Il nuovo robot della Boston Dynamics è veramente qualche cosa di speciale. Silenzioso, zampe di gallina, piccoli piedi gommati e un collo d’anatra, con all’estremità una bocca degna di un piccolo dinosauro. Eppure si chiama Spot(Mini) perché molto giustamente, è fatto per vivere in casa, è vivace, scattante, agile ed aiuta l’uomo, insomma è quasi l’approssimazione senza peli di un gradevolissimo pastore tedesco. In una versione che non mangia e non deve essere fatta uscire, ma soprattutto non PUÒ fisicamente sporcare in giro, ed è per questo stato predisposto ed equipaggiato al fine di…Fare l’esatto opposto. Cioè, pulire. Siamo dunque forse all’epoca, da lungo tempo teorizzata, in cui maggiordomi e cameriere non saranno più nostri consimili trovati sul mercato di un lavoro umile ed antico, ma macchine create da altre macchine, teste di bulloni, letterali ammassi d’ingranaggi assorbi-elettricità. Che sia questo, dopo tutto, il futuro? L’oggetto in questione (se davvero non vogliamo definirlo una “creatura”) è in effetti la risultanza di un lungo processo di progressivo perfezionamento portato avanti in questi ultimi anni dall’azienda Boston Dynamics, sorta nel 1992 dalla costola di un gruppo di ricerca del MIT – Massachusetts Institute of Technology, su progetto e per volere di Marc Raibert, l’ingegnere che aveva un sogno dichiarato: portare i robot bipedi e quadrupedi ad uno stadio di funzionamento che possa a tutti gli effetti definirsi “sovrannaturale”. Il che costituiva, assai probabilmente, un riferimento indiretto alla famosa citazione dello scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke, autore di Odissea nello Spazio: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Una dichiarazione d’intenti che in effetti potrebbe trarre vagamente in inganno, visto come le ultime creazioni di questa notevole realtà imprenditoriale del nord-est degli Stati Uniti abbiano sempre teso, evidentemente, verso un aspetto facilmente riconducibile alla natura. E non è un caso se i principali esseri artificiali qui creati, a giudicare dal nome, potrebbero entrare a far parte di un mini-zoo: Grande Cane, Piccolo Cane, Ghepardo, Pulce d’acqua, RHex (!) e soprattutto Atlante (!!) l’unico vero e proprio omuncolo della congrega, nel senso effettivo di due braccia, due gambe ed una testa, e che potrebbe essere tranquillamente definito il Guardiano di questo curioso ed assortito branco di castigamatti. O in alternativa, la più perfetta realizzazione materiale del concetto favolistico del Golem; eccolo dunque, il ricercato appiglio con il regno della fantasia.
Ma il nuovo SpotMini è invece molto reale, e perciò rispondente alle regole di un mondo ben preciso: quello in cui un cellulare, fin troppo spesso, finisce per scaricarsi verso sera. Ed in cui la stessa soluzione locomotoria scelta per il funzionamento dell’animale, in questione, molto probabilmente, deve aver contribuito alla scelta di uno scenario domestico per la dimostrazione. Stiamo in effetti parlando di un dispositivo completamente elettrico e con circa 90 minuti di carica, variabili sulla base di quanto siano faticosi i compiti per cui viene impiegato. Non sarebbe tuttavia un problema, almeno teoricamente, fornire il cane-anatra di una programmazione in grado di riconoscere il momento migliore per dirigersi alla sua stazione di carica, onde essere sempre pronto a fare ordine tra il prossimo carico di piatti da mettere in lavastoviglie. Sarebbe! Ovvero, il condizionale è d’obbligo. Visto come, lo pensano più o meno tutti quanti, nel tipico video per il grande pubblico realizzato dai bostoniani a margine della loro ultima meravigliosa diavolerìa, ci sia sempre un uomo fuori dall’inquadratura, telecomando alla mano, che dirige sapientemente ogni singolo gesto dell’inconsapevole protagonista. Occorre in effetti uscire da quella concezione tipica del romanzo gotico, ma presente in una qualche misura anche nelle storie del ben più moderno Philip K. Dick, secondo cui la ri-creazione esteticamente indistinguibile di un qualcosa possa valergli l’automatica infusione del sovrano soffio della vita, OLTRE all’identità acquisita. Perché costruire un Androide di Abraham Lincoln, come avveniva nell’omonimo romanzo da lui scritto nel 1962, non significa che questo debba necessariamente muoversi, parlare e pensare come il 16° presidente degli Stati Uniti. Ce lo insegna, dopo tutto, anche l’esperienza dei videogiochi: è molto facile, con la tecnologia di oggi, costruire un cast di personaggi pienamente credibili ed estremamente dettagliati. Ma farli interagire in maniera rispondente alla logica con l’unica parte imprevedibile del loro mondo, ovvero il giocatore umano? Ciò costituisce tutta un’altra storia, veramente tutta un’altra storia….