4×4 importanti lezioni offerte dal maestro del recupero stradale statunitense

Angeli di una terra promessa, visioni di un’ambita salvezza. Guardandoti attorno smarrito, cerchi un volto tra gli alberi che possa servire a riportarti all’interno della cerchia del mondo civilizzato e tutto ciò che appartiene ad esso. In quale improbabile maniera, ancora una volta ti chiedi, siamo arrivati ad un simile punto di non ritorno? Forse nel momento in cui, per risparmiare qualche dozzina di minuti, hai deciso d’imboccare la salita a gradoni della rinomata Cadillac Hill, un susseguirsi di rocce intervallate da radici esposte sulle pendici collinari a ridosso del lago Tahoe, quando la spia dell’olio era ormai accesa da diversi fatidici minuti. Ma era davvero possibile, a quel punto, mostrarsi pavidi di fronte agli amici che componevano il resto della carovana? Del tutto inimmaginabile. Ecco perché di certo l’inizio della fine è stato il punto in cui hai affrontato gloriosamente, senza guardare indietro neppure una volta, la roccia di Silby avendo cura di non avvicinarti dalla direzione del ruscello, ricordando il consiglio degli esperti: “Ruota bagnata, macchina bloccata”. Il successo che porta all’eccessiva sicurezza. Non che a quel punto sarebbe stato realmente possibile ritornare al piccolo resort delle Rubicon Springs, tra campeggiatori ed avventurieri di una più “bassa” o comunque “prudente” caratura. “Ah, ci sono!” Esclami tra te e te, mentre guardi il fumo che fuoriesce dal cofano rimasto semiaperto, dopo il surriscaldamento oltre ogni margine previsto dal manuale di ogni singola parte mobile all’interno della tua Jeep Wrangler color cocomero d’inverno: “Se c’era stato un buon momento per voltarsi a 180 gradi, è stato quello in cui hai intrapreso dal basso la Little Sluice” Quella pendenza dalle multiple pietre sovrapposte, uno dei pochi tratti del sentiero dove le autorità locali si sono sentite obbligate ad intervenire, rimuovendo gli ostacoli più grossi che agivano come spalti naturali di una sorta di stadio per i curiosi accorsi dai quattro angoli della California, uno dei pochi stati dove le strade riescono ad essere, talvolta, opzionali. Ancora una volta tenti di girare la chiave d’accensione, con uno sguardo sconsolato rivolto alla tua ragazza, al cugino di lei ed il caro insistente amico di tante scorribande in età scolare. Che continua insistentemente a mostrarti un video dal cellulare, il video di un canale YouTube che a quanto dice, contiene la chiave della sua e vostra salvezza: “Guarda, guarda, fidati, arriverà. Io l’ho chiamato appena siamo rimasti bloccati stamattina e tra qualche minuto, ne sono certo, arriverà da noi!” Intercessione divina? Tutti i santi del calendario? Mentre tenti di ricordarti la data per iniziar l’appello in maniera cronologicamente tematica, una forma gialla e squadrata inizia a far capolino tra gli antichi alberi del Rubicon Trail. L’amico sembra essere rimasto per una volta del tutto senza parole, ed in effetti a ben guardarlo, parrebbe addirittura mancargli il fiato. Sobbalzando vistosamente, il veicolo comincia a prendere forma. Se non lo vedessi coi tuoi stessi occhi, non ci crederesti, mentre sale agevolmente macigni della dimensione di un cranio di gorilla preistorico neanche fossero noccioline sul pavimento dello zoo. Stai per conoscere una vera celebrità del Web, al pari di un professionista di Fortnite o la padrona del gatto grumpy, apprezzato attore animale di celebrate pellicole e innumerevoli partecipazioni televisive. “Scusate per l’attesa!” Grida dal finestrino abbassato. “Siete fortunati che stessi provando la macchina nuova entro qualche centinaia di miglia da qui!”
Uno dei punti cardini di Internet è che senza la gabbia imposta dall’industria dell’intrattenimento si può fare spettacolo da qualsiasi cosa, particolarmente quando la cosa suddetta è già piuttosto insolita e notevole a vedersi. Come gli exploit salvifici condotti da Matthew Wetzel, più comunemente noto col suo nom de plume (oppure de guerre?) Matt’s Off Road Recovery, che rappresenta in effetti il programma stesso di quello che ha scelto di fare, con encomiabile competenza, della sua lunga e appariscente vita professionale…

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Il notevole villaggio costruito in bilico sopra una colata lavica pietrificata

