La cascata che prende fuoco a febbraio

Il rumore distante dell’acqua scrosciante segnava il passo dei minuti, mentre le svariate dozzine di fotografi, ciascuno giunto lì per un motivo differente, rivolgevano lo sguardo in alto con atteggiamento nervoso. Per alcuni, quello era il terzo pomeriggio trascorso in quel posto, tra le fronde degli alti alberi del parco Yosemite. Altri, invece, si erano trovati lì quasi per caso, nel corso di un giro programmato da tempo. Le auto poco distanti, parcheggiate a margine della strada di El Capitan e il cielo per lo più terso, finalmente, per permettere all’astro solare di scagliare i suoi raggi di traverso, verso quegli ultimi, epici 10 minuti di un giorno degno di essere narrato. Per immagini ovviamente, a vantaggio dei posteri o degli archivi locali… Della pagina Facebook, la gente di Internet che ci guarda da casa. O volendo essere più inclusivi, di chiunque abbia due minuti per vedere qualcosa di unico nella stagione presente e in tutte quelle a venire. Mentre una lieve brezza si alza all’improvviso, scostando le ultime tracce di nubi nel secondo mese dopo il solstizio d’inverno, alcuni tra i presenti meditano sulla principale qualità della natura: che è immensa, pervasiva ed onnipresente, dal punto di vista spaziale, eppure così specifica per quanto concerne quello temporale. Con letterali migliaia di fenomeni osservabili soltanto per pochi istanti, al verificarsi di un specifica congiunzione dei fattori pertinenti. I quali sarebbero, nel momento qui preso in esame, niente meno che astrali. Intendiamoci: il Sole tramonta ogni giorno. E la montagna, ovviamente, resta pur sempre lì. Ciò che si sposta, nonostante l’assurdità predicata da taluni cultori dell’anti-scienza contemporanea, è la Terra. La luce inizia a cambiare colore: sono le cinque di pomeriggio passate, ormai (per usare la notazione americana, l’orologio indica soltanto le mezze giornate). Mentre la troposfera viene penetrata da una particolare angolazione, il che porta l’energia visibile ad attraversare il particolato atmosferico assumendo un caratteristico tono rossastro. È un tramonto spettacolare, ma niente che giustifichi la lunga trasferta fino al maggiore luogo incontaminato della California centro-settentrionale. Lo sguardo, e gli obiettivi fotografici dei presenti restano ancora fissi sulla sottile cascata stagionale di Horsetail (la coda di cavallo) un elemento paesaggistico che si rinnova solamente con lo sciogliersi annuale delle nevi montane e rende certamente onore al suo nome, visto l’aspetto decisamente simile alla parte anatomica dell’animale. Con una rapidità che risulta ormai quasi visibile ad occhi nudo, la luce continua a spostarsi verso il suo poderoso scorrere, finché d’un tratto, arriva il momento della verità. Sarà questo il momento? La ragione della nostra venuta? Il riflettore nel cielo compie l’ultimo balzo, in quelli che paiono essere pochi cruciali istanti. La cascata sembra fermarsi per un attimo nello sguardo degli astanti. Qualcuno grida un “hurrah!” Poi tutto riparte, ma è stato completamente trasformato. Le tonnellate di gocce al minuto si sono trasformate in un lucente tutt’uno, una letterale scia sfavillante che si staglia contro la roccia cupa. Gli elementi si sono rimescolati. E dove c’era l’acqua, adesso, campeggia il fuoco.
Si tratta di un fenomeno indubbiamente noto ai nativi Awahneechee di questi luoghi, che celebravano la cascata come un segno periodico della volontà dei loro sommi Spiriti e Dei. Tuttavia non sappiamo davvero se, al momento della scoperta di questa valle da parte degli esploratori occidentali nel 1851, costoro ne avessero trasmesso la conoscenza, né se fosse stato possibile incasellarla nella rigida struttura di un calendario. Fatto sta che la prima immagine di questa cascata entrata prepotentemente nell’immaginazione popolare, nonostante fosse una tra le molte della regione, fu opera di un certo Ansel Adams negli anni ’30 del ‘900, che riuscì a catturarne la forma drammatica ed armoniosa con tutto lo stile di un fotografo consumato. C’era, tuttavia, un piccolo problema: tale immagine era stata scattata, per mere ragioni cronologiche, in un affascinante color bianco e nero. Affinché il segreto della metamorfosi fiammeggiante fosse svelato al mondo, dunque, sarebbe stato necessario aspettare un’altro ventennio quando, successivamente all’invenzione della fotografia a colori, Galen Rowell si trovò a passare di lì. Soltanto per scorgere all’improvviso, mentre guidava tranquillamente lungo la strada che costeggia il massiccio di El Capitan, questo inconcepibile e straordinario bagliore. Il che lo portò, stando alle cronache ufficiali, a precipitarsi in prossimità della cascata, infrangendo abbondantemente gli stringenti limiti di velocità locale, soltanto per realizzare un’inquadratura destinata a trovare posto in tutte le antologie, e rendere lui stesso, per certi versi, immortale.

