Robotica è la ricreazione per i mecha-bimbi giapponesi

Japanese Toy Mecha

Il più misterioso ed incredibile dei passatempi, per un gruppo di ragazzi pre-adolescenziali, è sempre il veicolo a motore in scala, che scorrazza per i parchi giochi e fa da calamita per gli sguardi dei coetanei. Tutti lo vorrebbero, ben pochi (genitori) hanno a disposizione lo stanzino per riporlo. Quasi sempre elettrico, prende la forma di un compatto fuoristrada, oppure un’auto sportiva rosa, un camion dei pompieri. È però relativamente piccolo, a misura di bambino, e si muove a un ritmo assai pacato. Quattro, cinque Km orari al massimo, per evitare rischi e improvvidi incidenti. Eppure parla, ai pargoli entusiasti, di un futuro prossimo, di mini-moto e saettanti ruote di go-kart, e anche di un tempo più remoto, ovvero di quando, terminata la stagione della scuola, si andrà in giro con la macchina proprio come i propri genitori. Giungendo qualche volta a deplorarlo, quel volante quotidiano, da stringere ogni giorno per dovere familiare o per lavoro. Ma il gioco è imitazione, come per i giovani leoni che imparano a cacciare, così per gli uomini di un giorno ancora da venire, stregati nell’apprendere i complessi gesti dell’odierna società. Ciò che guiderà tuo figlio, può condizionare il suo futuro. E giustamente, paese che vai…
La Sakakibara-kikai, compagnia produttrice di macchine pesanti per l’industria, con sede nella prefettura montana di Gunma, nell’entroterra dello Honshu, ha un’intera divisione dedicata all’intrattenimento delle giovani generazioni. I suoi giocattoli giganti, addirittura cavalcabili, assumono la forma di veicoli di fantasia, come aeroplanini semoventi, carri armati anfibi ed altre cose. Tra le quali, soprattutto, questi splendidi robot. I KID’S WALKER sono dei “titani” armati fino ai denti, alti all’incirca un metro e mezzo, dal ragguardevole peso di tre quintali e mezzo. L’insieme di un motore a benzina e un certo numero di servomeccanismi gli permette di portare in giro un pilota delle elementari-prima media (o equivalenti classi di studio) inscenando qualche memorabile momento dei suoi manga o cartoni animati preferiti. Non è chiaro quale sia stata l’origine del progetto. Se il tutto nasca, all’improvviso, dalla fantasia di un dirigente padre di famiglia, stanco di applicarsi solamente nei pur rilevanti campi di assistenza all’artigianato e all’agricoltura, che abbia scelto di trasformarsi nell’equivalente materiale di mastro Geppetto, anzi, il Dr. Tenma, lo scienziato che creò il Pinocchio giapponese. Oppure se l’intera venture sia una scelta equilibrata, fatta dai vertici aziendali, sulla base di un vero bisogno di allargare il portafoglio dell’offerta produttiva. Ad ogni modo, oggi, la Sakakibara-kikai organizza tour per il paese con i suoi robot migliori, da mostrare a turbe di possibili guerrieri del futuro. Potenziali difensori del pianeta Terra?

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Il mitra spara-aerei di carta e la sua nave madre

