La grave storia del ronzio che perseguita l’umanità

Descrivi il suono: simile al rumore che proviene da un motore diesel a basso regime, che riecheggia da una posizione lontana. Quanto devi concentrarti per riuscire a sentirlo? Abbastanza. In quale orecchio sembra essere più forte? Uguale in entrambe. Momento della giornata: più forte la sera ma udibile anche durante il giorno, se c’è silenzio. Da che anno hai iniziato a percepire The Hum? 1996. E così via, moltiplicato per letterali migliaia di testimonianze, ordinatamente disposte su una versione ragionevolmente interattiva di Google Maps. Lo scopo del sito del Dr. Glen MacPherson, matematico dell’Università della Columbia Inglese a Vancouver con oltre 16 anni di esperienza, non potrebbe apparire più chiaro: catalogare e connotare i numerosi episodi, verificatosi attraverso gli anni, di quello che gli studiosi chiamano da tempo in lingua inglese The Hum, ovvero letteralmente “il Brusìo” un suono misterioso, persistente ed a bassa frequenza, che persone isolate o intere comunità affermano di aver udito, attraverso la storia pregressa degli ultimi cinque decenni. Una condizione, questa, spesso giudicata dai medici come una forma cronica o ricorrente di acufene, ovvero suono inesistente generato dal nostro stesso apparato uditivo, sebbene ciò non spieghi la corrispondenza multipla di luoghi e momenti, né come Tom Moir possa essere riuscito, nel 2006, a incidere su nastro una registrazione del cosiddetto brusio di Auckland, in Nuova Zelanda, manifestazione particolarmente insidiosa ed insistente del problema presumibilmente attribuito a un’arbitraria percezione umana. Il brusìo si manifesta, generalmente, con la progressione ripetuta di una serie di suoni tra i 32 e gli 80 Hz, descritti anche come un tuono distante o subwoofer acceso a significativa distanza, sintonizzato sul rumore bianco di un canale privo di trasmissioni radio. Le cui conseguenze, come documentato in episodi precedenti, possono anche risultare spiacevoli dopo lunghi periodi, tra cui mal di testa, male al petto, nausea e fuoriuscita di sangue dal naso. Nei casi più estremi, come il primo riportato da centinaia di residenti della città di Bristol in Inghilterra verso l’inizio degli anni ’70, The Hum è stato riportato essere capace di far increspare i vetri, vibrare i vetri e persino danneggiare a lungo termine le fondamenta delle abitazioni, ponendo le basi di un problema certamente difficile da qualificare, ma non per questo soggetto ad essere completamente trascurato. Verificatosi nuovamente nel Regno Unito attraverso gli anni successivi e con un altro caso pervasivo nel 1980 a Largs, in Scozia, il Brusìo trova dunque il suo più celebre caso statunitense a Taos, in Nuovo Messico centrale, dove circa 10 anni dopo quel momento le testimonianze hanno iniziato a sovrapporsi, generando un’ampia serie di teorie cospiratorie tra cui esperimenti del governo, cause extraterrestri o attività illecite da parte di misteriose società private. Ma la diffusione a macchie di leopardo del brusìo, e la sua ricorrenza anche a distanza di molti anni, hanno quasi sempre impedito di qualificarne la natura al di là di ogni possibile incertezza…

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L’astronomica battaglia combattuta nei cieli medievali di Norimberga