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L’arteria pinnuta che porta nel cuore della foresta

I ritmi della vita sono diversi nelle profondità delle acque lacustri, fluviali e marine. In un periodo tra i 2 e i 6 mesi, si schiude l’uovo, e si fa la conoscenza col mondo in forma di avannotti. Una volta esaurito il nutrimento presente nella propria capsula di nascita, si inizia a dare la caccia al plankton. La più piccola ed onnipresente corrente di vita. L’estate non fa in tempo a finire, che già sei diventato un parr: il termine, privo di equivalenza italiana, che indica i giovani salmoni. Per tre anni, tali esseri restano in questo stadio, finché non sentono con tutto il loro essere che è giunto il momento della verità. Tre anni sono passati, quando si lasciano indietro la livrea mimetica a strisce, sostituita da scaglie scintillanti come la corazza di un antico eroe. A quel punto, sono pronti: in un turbinio di guizzanti esseri, la grande migrazione ha inizio. Dapprima a gruppi sparuti, quindi veri e propri branchi, l’esercito dei nuotatori inizia a percorrere le anse e le rapide del fiume Chilkat, in Alaska. Loro è il trionfo, l’estasi e la ricchezza. Di un vero e proprio furto generazionale: quante sostanze nutritive, quali magnifiche proteine, l’energia accumulata, costoro sottraggono al luogo di provenienza? Come una valanga che tutto assimila, i pesci corrono verso valle. Ma nel farlo, come una sanguisuga, si portano via il fluido stesso dell’entroterra, verso le oscure vastità dell’Oceano Pacifico. Chi ma risarcirà la foresta?
Gli anni passano, quindi, senza particolari eventi. Forme anonime nella vastità turbolenta, i salmoni vagano per i verdi pascoli d’alghe, catturando tutto ciò che gli capita a tiro. Al raggiungimento di un autunno che può essere il terzo (Salmone Rosa) il quinto (S. di Coho) il settimo (Chum salmon) l’ottavo (Sockeye) o il nono (Chinook) i pesci raggiungono la pubertà. È allora, secondo alcune teorie, che un particolare accumulo di ferro nel loro cranio si attiva, attivando un senso di localizzazione magnetica che gli permette di tornare verso la foce di provenienza. Ed è nel momento in cui i loro ricettori chimici percepiscono l’odore delle acque natie, che inizia la seconda trasformazione: è spaventosa a vedersi. I pesci aumentano la loro massa corporea come l’Incredibile Hulk, sostituendo le proprie fibre muscolari rosse con quelle bianche, più adatte a sforzi ed imprese disperate. Nei maschi, la parte anteriore della bocca sviluppa un uncino (il kype) mentre i loro denti crescono a dismisura. Alcune specie vedono svilupparsi un’impressionante gobba, dalla finalità incerta. Ed è in questa forma, che iniziano a risalire il fiume, verso il luogo in cui avverranno la deposizione e l’incontro nuziale.
Si tratta, naturalmente, di un grande sacrificio. Ciascuno di questi pesci comprende che al termine di questo viaggio, potrebbe non fare ritorno mai più. Benché tra le specie del Pacifico, ne esistano alcune in cui la femmina sopravvive allo sforzo, e ritornata fin giù al mare, può riprendersi gradualmente per vivere ancora quell’esperienza. Ma questo non è garantito, né essenzialmente realmente opportuno. Poiché lo scopo stesso del salmone, come animale semèlpare, è di riprodursi e morire. O venire ghermito dai predatori ancor prima di riuscire a farlo. Persino questo, è preferibile all’oblio marino. Per quale ragione, la natura l’ha concepito così? Non sarebbe stato meglio creare un essere in grado di riprodursi più volte nel corso della propria vita… Forse. Eppure, forse no. La ragione, o il merito di tutto questo va ricercata nell’azione collaterale di uno specifico, fondamentale animale: l’orso.

