Londra inaugura lo scavo che dirotta le acque nere dal corso del vecchio Tamigi

Joseph Bazalgette è l’ingegnere di epoca Vittoriana, un tempo in cui la professione veniva celebrata in Inghilterra al pari dei politici e i campioni sportivi, responsabile di uno dei progetti che, più di ogni altro, forgiarono l’aspetto e le vigenti condizioni della capitale d’Inghilterra nei tempi moderni. Nato a Clay Hill, figlio di un capitano di marina che aveva condotto il proprio apprendistato nell’azienda ferroviaria del celebre Macneil, entrò a far parte della commissione metropolitana nel 1849, dove iniziò a supervisionare il mantenimento e l’ottimizzazione per i sistemi sotterranei cittadini. Anni dopo, nell’agosto del 1858, si verificò l’evento principale della sua carriera: la terribile grande puzza che come una cappa, gravò sopra le strade fino al punto di causare sofferenza, malanni e l’ennesima epidemia di colera. Non era più possibile, sostanzialmente, negare che le fogne necessitassero di un radicale rinnovamento. E lavorando alacremente con concentrazione ai limiti della capacità umana, egli diede il suo importante contributo: si stima che entro la fine del XIX secolo, sfruttando i piani che in buona parte aveva personalmente disegnato sarebbero state completate 89 nuove miglia di tunnel, dotati di un sistema d’emergenza a prova di inondazioni. Giacché in caso di necessità, piuttosto che tracimare allagando strade ed abitazioni, l’eccedenza idrica sarebbe stata convogliata nel grade fiume e verso le ampie acque del Dogger Bank, risparmiando agli abitanti nuove orribili esperienze coi miasmi mefitici capaci di distruggere qualità e durata della loro vita. Arrivare ad un qualcosa di tanto efficace, con largo anticipo rispetto al resto del mondo, può d’altronde comportare dei problemi addizionali e di non facile previsione. Giacché la città di Londra, che allora aveva circa una metà della popolazione odierna, giudicò per oltre un secolo di aver fatto già più che abbastanza. Mentre ciò che doveva capitare solamente una o due volte l’anno, diventò la semplice normalità, sterminando essenzialmente ogni forma di vita acquatica che osasse avventurarsi tra i flutti dell’antico fiume sovrastato dal Parlamento. Procedendo un lungo periodo d’introspezione e valutazione dopo l’inizio del nuovo secolo, attorno al recente 2015, è stata infine costituita una commissione, destinata a elaborare il grave grattacapo da diverse angolazioni. Per giungere ben presto all’unica conclusione possibile, che un’operazione simile dovesse essere intrapresa nonostante il costo proibitivo. E una nuova, gigantesca, gigantesca cloaca ricavata a partire da quella tradizionale dello Stratford to East Ham tunnel, fino allo storico impianto di riciclo e smaltimento delle acque di Beckton, vicino Newham. Il progetto, nonostante la partecipazione d’importanti investitori privati tra cui Allianz, Amber e DIF, avrebbe avuto un costo per le casse dell’erario totalmente privo di precedenti per le simili questioni urbanistiche nei nostri giorni: all’incirca 5 miliardi di sterline tanto che in molti si sarebbero qualificati come detrattori di una simile idea. Ma di fronte all’evidenza, il Thames Tideway Tunnel iniziò un lungo viaggio produttivo destinato a concludersi, sotto molti punti di vista, con l’azionamento delle ultime chiuse verso la metà dell’attuale febbraio 2025…

Leggi tutto

L’impraticabile leggerezza dello Starship, futuribile fallimento nella storia dell’aviazione