La regione spagnola della Catalogna assomiglia talvolta a un regno fantastico, che si dipana all’ombra e in mezzo alle pendici della catena montuosa dei Pirenei. Muovendosi verso settentrione fuori da Barcellona, parallelamente al confine con la Francia, l’ipotetico visitatore troverà una serie di comunità risalenti all’epoca medievale, o persino più antiche, ciascuna degna di un’intera pagina all’interno di un’antologia sui luoghi più affascinanti d’Europa: Peratallada con le sue alte mura, le strade angolari e piazze dalla pavimentazione a cubetti cariche dell’atmosfera di un tempo remoto; Guimerà dai soli 300 abitanti, costruito tra una collina ed un fiume, l’alta torre del castello posta lungo l’estendersi di un’importante punto di snodo commerciale… Ma per quanto riguarda le circa 1.000 persone che vivono a Castellfollit de la Roca nella comarca (regione) e zona vulcanica di Garrotxa, è stato semplicemente l’intero villaggio, ad essere posto fin da tempo immemore in corrispondenza di un sito particolarmente inaspettato. Ovvero l’alto sperone basaltico, lungo più di un chilometro, che si erge per 50 metri dalla valle formata dai fiumi confluenti di Fluviá e Toronell. Una caratteristica del paesaggio risalente a niente meno che 217.000 anni fa, frutto dell’attività del vulcano ormai spento di Begudá. Per certi versi terrificante, ma anche un’importante risorsa per chi avesse l’intenzione di sentirsi maggiormente al sicuro. Perché, dico, ve l’immaginate assediare un luogo simile, con il tipo di strumenti che c’erano a disposizione tra il decimo ed il tredicesimo secolo, quando per la prima volta una struttura umana cominciò a prendere forma in una tale posizione sopraelevata?
Stando al sito ufficiale del comune dunque, oggi recuperabile soltanto grazie all’Internet Archive, il paese viene documentato per la prima volta nel 1096, come “kastro fullit” o “castro-follito”, all’interno dei possedimenti del locale visconte di Bas. Luogo di relativa importanza strategica, benché certamente ben difeso, l’insediamento ricompare saltuariamente nelle cronache dell’epoca, nel 1278 sotto il controllo della viscontessa di Empúries, quindi in qualità di feudo diretto del re Giacomo II d’Aragona (1267-1327) che nel 1315 lo fece passare sotto il controllo di Malgaulì, conte di Bas. Nel 1339 Pietro IV d’Aragona, in seguito, lo riconobbe tra i possedimenti del ducato di Girona, che aveva attribuito a suo figlio maggiore. Poi, nel 1426, avvenne qualcosa di terribile: un forte terremoto distrusse completamente il villaggio. E mentre gli abitanti erano intenti a ricostruire, soltanto due anni dopo ce ne fu un secondo. Ritornata soltanto in parte ai fasti ed alla difendibilità di un tempo, la comunità sarebbe caduta senza troppa resistenza durante la guerra civile catalana, passando di nuovo nel 1462 sotto il controllo diretto di un re aragonese, Giovanni II el Sense Fe ( il Senza Fede). Si trattò di un importante punto di svolta nella storia di questo luogo, poiché da quel momento, le ragioni della guerra non l’avrebbero lasciato più solo.

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Attenzione attraversamento cervi (in mezzo agli alberi sul grande ponte americano)