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Lo strano volo di un würstel cromato

La figura in giacca e cravatta a lato della pista di decollo principale dell’aeroporto di Van Nuys si voltò verso il suo nutrito entourage di fisici, ingegneri, uomini d’affari e segretari. Nei suoi occhi risplendeva una luce che non si era vista da ormai da svariati anni : “Azcoltatemi, coleghi! Qvesto è il più importante mezzo che abbiamo per portare noztri piloti su Lùna.” Dietro di lui, svettante come un bizzarro e indecente animale, il più strano aereo che molti di loro avessero mai visto: le ali relativamente piccole, con quattro propulsori ad elica dall’aspetto già piuttosto desueto, in quel 1962 durante il quale persino in campo civile si preferiva impiegare i jet. Ma niente sembrava poter smorzare l’entusiasmo di Wernher Von Braun, il direttore del Marshall Space Center dell’Alabama e quindi, per estensione, una delle figure più importanti in quella particolare fase del programma spaziale americano. Personaggio controverso, non soltanto per la sua nazionalità tedesca ed il ruolo nell’invenzione della bomba V2: il progettista dell’unica arma che fosse riuscita a bombardare Londra, prima di essere espatriato negli Stati Uniti, era stato anche un nazista ed un membro delle SS (benché non per scelta) ed informazioni a quel tempo classificate lo ponevano come perfettamente al corrente delle atrocità commesse nel campo di concentramento di Mittelbau-Dora, da cui lui stesso prelevava i lavoratori da mettere all’opera nella sua fabbrica sotterranea di Mittelwerk. Il suo entusiasmo quasi infantile di quel giorno in cui tutto era stato perdonato, tuttavia, sembrava derivare da una parte completamente diversa di lui, l’infantile passione che gli aveva permesso di diventare un amico personale di Walt Disney, e realizzare assieme al grande intrattenitore una serie di documentari sullo sforzo statunitense per primeggiare lassù, nel cosmo conteso col grande nemico russo. La forma bombata dell’impossibile fusoliera d’aereo si stagliò nettamente, per qualche secondo, tra il cielo e la sua testa canuta, sembrando l’aureola della sua assoluta innocenza. Quando d’un tratto, il velivolo raggiunse la posizione designata ed una piccola figura umana iniziò a scendere dalla scaletta mobile già attentamente posta in posizione.
Il pilota, nonché progettista del Pregnant Guppy (Pesciolina Incinta) era John Michael “Jack” Conroy, un agile quarantenne dalla carriera pregressa ad Hollywood, rimasto celebre nei tardi anni ’30 per la sua partecipazione alla serie di film dei cosiddetti Little Tough Guys, un gruppo d’attori “affascinanti e un po’ maledetti” protagonisti del cinema d’intrattenimento di allora. Che successivamente al suo arruolamento durante la seconda guerra mondiale, aveva assunto il ruolo di pilota di una fortezza volante B-17, il che l’aveva posto, nei fatti, a capo di una squadra di nove membri dell’equipaggio. Finché nel 1942, durante una missione, non dovette paracadutarsi in situazione disperata sopra i campi nei pressi della città tedesca di Zelt, venendo preso prigioniero con un braccio e una spalla fratturati. Il che, lungi dal porre fine alla sua carriera, avrebbe piuttosto rafforzato una profonda passione per l’aeronautica, portandolo successivamente alla sua liberazione nel 1945 ad arruolarsi di nuovo nell’USAF, come pilota sperimentatore ed istruttore delle unità di riserva. Nel 1955, quindi, la singolare figura aveva completato il Progetto Boomerang, pilotando un caccia a reazione Sabre da questo stesso aeroporto di Van Nuys fino a New York e ritorno, nel corso di una sola giornata di volo. Un’operazione che stabilì numerosi nuovi record mondiali. Ma adesso, quasi 10 anni dopo, la commissione della NASA era lì per valutare un suo diverso presunto merito o stravagante follia: l’idea che fosse possibile trasportare i componenti dei loro razzi per via aerea, mediante l’impiego del più brutto e sproporzionato mezzo volante nell’intera storia dell’aviazione. L’ex eroe di guerra aveva rischiato molto per giungere a questo: trasformatasi in imprenditore, nel 1960 aveva fondato la compagnia Aero Spacelines, spendendo tutti i risparmi ed ipotecando la sua stessa casa. Un gesto piuttosto azzardato, quando si considera che il suo unico possibile cliente era il governo. E se quest’ultimo avesse rifiutato…
Il nutrito team d’intervento e spegnimento incendi riservato spontaneamente dalla direzione dell’aeroporto, alla semplice vista di una simile mostruosità che tentava di decollare, ricevette l’ordine di tornare a riposo, mentre Conroy, seguìto dal suo giovane copilota Clay Lacy, si avvicinava con lunghe falcate al compunto scienziato tedesco, enfatico promotore del destino intra-solare, e persino marziano, della futura razza umana. Senza che una singola parola fosse pronunciata, i due si strinsero la mano. Il nutrito pubblico, a quel punto, iniziò ad applaudire.