Se i tipici compratori degli aerei privati dovessero preoccuparsi in maggior misura proporzionale del costo iniziale del velivolo, vedremmo probabilmente una maggiore quantità di apparecchi concepiti per stupire o impressionare gli spettatori, in maniera analoga ma in proporzione più costosa delle stravaganti hypercar che lungi dal diminuire di numero, hanno addirittura proliferato nel corso degli ultimi due decenni. Se anche il significativo apporto pecuniario da conferire per carburante, mantenimento e riparazione di una tale classe di status symbol costituisse l’ultimo problema, ancora i più bizzarri esempi ingegneristici troverebbero un proprio segmento di mercato, vista l’esistenza del rinomato ed altrettanto problematico 1%, per cui ogni tipologia di crisi economica o disastro finanziario costituisce ormai soltanto l’occasione di generare ulteriori profitti. Ma un mezzo di trasporto alato è soprattutto la punta dell’iceberg di un sofisticato sistema, fondato sulla produzione pressoché continua di pezzi di ricambio. E non è semplicemente immaginabile che una compagnia del mondo capitalista, di fronte a una manciata di esemplari venduti, possa continuare a supportarli in perpetuo. Fu probabilmente questo, tra gli altri fattori ad affossare irrimediabilmente uno degli aerei più avanzati (in linea di principio) ed avveniristici (se così vogliamo definirlo) dei rutilanti, fiduciosi, eclettici anni ’80.
Ci sono bolidi con ali a freccia, ed altri dotati di configurazione aerodinamica con gli alettoni frontali canard. Alcuni sono dotati delle atipiche eliche spingenti, con il vantaggio di ridurre le vibrazioni nell’abitacolo fino ad un valore paragonabile a quello di uno stabile motore a reazione. Ben pochi, d’altra parte, possiedono una “coda” invertita, finalizzata a contrastare l’eccessiva portanza della parte frontale della fusoliera, che avrebbe altrimenti teso ad allontanarsi costantemente ed incessantemente dalla linea dell’orizzonte. E poi c’è il Beechcraft Starship, che incorpora tutte queste caratteristiche e diversi altri anacronismi, intesi come valide anticipazioni di tecnologie all’epoca sperimentali, alcune delle quali destinate a diventare dei capisaldi futuri dell’aviazione. Ecco un piccolo bimotore a turboelica per fino ad otto passeggeri dunque, che potrebbe definirsi la risultanza di una serie di fattori tangenti, ciascuno destinato a contribuire al suo strabiliante eclettismo in termini di estetica e funzionalità. Costituendo, allo stesso tempo, l’imprescindibile genesi della sua inevitabile condanna. L’idea nacque di suo conto nel 1979, dall’intento pratico e condivisibile di commercializzare un nuovo successo appartenente alla categoria dei riusciti King Air, aerei “da turismo” e trasporto su tratte medio-brevi, che avevano dominato il mercato nel corso delle loro ultime quattro generazioni…

Leggi tutto

Zimoun e l’indeterminazione acustica di una sinfonia di oggetti del quotidiano

Non è particolarmente insolito decidere di mantenere al centro dei propri pensieri condizioni o circostanze memorabili della propria infanzia. Incluso il soprannome scelto, in questo caso dai coetanei con cui trascorreva liete giornate a Berna, Svizzera, per colui che in seguito sarebbe diventato il più encomiabile, citato demiurgo delle sinfonie corali prodotte dalla chincaglieria del mondo. Non possiamo dire di conoscere d’altronde quale sia il significato di quel termine, Zimoun, mentre molto più condivisibile risulta essere l’altro residuo di quell’epoca, così frequentemente citato da costui in occasione delle plurime interviste rilasciate nel corso degli ultimi vent’anni: la grande stufa che lo affascinò all’interno della casa dei suoi genitori. Oggetto oblungo di metallo lucido, il cui rombo sostenuto, ed il ticchettio prodotto al cambio di temperatura, diventarono per lui l’equivalenza di un potente sentimento, ovvero la profonda risultanza di trovarsi avvolto da uno spazio, la sua musica, l’odore e l’imponenza dei mutamenti. Così che, crescendo, pur senza posizionarsi come il ricevente di un’educazione artistica formale, egli avrebbe elaborato nella propria mente un metodo per scorporare e interpretare il mondo. Forse il più difficile tra i molti, questa costruzione di complesse installazioni artistiche, destinate a diventare benvolute dalle mostre, gallerie e spazi museali di ben oltre la metà del mondo. Attraverso l’evoluzione progressiva di una tale tecnica, difficile da ricostruire nonostante la pesante complessità delle disquisizioni pseudo-biografiche che lui stesso, o altri, si sono preoccupati d’inserire su Wikipedia, tali opere si sarebbero così guadagnate alcuni fattori estetici ricorrenti: l’utilizzo privilegiato di materiali di recupero o similari, la modularità ripetuta in grado di portare solamente in apparenza alla monotonia, la produzione auditiva di un chiacchiericcio di suoni stocastici, inerentemente difficili da prevedere. Ancorché lo stesso Zimoun ami ripetere che la sua arte non produce meramente musica, costituendo più che altro l’effettiva comunione delle percezioni sensoriali sovrapposte, perciò quello che si sente, assieme a quelle immagini tracciate dalle luci ed ombre, costituiscono elementi a pari merito importanti di un processo la cui complessità trascende il singolo momento. Evolvendosi attraverso profusioni caotiche soltanto in apparenza…