Paperplane Cannon

1911-2011: il secolo dell’aviazione, dell’automobile, dell’informazione, dell’automazione. A scriverlo non ci si crede. Così tanto progresso, in poco tempo? Viene da prendere quel foglio, appallottollarlo e poi via, lanciarlo via, verso il cestino più lontano della stanza! È soltanto se la stanza non esiste (a parte quella nella mente) e il cestino è troppo lontano, oltre chilometri di prato, che sovviene la reale soluzione. Che sarebbe poi, anche la dimostrazione: se pieghi una cosa attentamente, secondo i crismi dell’aerodinamica, quella vola molto-molto avanti. E non ritorna indietro, neanche con il vento di Ponente, salvo tecnologiche eccezioni, di telecomandi e rigidi alettoni. Però talvolta, quel controllo non è necessario. Tutte le volte che la gravità si fa pesante, e allunga il giro dei minuti, ciò che conta è decollare, andare avanti col cervello, anche se il corpo resta fermo; proiettarsi, come niente fosse, nella carta di aquiloni e di origami, come facevano i sapienti, in quel di Vinci e di Shanghai.
Un’invenzione che sarebbe degna di Leonardo, questa, se fosse arrivata prima di quest’epoca recente. In cui è la prototipazione digitale, indubbiamente, a farla da padrone. Permettendo di creare componenti, non importa quanto piccoli e complessi, grazie all’impiego di un comando, due misure, tre minuti di pazienza; quando prima, invece, ci voleva il genio, per creare. Siamo di fronte a… È un cannone mitragliatore spara-velivoli-ultraleggeri, ebbene si. Grazie, Papierfliegerei, il cui motto è “Fast alles über Papierflieger” (quasi) tutto sugli aerei di carta) per averci dimostrato che le nostre lunghe ore trascorse sopra e sotto i banchi di scuola, per lo meno, a qualcosa son servite. O serviranno. Nella nostra epoca, è sparita la suprema specializzazione. Siamo tutti ingegneri in potenza, aviatori in potenza, artiglieri potenti, che se possono, e lo possono, premono il pulsante per…Fuoco alle polveri! Anzi, carta nei passeri! Gli uccelli solitari, per proverbiale predisposizione, che ad ogni modo meritano il giusto apporto di cancelleria.
La parte che colpisce, prima di essere colpiti veramente, è l’incredibile funzionamento. Efficienza senza limiti. L’oggetto ha le proporzioni e la forma approssimativa di uno skateboard, impugnature escluse. È guardandolo da sopra, che rivela i suoi segreti: una complessa serie di intercapedini, propaggini e fessure riescono a piegare i fogli fatti entrare dentro al meccanismo…. 

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L’unico mezzo per fermare gli tsunami

Bulldozer subacqueo

Ricetta di Mr. Komatsu contro le onde sismiche devastatrici: molta terra, un po’ di ferro, due vagoni di cemento. Ma che siano ben posizionati, ah, strategicamente. Il Giappone ha un’esperienza pluri-secolare in simili questioni, anzi, si potrebbe quasi dire che c’è nato; da sempre sotto assedio, dai tifoni, dalle piogge alluvionali, dalle orde mongole di Gengis Khan. Ma persino il Mega Terremoto, non fu nulla. Al confronto di quella marea che sale, virulenta, poco prima di salire ancora, fin sulla cima dei palazzi e delle case dei nostri consimili purtroppo sfortunati. Per poi tornare indietro, lasciando, come un cobra ormai satollo, un rigurgito di scorie, le ossa ormai scarnificate di una povera esistenza. E non parliamo poi di Fukushima, la centrale. Cosa fare innanzi a questo, come superare il disastro, senza un’ulteriore dispersione di sgradite radiazioni nucleari? A mali estremi…
Due torri verdastre si ergono dall’increspata superficie della fredda baia di Iwate, presso la città costiera di Kamaishi, sulle propaggini settentrionali dell’isola di Honshū, la maggiore delle tre. È una scena alquanto fuori dal comune. Bizzarra: fra le alte mura di argini ciclopici, in mezzo a cumuli di tetraedri colossali, usati anch’essi per smorzare lo smorzabile, al bisogno in bilico fra notte e dì, si aggirano le nostre tozze ciminiere. Sono pinne di uno squalo, sono i simboli dell’epoca industriale. Sono bestie vecchie e rugginose, palombari di 40 e passa tonnellate. Bulldozer, questi, che camminano sul fondo della questione (hai voglia, a farli galleggiare!) D155W, si chiama(va)no, con “molta” fantasia. Bestie, dico, perché di piloti, non v’è traccia, alcuna. Ovviamente. Unico segno di vita, due persone a cavalcioni sui muretti del complesso cementizio, gli ultimi bastioni della civiltà. A guardarli molto bene, costoro armeggiano con qualche cosa, una scatola, il TELECOMANDO! È un’idea piuttosto intelligente, questa qui, della Komatsu. Nessun castello, non importa quanto grande o poderoso, può resistere più a lungo dei suoi difensori. Anche la grande muraglia di Kamaishi, lasciata a se stessa, non durerebbe neanche una generazione.
E le Grandi Onde non sono nulla, meno che determinate; pur se non riescono a passare, volta dopo volta, un anno e quello dopo, oltre tali spaventose fortificazioni, qui trasporteranno un vero e proprio monte di rifiuti e sedimenti. Finché a un certo punto, molto presto, quel bacino potrà essere riempito, ahimé. Diventando una pratica rampa per la coda del dragone, in ghingheri maestosi, da salire fino al municipio della nostra inerme civiltà.