Era stato fatto notare a sua maestà il signore del branco, che ogni qualvolta occorreva girare attorno a una recinzione, generalmente le cose non andavano a finire bene per i membri del popolo cornuto della foresta. Così egli frenò le sue zampe, puntò in alto il muso e sostò per qualche attimo allo scopo di… Ponderare la situazione. Ma trovare alternative non era di sicuro il suo forte, né quello di alcuno dei suoi consiglieri, le sue mogli, la prole ansiosa di compiere il proprio destino all’ombra di un vespro carico d’incertezze per l’indomani. D’altra parte il Grande Viaggio Verso Meridione era ormai iniziato, e tornare indietro? Non era neppure immaginabile, per il costo che avrebbe avuto ai danni della sua piccola comunità itinerante. Allora il re calcolò l’altezza della rete, guardò la terra strana e piatta che si trovava all’altro lato di quest’ennesima barriera. Quindi, ricominciò a camminare ben sapendo che prima o poi, avrebbero trovato un’apertura. Succedeva sempre così. Osservò le strane luci che correvano a due a due, verso una destinazione non meno importante della sua. Creature irragionevoli, questo lo sapeva fin troppo bene! Ricordava il modo in cui il suo insigne predecessore, durante un attraversamento simile aveva finito per essere colpito dal grande bisonte di metallo, morendo pietosamente sul colpo mentre i suoi amici e familiari, terrorizzati, si bagnavano del sangue proveniente dal suo corpo proiettato a molti metri di distanza. Il vespro era vicino, ormai. Ecco giungere, dunque, quello che agognava tanto enfaticamente: un’apertura percorribile, ove andare incontro a conseguenze che era già state scritte nelle alte camere del ragno tessitore. Ma qualcosa, ebbe modo di capirlo quasi subito, non sembrava fare parte di una somma già nota. Perché l’erba continuava a estendersi oltre i limiti della barriera in filo reticolato? Cos’erano le alte siepi di cemento, ancor più invalicabili delle altre, costituite perpendicolarmente al punto di passaggio dell’asfalto portatore di condanna? Una sorpresa, di sicuro. Eppure non del tutto sgradita. Sua maestà il signore del branco fece un passo titubante, poi un secondo e infine prese nuovamente a muoversi con ritmo sostenuto. I suoi sudditi lo stavano seguendo. Sotto svariati metri di terra, i bisonti di metallo continuavano ad emettere il proprio infernale di minaccia verso prede irraggiungibili e remote.
Di sicuro avrete già sentito parlare di soluzioni simili, su scala decisamente più ridotta: canali di scolo allargati, per permettere il transito agevole di trote, o tartarughe. Punti appositamente lasciati liberi, nel guard-rail tra i boschi ombreggiati, affinché grossi animali possano passare oltre, in presenza di precise segnaletiche ed inviti a rallentare con gli autoveicoli di turno. Ma il problema di cervi, coyote ed orsi è che i loro cervelli non riescono a capire, i loro occhi non riescono a distinguere, i colori ed il funzionamento di un semaforo del tipo costruito dalla genìa degli umani. Alla stessa maniera in cui è per loro totalmente impossibile fare a meno di una certa liberta dei movimenti, al fine di spostarsi da un recesso a quello successivo delle terre funzionali alla propria sussistenza. Al punto da porre le basi di una sconvolgente stima pari a circa 2,1 milioni d’incidenti ai danni di animali sulle strade statunitensi nel corso del solo anno 2020, per non parlare degli oltre 20.000 feriti e ben 185 decessi umani. Questo non soltanto per il naturale tentativo di evitare l’impatto da parte di molti, con conseguenze spesso difficili da prevedere, ma anche l’effetto dell’investimento di un automobile che si sta muovendo a ritmo sostenuto di una creatura che può talvolta arrivare al peso di svariati quintali, che può altrettanto facilmente essere proiettata sopra il cofano e attraverso i vetri del parabrezza. Cifre niente affatto difficili da confermare, soprattutto nel corso degli ultimi anni, anche prendendo a campione la sola strada intestatale della I-90, importante arteria di collegamento tra le due coste degli Stati Uniti, capace di collegare i distanti centri abitati di Seattle (Washington) e Weston (Massachusetts) all’altro lato di un intero continente. Tragitto che attraversa molti “punti caldi” della vita selvatica e le sue importanti peregrinazioni, ma forse nessuno più strategico del passo di Snoqualmie, uno dei soli tre punti entro molte migliaia di chilometri capaci di costituire un collegamento tra le valli a settentrione e meridione del Cascade Range, non troppo lontano dall’omonima e caratteristica cittadina, dove vennero girate molte delle scene della serie Twin Peaks. Abbastanza cruciale, per automobilisti ed ungulati, da giustificare l’implementazione di una serie d’infrastrutture che potremmo definire a dire il vero alquanto risolutive…

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L’umido segnale che riesce a far frenare il più distratto dei guidatori