Leggi tutto

L’originale auto aerodinamica, un trascurato traguardo rumeno

Fattore di una certa importanza nella moderna progettazione di autoveicoli è il coefficiente di resistenza dell’aria, un calcolo relativo alla densità di quest’ultima, moltiplicata per l’area di riferimento e la velocità al quadrato, giungendo ad un valore indicativo dell’efficienza nell’impiego della spinta motrice. Con un risultato il quale, oggigiorno, tende ad aggirarsi per le vetture stradali omologate attorno allo 0,25-0,30, grazie alle lunghe decadi di miglioramenti messi in pratica dalla maggior parte delle aziende produttrici al mondo. Caratteristiche che oggi diamo per scontate, quali cabine chiuse con finestrini a vista, ruote incorporate nella carrozzeria e fari che non interrompono le forme armoniose del veicolo, laddove un tempo componenti come claxon, borse o persino il motore sporgevano trasversalmente, imponendosi come forme che accrescevano la resistenza all’aria. Immaginate dunque la frustrazione di un ingegnere progettista d’inizio del secolo scorso come Aurel Persu, che nella sua natìa Bucharest fu tra i primi a rendersi conto di come i suoi contemporanei stessero tralasciando ogni considerazione significativa in merito all’efficienza veicolare, raggiungibile mediante l’applicazione di un simile serie d’accorgimenti utili a far scendere un coefficiente superiore a 1,0-2,0. Fu quindi nel 1922, mentre lavorava come consulente al perfezionamento degli aeroplani, avendo già conseguito riconoscimenti in campo accademico per i suoi studi, che vide l’opportunità di pubblicare un articolo scientifico destinato a rimanere nella storia. Un pezzo molto critico relativo all’industria dei veicoli globale, dominata in base a un gruppo di criteri che non parevano in alcun modo utili ad ottimizzare i consumi, aumentando esponenzialmente l’impatto economico e perché no, l’inquinamento causato dai moderni trasporti a motore. Per poi proseguire con dialettica eloquente, nell’incoraggiare la fondazione di un sindacato internazionale degli automobilisti, che potesse idealmente chiedere a gran voce i miglioramenti opportuni. Detto ciò e rendendosi lui stesso conto di stare combattendo contro una parete inamovibile, decise quindi l’anno successivo di mostrare a tutti il modo giusto di costruire un veicolo, nella speranza forse vana di riuscire ad essere il cambiamento che voleva vedere nella società futura. Il risultato fu l’automobile destinata a portare semplicemente il suo nome, per la quale si sarebbe ispirato, in base a nozioni aneddotiche, alla “forma ideale di una goccia d’acqua che sta cadendo”. Sebbene il primo brevetto conseguito in Germania nel 1924 parlasse piuttosto della forma del corpo di un uccello, “come un piccione” e le non sempre generose retrospettive internettiane amino paragonarla ad una scarpa posizionata al contrario rispetto alla direzione di marcia. Il che non era certo l’obiettivo, mancando ancora il tipo di sensibilità nel design destinate a trovare sfogo nel secolo successivo, benché nessuno potesse negare i meriti della matematica: l’Automobilul lui Persu poteva vantare, infatti, un coefficiente aerodinamico di 0,22, essenzialmente pari a quello di una Porsche Carrera di oltre mezzo secolo dopo…

Leggi tutto

1 2 3 265