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Uno sguardo alle Formula 1 dei deserti nordamericani

È un video interessante perché non siamo abituati a vederli così: al centro di un’immagine perfettamente stabile, inquadrato di profilo. Dalla piattaforma di un veicolo altrettanto veloce, ma non dotato delle stesse prestazioni. Per il semplice fatto che sta viaggiando su strada. La velocità media di uno di questi bolidi esteticamente affini al concetto di pick-up (o come li chiamano in patria, trucks) si aggira in effetti sui 150-180 Km/h; niente che un’auto sportiva di classe media non possa raggiungere, dietro adeguato spazio per accelerare. Ma è dove riescono a farlo, a costituire il tratto definitivo dell’intera questione: sopra i sassi, le buche, i dislivelli dei deserti nordamericani. In Arizona, California e Messico, ad esempio, dove quelli che a noi sembrerebbero degli ostacoli importanti, vanno considerati come poco più che un ciottolo finito sull’asfalto. O a Plaster City US-CA, la patria nazionale dell’intonaco per le pareti delle abitazioni. Esatto, proprio così. Perché qui si trova, fin dal secolo scorso, una delle miniere più importanti al mondo di gypsum, minerale evaporitico anche noto come plaster of Paris, per la sua patria tradizionale europea in prossimità della capitale francese. E qui viene individuato, nell’estremo meridione dello stato di Los Angeles e San Diego, anche un tracciato particolarmente popolare per testare le sospensioni, gli pneumatici e il motore prima di partecipare ad una delle gare più importanti al mondo: la Baja 1000 di Ensenada, Mexico, nella penisola della Bassa California. Tecnicamente definibile come un raid rally, ma dal punto di vista delle passioni umane, più che altro un’avventura, un viaggio epico, una corsa contro il tempo e le illusioni. Ora, la differenza tra questo e un rally secondo il concetto europeo, potrebbe esservi già nota: per il Campionato del mondo WRC si corrono una serie di prove speciali lungo dei tratti chiusi al traffico, quindi si sommano i tempi per ottenere il risultato finale. In America, invece, si parte da un punto e si mira ad un altro, ad 800, 900, 1000 miglia di distanza. L’intera gara, rigorosamente ininterrotta, può durare anche più di 24 ore. Il che, ovviamente, pone sotto uno stress notevole piloti e navigatori (quando presenti) ma anche e soprattutto i loro mezzi di trasporto. Che possono appartenere ad un vasto ventaglio di classi. L’ente organizzatore della SCORE International (Sanctioning Committee Off Road Events) riconosce allo stato attuale oltre 40 tipologie diverse di mezzi di trasporto, tra cui figurano automobili quasi-di-serie, grossi fuoristrada, dune buggies, motociclette, ATV… E poi ci sono loro. I trucks. I più impressionanti fulmini che abbiano lasciato l’approdo sicuro delle strade costruite dall’uomo.
Quello che avete visto nel video di apertura appartiene al team relativamente piccolo degli Psychotic Racing, che in quanto tale partecipa alle gare della SCORE nella categoria 14 di livello semi-pro, la cui definizione risulta essere “Sportsman Unlimited Open Truck”. Il che si riferisce a dei fuoristrada alterati in maniera significativa, ma non costruiti appositamente da zero per massimizzare la velocità e stabilità di gara. Il risultato finale non viene in alcun modo compromesso da ciò. Poiché l’auto in corsa sembra, piuttosto, una nube di tempesta, in cui il caos e i venti si scatenano al di sotto della linea di divisione. Mentre la parte sovrastante al corpo macchina, la scocca che corrisponde all’empireo del Paradiso, resta perfettamente stabile ed immota. Si potrebbe quasi prendere un caffè, durante questa breve passeggiata di salute. Si potrebbe dipingere un quadro o fare pratica nella calligrafia. Poiché è un viaggio che ci ricorda, in modo molto esplicito, come la forma più naturale delle gare motoristiche non debba necessariamente prevedere alcun tipo di curva. Un concetto, quello, che si origina dall’idea di mettere alla prova dei piloti nella guida “su strada”. Mentre quando si viaggia nell’ambiente del puro ed assoluto deserto, le uniche deviazioni che contano sono quelle di natura verticale. Ed anche loro, possono essere eliminate…

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