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Un tubo di salvezza tra le fiamme galleggianti

Viking Chute

Immaginate una parete impenetrabile messa come barriera tra due universi sovrapposti e tridimensionali, simili dal punto di vista fisico, eppur diversi nel funzionamento. In modo radicale. Da una parte, ci sarebbe l’etere di un’aria respirabile. Una matrice di leggere particelle, invisibili, compenetrate dalla luce; dall’altra, il mondo di un tutto unico e indiviso, fatto di materia solida, terra fissa e ben compatta. Il primo di questi diversi ambienti, grazie al calore e alla possente luminosità, sarà l’ospite di ogni forma di vita. Nobili camminatori, bipedi o quadrupedi, lo percorreranno fieramente. Come loro predisposizione, si affolleranno presso la rigida barriera che divide i due diversi Regni. Altri esseri, sbattendo forti ed ampie ali, tenderanno invece ad allontanarsi maggiormente, ove l’aria è maggiormente rarefatta e luminosa.
Verso il confine della parte contrapposta, parimenti, strisceranno i vermi. Creature cieche e quasi prive di coscienza, adattate a prosperare nelle sabbie dell’insussistenza. Mentre oltre un certo numero di metri dalla barriera, da codesto lato, regnerà il silenzio. Ma tenete ben presente, nella vostra immaginifica creazione, come ciò non significhi: mancanza di un valore. Tanto che in corrispondenza del confine, vivranno dei giganti verdi, assetati. Costoro, a cavallo tra uno spazio e l’altro, con radici tese verso il basso, rami che si tendono verso la luce e l’infinito, succhieranno il fluido di quei mondi. Riuscendo a far fiorire l’ultima generazione delle piante. E poi l’ultima, di nuovo. Perché il muro tende a spostarsi verso l’alto, con il tempo. E ciò che passa dalla luce all’ombra, non può sopravvivere. Viene alchemicamente trasformato, in sostanza liquefatta: il fluido degli antichi boschi atlantidei. L’oro nero, eureka! Petrolio, petrolio per nutrire i meccanismi della nostra sacra civiltà. Sia questo posto sotto la terra ferma, oppure in mezzo al mare sconfinato.
Il carburante oggetto di un antico desiderio viene spesso ripescato da una piattaforma colossale, con le palafitte di cemento armato. Così noi suggiamo, come quelle piante ormai defunte facevano coi fluidi nutritivi, della tenebra nascosta. Ma riuscirci non è facile: richiede un tipo di radici assai particolare. Chilometri d’invincibile metallo. In grado di bucare, molto a fondo, proprio dove si ritrovano quei tristi giacimenti. Lance del destino, le trivelle. Un pungolo insistente, in grado di rimescolare ciò che è immobile da sempre. Ben oltre il concetto del bene, del male e l’intenzione. L’energia del mondo elementale, in potenza, non può essere controllata. È inconoscibile, immisurabile, priva di limiti evidenti; se buchi la Terra, in mezzo all’Acqua, per ossigenare dei tesori fra la dolce  e pura Aria del tuo mondo…Qualche volta, ciò che ottieni, è puro Fuoco divampante. Ma non temere, umano combustibile, un po’ scriteriato. Tuo è l’ingegno e il mezzo che risolve ogni problema: Machina ex Machina. Scivola sereno, verso la salvezza!

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