Lo stimato stampatore Hans Glaser tirò a se la leva della pressa, azionando il meccanismo a vite che permise di sollevare la piastra coi caratteri mobili e l’illustrazione intagliata nel legno. Dopo un giro completo della sua officina, finalizzato a far passare i 15 minuti di rito, sollevò orgogliosamente il prototipo del suo nuovo Breites Blatt edizione di Aprile 1561, grossomodo quello che oggi chiameremmo un foglio di giornale quotidiano. L’effetto era notevole: dietro e attorno l’immagine espressiva di un Sole pensieroso, campeggiavano le precise forme di cui aveva sentito parlare gli abitanti del principale centro abitato commerciale della Bavaria, quella stessa Norimberga che fino a 10 anni prima, era stato il centro dei disordini e la guerra civile per la rivoluzione protestante contro il governo cattolico di Carlo V. Più volte assediata e bombardata, come lo sarebbe stato ancora in quattro secoli dopo in maniera ancor più tragica e devastante. Ciò detto, prevedibilmente, ai suoi abitanti ormai poco importava del passato (e non potevano conoscere il futuro) ponendo al centro dell’attenzione pubblica un diverso tipo di conflitto, almeno in apparenza totalmente privo di precedenti: quella che lui aveva scelto di chiamare nel breve articolo, assecondando il consenso del pubblico coinvolto, ein sehr erschröcklich gesicht an der Soñ, ovvero “l’orribile apparizione comparso sopra il Sole” ma che oggi conosciamo soprattutto con il nome che Carl Jung, secondo psicologo del mondo e discepolo dello stesso Sigmund Freud, oltre che noto occultista e seguace delle pseudoscienze, scelse di attribuirgli nel 1958: la battaglia degli UFO di Norimberga.
Il che in effetti, se si sceglie di prendere sul serio la descrizione prodotta dalla nostra principale ed unica fonte coéva in materia, appare quanto mai giustificato, vista la presenza, in aggiunta alle due mezzelune rivolte verso il terreno, poste come ornamenti dietro alla testa dell’astro principale, sfere, croci e strani oggetti cilindrici, che pare si sarebbero “rincorsi” e “scacciati vicendevolmente” da una parte all’altra della volta celeste, fino alla comparsa di una gigantesca “freccia nera triangolare” rivolta verso occidente, seguìta da uno schianto poderoso udito poco fuori i confini della città. Quasi come se durante l’acceso scontro, qualcuno o qualcosa avesse finito per avere la peggio, precipitando rovinosamente nel bel mezzo della campagna tedesca! Uomini verdi, rettili antropomorfi, cavallette alte quanto una persona? Difficile capirlo, visto come all’epoca per ovvie ragioni, l’intero accadimento venne attribuito al “Desiderio Divino di far breccia nel cuore degli uomini” e preso ad esempio dallo stesso Glaser del tipo di visioni surreali che dovremmo idealmente accettare e prendere per cose buone & giuste, piuttosto che interrogarci sulla loro effettiva natura. Approccio non particolarmente scientifico, in un secolo che pur essendo uscito dalla cosiddetta epoca tenebrosa, era ancora ben lontano dall’acquisizione del Metodo destinato a portare, negli anni successivi, al drammatico ed imprescindibile avanzamento della tecnologia umana. Il che in maniera posteriore, avrebbe immancabilmente portato a porsi l’imprescindibile interrogativo: ammesso e non concesso che il buon Jung stesse basando la propria idea su una serie di preconcetti particolarmente soggettivi, restando quindi ben lontano della verità, che cosa, esattamente, accadde in quel fatidico giorno della primavera di metà del XVI secolo nell’entroterra d’Europa?

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La diabolica spirale del più strano fossile americano

Quando l’arco della nostra esistenza si sarà compiuto, dopo l’annichilimento climatico, il collasso della civiltà, l’espletamento dello spazio cronologico occupato dagli umani sarà giunto a compimento, cosa potremo realisticamente dire di aver lasciato ai posteri di un’altra genesi o distante provenienza? Cemento, vetro, plastica e altri materiali. Ma anche e soprattutto, l’eminente sussistenza di un pregresso ingegno; tutto quello che con grande dedizione al mondo che ci è un tempo appartenuto, abbiamo edificato, un pezzo dopo l’altro, le alte torri, lunghe strade. Le profonde gallerie. Ciò che il sole non illumina, ma testimonia come, fuori e dentro le diverse situazioni, fin da tempo immemore l’umano ha posseduto il dono di nascondere se stesso. Eppur non siamo, in tutto questo, soli.
L’ha scoperto, nel remoto 1893, la figura di paleontologo e geologo Erwin H. Barbour, laureatosi a Yale soltanto due anni prima di venire assunto, con sua gran soddisfazione, per il ruolo di capo-dipartimento dell’Università del Nebraska. Una mansione cui scelse immediatamente di far seguito, al sopraggiungere di ciascun fine settimana, con massicce spedizioni di ricerca, condotte assieme ai suoi studenti, nell’intero territorio dello stato. E non passò parecchio tempo, caso vuole, prima che il museo soggetto alle sue cure si arricchisse d’infiniti fossili di provenienza nota. Ed alcuni la cui esplicita natura, almeno in un primissimo momento, restò largamente misteriosa. Daemonelix: la spirale del demonio. Un’oggetto la cui logica del nome sembrò subito rispondere a un bisogno lungamente dimostrato, di attribuir la mano di Lucifero a qualsiasi cosa fosse in grado di sfuggire a quelle logiche per noi del tutto date per scontate. In parole povere un oggetto solido e profondamente conficcato nel terreno, alto fino a 3 metri, dalla forma del tutto paragonabile a quella di un segmento del DNA umano. Fatta eccezione per l’ultimo e più profondo tratto, posto ad estendersi di lato in senso orizzontale all’apparente fine di costituir la “firma” dell’arcano Belzebù. Così che ben presto, continuando ad esplorare con la sua piccozza e vanga l’area attorno ad Harrison, Nebraska, occupata dai letti prosciugati di una vasta serie di laghi preistorici d’acqua dolce risalenti al Miocene (20 milioni d’anni fa) lo scienziato ritrovò svariati esempi totalmente fuori dal contesto, ai quali dedicò una serie di pubblicazioni per proporre la sua opinione al mondo accademico coévo. Spugne, spugne di lago; strano ma vero? Dopo tutto, se simili formazioni dalle dimensioni paragonabili a quelle di un’albero potevano essere il diretto segno di un qualche tipo d’essere vivente, le alternative apparivano decisamente ridotte. L’uomo continuò dunque, nel corso della sua intera carriera, a tentare vie d’approccio alternative al problema, finché nel 1895 sembrò pensare che dovesse trattarsi di antichi sistemi di radici di una qualche pianta largamente dimenticata, causa il ritrovamento di materiale di origine vegetale al loro interno. Una possibile interpretazione alternativa, nel frattempo, giunse dal collega di Filadelfia Edward Drinker Cope, il quale sembrò pensare da subito che le spirali dovessero essere un qualche tipo di ichnofossile, ovvero residui non diretti del prodotto fatto & finito, piuttosto che il corpo stesso, della creatura di cui costituivano indelebile testimonianza. L’attenzione del mondo scientifico, quindi, si spostò sui resti pietrificati di un primitivo mammifero, ritrovato spesso in prossimità di alcuni dei fossili meglio conservati della regione…