“È l’altezza giusta, ti dico. Vedrai se mi sbaglio. Vedrai se non è così!” I due addetti alla sorveglianza del traffico seguivano attenti il movimento degli autoveicoli, sul grande numero di monito situati nella cabina di comando situata a lato della strada di scorrimento Cahill, non lontano da una delle maggiori criticità della città di Sydney. Ma la loro concentrazione, risultava facile capirlo, era principalmente dedicata al grande parallelepipedo color blu cobalto, con il logo di un famoso mobilificio: un autocarro semi-articolato del tipo che, tanto spesso, finiva per causare dei problemi all’ingresso dell’Harbour Tunnel. “Eccolo che prende lo svincolo. Si. Si, sta andando proprio da quella parte. Inizio a capire cosa intendi.” Disse il collega, allentandosi il nodo della cravatta. A quanto pare, la sua giornata stava per diventare sensibilmente più complicata. Poiché tutti sapevano nel suo dipartimento, e di sicuro ne erano coscienti i due occupanti di quel piccolo ufficio, dell’esistenza di una particolare misura veicolare in senso dell’altezza. Che non era sufficiente a rilevare con troppa evidenza il pericolo d’urtare uno specifico architrave o traversa, purtuttavia risultando indubbiamente capace di farlo. Con un urto fragoroso da parte della cabina o del rimorchio, subito seguito dal maggior terrore immaginabile per chi aveva trovato la sua storia professionale in quel particolare campo: l’ostruzione inamovibile all’interno di una principale arteria cittadina. Come l’SHT, sottopassaggio della baia costruito nel 1992, proprio perché il ponte pre-esistente aveva la sgradevole tendenza ad intasarsi negli orari di maggior movimento. Finendo per diventare ad oggi, quasi trent’anni dopo, un punto di passaggio non meno importante dell’arteria femorale all’interno di un corpo umano. Perciò ecco perché, il camion che si avvicinava minacciosamente al punto di non ritorno, finiva per essere accompagnato da un senso latente di aspettativa e comprensibile preoccupazione operativa. Cinque chilometri, quattro, mentre l’ultimo punto di svolta per il quartiere di North Sydney compariva inevitabilmente nella stessa inquadratura del fatale autoarticolato inconsapevole di quanto stava per fare. “Gira, dannato, gira adesso. Gira… No, non ha girato!” Un’espressione neutrale compariva sulla faccia del collega, che tuttavia eseguì un leggero cenno con la testa, come a sottintendere precisamente quello che sarebbe presto accaduto. L’uomo ai comandi, allora, sgombrò totalmente il piano di lavoro, appoggiando la sua mano destra sopra un grande pulsante rosso. Imboccato a questo punto la discesa che portava alla condanna, il camion prese ad accelerare, ignorando totalmente i numerosi cartelli che invitavano a considerare l’altezza del tunnel. Una scritta automatica iniziò a lampeggiare sopra l’intera estensione della strada, ma ciò appariva chiaramente essere troppo poco, troppo tardi. “3…2…1, adesso! Vai!” La voce risuonò nella più totale assenza di rumore, connotata unicamente da un lieve senso di ansia umanamente comprensibile. La luce calò d’improvviso, per nubi fosche che passavano di fronte alla finestra. La mano calò nettamente, portando il pulsante al termine della sua breve corsa. E fu allora che quanto sarebbe stato definito totalmente impossibile, senza la lunga fase di progettazione e conseguenti prove tecniche, ebbe modo di palesarsi lungo il corso del TIR selvaggio: STOP, diceva l’ectoplasma fluttuante. FERMATI, non fare un altro METRO, compariva in modo pittografico dell’aria tersa di un terrificante pomeriggio. Tanto che l’autista, imprescindibilmente, capì all’improvviso di dover rallentare la sua corsa. Non si sfidano le forze sovrannaturali, né gli evanescenti spiriti del mondo. Con un gran stridìo di freni, il grosso veicolo diventò una cosa ferma nel bel mezzo della carreggiata. Ovviamente, non c’era verso che potesse girarsi. Ma i due responsabili del salvataggio, compiaciuti del risultato, erano già passati ad avvisare le autorità competenti. Un carro attrezzi avrebbe dovuto recarsi all’ingresso del tunnel, per spostare l’ostruzione. Senza preoccuparsi di raccogliere macerie e/o pezzi di camion, questa volta, riducendo in modo significativo il downtime
Si dice che ogni persona possa ospitare in se stessa il piglio volitivo dell’eroe, capace d’indurlo a fare cose straordinarie nel momento stesso in cui qualcosa di terribile stava per accadere. La realtà dei fatti è che un umano salvatore è nella maggior parte dei casi soltanto l’individuo giusto, nel momento giusto e dotato dei giusti strumenti. Apparati come quello installato ormai nel distante 2013 dalle autorità della più gremita città d’Australia, con l’aiuto di una compagnia specializzata nei giochi e spettacoli di luce proiettati su alcuni dei maggiori monumenti mondiali (e non solo). Qual è dunque la relazione che associa la Laservision Media, compagnia di Sydney situata nel sobborgo di Dural, a questa intrigante applicazione dell’ingegneria civile, finalizzata a sostituire un precedente quanto inefficace sistema di passaggi a livello? Principalmente l’acqua che scroscia, e nulla più di questo…

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