano stati menzionati dalla letteratura, vanta come caratteristica dominante una fitta quantità di setole lungo l’intero estendersi dei suoi 60/150 segmenti corazzati, dall’aspetto morbido ma che in realtà nascondono vibrisse aguzze ed uncinate, capaci di restare infisse nella superficie epidermica di chiunque sia abbastanza sfortunato da entrare in contatto con loro. Procedendo quindi ad iniettare mentre agita esultante le sue innumerevoli coppie di parapodi (zampette) in base al preciso progetto dell’evoluzione, una tossina neurologica capace d’indurre irritazione, bruciore, mancanza di sensibilità. Per un tempo anche di giorni, o settimane, nella maniera ampiamente documentata grazie ai pescatori che ne trovano ogni anno multipli esemplari nelle rete, insinuatosi all’interno di esse al fine di scarnificare vivi i pesci prima che possano essere tirate nuovamente a bordo. Una casistica che in anni pregressi si verificava una, forse due volte a stagione, ma che ora sta diventando progressivamente più comune ed in modo particolare in questo anno 2024, che ha già infranto tutti i record di calore medio a partire dallo scorso gennaio. Per il quale inizia profilarsi un’estate che sarà infernale, da più di un punto di vista verso cui sia possibile fare riferimento…

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Battaglia tra le piccole fessure del deserto: la formidabile presenza del planigale

Quando l’asse dell’inclinazione variò impercettibilmente, nel momento in cui la composizione dell’atmosfera terrestre mutò di alcuni atomi latenti, alla caduta di un corpo celeste come possono avvenirne dozzine all’interno di una singola era geologica, interi ecosistemi crollarono, gruppi di specie cessarono di esistere, l’equilibrio di forza tra le forme di vita venne scardinato via, letteralmente, dalle solide mura dell’edificio. Questo poiché la selezione naturale, di suo conto, non era preparata. Riuscite ad immaginare, da un punto di vista fisico, qualcosa di più forte di un tirannosauro? Le fauci gigantesche con le arcuate zampe, capaci di spingerlo all’indirizzo della preda con la velocità paragonabile a quella di uno scooter di piccola cilindrata. Possente, ma mai imbattibile. Poiché soltanto ad un’analisi superficiale, la presenza fisica riesce a costituire l’intero romanzo storico di un animale. La cui vicenda ed ultima risoluzione sono l’effettiva conseguenza, da un punto di vista pratico di multipli eminenti fattori di contesto. Non è il dominatore nessun altro, che il più terribile divoratore… Del suo contesto. E ciò che è molto piccolo può anche riuscire a sopravvivere. Dove creature molto più imponenti, già da molto tempo, avrebbero gettato la spugna dell’estinzione. Minuto, compatto, insignificante come il Planigale ingrami da 60 mm di lunghezza, 4,2 grammi di peso, tali da farne il più piccolo marsupiale dell’Australia e del mondo. Nonché il più piccolo mammifero, probabilmente. In quello che potremmo agevolmente definire come con caso di convergenza evolutiva nei confronti del topo pigmeo africano, le cui somiglianze in termine di dieta, comportamento e predisposizioni risultano del resto essere notevolmente diverse. Difficile in effetti immaginare, qui o in altre circostanze, un predatore più famelico ed al tempo stesso efficiente di questo, capace di suddividere i propri cicli diurni e notturni tra frequenti pause letargiche, come fatto dai pennuti colibrì americani, e frenetiche spedizioni di caccia, capaci di renderlo il terrore incontrastato di ragni, scorpioni, scarabei e millepiedi. Creature capaci di risultare, nel più arido e vasto continente meridionale, tanto spesso più grandi di lui. Ed è un vero spettacolo vedere l’agile aggressore che gli balza addosso, agguantandoli con le sue manine dai metatarsi allungati, mentre si affretta ad ucciderli con uno o due morsi della mandibola dalla forma piatta ed allargata. Incorporata nel progetto di un cranio che potremmo definire tra i più aerodinamici del mondo naturale, la cui sommità non supera i 4 mm di distanza dal suolo, come accorgimento particolare a intraprendere il tipo di avventura che l’animale, nella maggior parte delle circostanze, è stato preparato a intraprendere in una nicchia ecologica estremamente definita: escursioni tra il duro terreno spaccato dal sole del Territorio del Nord ed il Queensland, unico luogo riparato dal calore accumulato nelle ore diurne persino dopo il calar del sole, quando iniziano le ore preferite dal piccolo aggressore d’insetti del sostrato latente. Incolpevoli soggetti della predazione, cionondimeno condannati dalle caratteristiche inerenti del proprio stesso luogo di permanenza…

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Le affilate zanne del ragno che ha fatto dell’assassinio il suo stile di vita

Il pellicano costituisce, per qualsiasi animale di mare o di terra che sia più piccolo della sua bocca, un pericolo pressoché costante. Non che l’aspetto di uno degli uccelli volanti più imponenti al mondo incoraggi a concedergli alcun tipo di fiducia, con gli occhi fissi, il grosso becco dalla parte inferiore rigonfia e la postura oscillante, che lo vede brandirlo come un surreale spadaccino. Innumerevoli sono i filmati, reperibili online, in cui la creatura in questione agguanta e ingurgita creature come un temibile gabbiano sovradimensionato. Non c’è nulla di più orribile ad immaginarsi, proprio in funzione di questo, che la perfetta via di mezzo tra un simile predatore aviario e il ragno, l’apparente risposta della natura alla domanda “Come posso coniugare assieme la combinazione di fenotipi evolutivi del più inarrestabile, ingegnoso, implacabile tra i predatori privi di una spina dorsale?” Una visione non così ipotetica e del tutto degna di essere considerata preoccupante per chiunque incluso l’uomo, se non stessimo parlando di creature non più imponenti di un singolo chicco di riso. La cui stessa vita ed intera esistenza, d’altra parte, paiono profondamente dedicate al perfezionamento di un tecnica di caccia dei propri simili introdotta a questo mondo dal periodo alquanto significativo di 40 milioni di anni. Così lungo, che ad una presa di coscienza cronologicamente approfondita sarà possibile trarre la conclusione che proprio il nostro ottuplice amico sia in effetti assai più antico dell’eponimo pennuto di riferimento. Al punto che sarebbe formalmente più corretto chiamare quest’ultimo “uccello-Archaeidae” piuttosto che il contrario. Il che appare oggettivamente poco probabile, visto come il piccolo predatore non assomigli poi così tanto alla controparte, fatta eccezione per il lungo “collo” specifiche situazioni in cui le proprie zanne raptatorie, concettualmente non così dissimili da quelle di una mantide religiosa, non si trovino raccolte assieme e puntate rigorosamente verso il basso, alla stessa maniera del becco menzionato nei paragrafi precedenti. Pur trattandosi, come avrete capito a questo punto, di due arti nettamente distinti ed indipendenti, nel caso specifico corrispondenti alla definizione dei cheliceri, impiegati dalla stragrande maggioranza degli aracnidi per poter introdurre il cibo all’interno delle proprie bocche affamate. O come in questo caso… Catturarlo. Con un approccio strategico utilizzato indifferentemente dai maschi che le femmine di questo gruppo di circa 90 specie, il cui dimorfismo proporzionale risulta essere d’altronde molto inferiore a quello di altri esponenti della classe dei ragni. Un chiaro requisito, per permettere anche ai maschi di effettuare l’accurato assalto strategico nei confronti dei malcapitati rappresentanti dello stesso gruppo d’ipotetici tessitori di ragnatela… Benché costui possa vantare, nella maggior parte dei casi, molto di meglio da fare.

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