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Cose come una cascata che si arrampica sulla muraglia delle isole Faroe

Niagara, Salto Angel, Victoria. Ci sono vari modi d’iniziare un anno bisestile come il 2020 e questo qui è senz’altro, tra tutte le alternative, uno dei più surreali. Il quarantunenne Samy Jacobsen, dell’isola faroese di Suðuroy, si trovava a passeggiare in un mattino uggioso presso la parte meridionale della sua isola, con l’intenzione di provare la fotocamera del nuovo cellulare; quando giunto presso il familiare scoglio alto 470 metri di Beinisvørð, lo ha ritrovato in qualche modo differente. Quasi come sulla sagoma riconoscibile, stagliata contro il vuoto in movimento dell’Oceano, qualcosa d’insolito e luminescente stesse “danzando”, spirito delle acque o l’espressione di un antico Dio? Serpe senza testa e senza nome, adagiatasi sulla montagna, che seguendo il suo profilo minacciava di allungarsi fino all’infinito. Era infatti fatta di quella sostanza stessa che ci da la vita, il liquido ricco d’idrogeno ed ossigeno, che veniva risucchiato verso il cielo nuvoloso dalla forza stessa della tempesta. Corroborato da una simile visione, ed avendola per sempre intrappolata nella sua memoria ed il sensore digitale, fu tempo a quel punto di cercar riscontro. “Mai visto nulla di simile” concordò, parafrasando, sua sorella ed effettiva proprietaria del nuovo iPhone Helen Waag, assieme alla quale egli avrebbe quindi deciso d’inviare la straordinaria occorrenza a più canali di notizie meteorologiche locali & non, oltre a pubblicarla sulla pagina Facebook di lei. Così che verso la fine della prima settimana di questo gennaio, il grande pubblico l’avrebbe conosciuto, accompagnato dal parere dell’esperto meteorologo Greg Dewhurst del Met Office del Regno Unito, riassumibile nell’espressione singolare “Incredibile, magnifico. Trattasi senz’altro dell’esempio tipico di un waterspout, modificato dalle caratteristiche notevoli del paesaggio.”
Già perché provate a immaginare, nella vostra mente, l’effetto di un flusso d’aria calda che si forma all’altezza della superficie del mare, causa la temperatura di quest’ultima, per iniziare a risalire con notevole energia verso le nubi soprastanti. Se non che i venti arrivati di traverso, soprattutto nelle acque gelide del Mare del Nord, iniziano ad imprimervi una potente rotazione, in buona sostanza comparabile a quella che caratterizza i temibili tornado dell’entroterra americano. Affinché il mero spostarsi della nube sovrastante, immancabilmente, contribuisca a far traslare lungo l’asse orizzontale tale orribile costrutto della natura, verso dei recessi che siano auspicabilmente privi di persone. Ed in effetti simili fenomeni, come potrete facilmente immaginare, possono portare a conseguenze relativamente gravi (benché tendano a disperdersi una volta sulla costa) ed è stata una fortuna, questa volta, che la roccia definita un tempo come “Protettore delle Isole Faroe” sia bastata ad arrestare un tale viaggio verso l’autodistruzione. Mantenendo in bilico, per più di un qualche straordinario minuto, la visione senza tempo e senza nome di un qualcosa che mai prima d’allora, macchinario umano aveva ricevuto l’occasione di registrare. Affinché Internet, come suo solito, spalancasse le sue fauci immense, per accogliere quel documento a beneficio di noi tutti…

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