Luoghi di apprendimento costruiti sulla base di un preciso piano strutturale, le università del mondo anglosassone possiedono frequentemente le caratteristiche di un punto di riferimento cittadino: statue imponenti, palazzi panoramici, futuristici edifici della biblioteca. La stessa alma mater delle genti di Melbourne, capitale dello stato di Victoria, fu collocata nel 1853 all’interno di un affascinante edificio in stile neogotico, oggi chiamato il Vecchio Quadrilatero, con la caratteristica di un cortile interno circondato da un colonnato dal soffitto in mattoni rossi, nella configurazione architettonica di una volta a crociera. Ciò che tuttavia gli storici, filosofi, poeti, sindaci, ministri di paesi stranieri, capi aziendali e numerosi artisti che hanno avuto modo di formarsi tra queste mura non avrebbero potuto facilmente immaginare, è la maniera in cui l’ideale passeggiata peripatetica per cementare le nozioni apprese avrebbe un giorno potuto portarli fino al cortile antistante del cosiddetto South Lawn (Prato Sud). Soltanto per notare l’insolita disposizione degli arbusti: non soltanto allineati, ma perfettamente equidistanti nell’esecuzione di un’ottimale griglia geometrica vegetale. Ciò non tanto in funzione di un progetto di allestimento implementato alla luce degli astri diurni e notturni. Bensì l’universo in miniatura che, da ormai più di mezzo secolo, giace al di sotto.
È possibile accedervi sostanzialmente da tre direzioni: la prima, senz’altro la più affascinante, rappresentata dalla porta monumentale dotata di cariatidi, qui collocata a seguito della demolizione del palazzo della Banca Coloniale su Elizabeth Street ed apparentemente presa in prestito direttamente dalla città di Gotham City. La seconda, una soglia in legno lucido che pur risultando meno spettacolare, vanta la diretta provenienza da un’abitazione storica del XVIII secolo (si dice) di Dublino. E la terza, con accesso diretto sul lato est a Wilson Avenue, sostanzialmente non diversa dal tipico ingresso automobilistico di un centro commerciale, o altro punto di riferimento del moderno contesto urbano. Perché in effetti è proprio questo ciò di cui stiamo parlando, e non ci sarebbe poi niente di strano: anche gli studenti devono riuscire a parcheggiare. Soltanto normalmente, quando i loro fari gettano chiarezza nell’oscura penombra, essi non scorgono l’ambiente che parrebbe la fedele riproposizione di un’antica catacomba, o riecheggiante cisterna romana. Un luogo dove il soffitto incombente, sostenuto da pesanti colonne di cemento armato, prende la forma progressiva di una serie di curve iperboliche paraboloidi, tanto solide quanto affascinanti nella loro disposizione organica modulare. Con la mente che corre alle miniere di Moria o i dungeon sotto la città di Baldur’s Gate, quando l’effettiva ispirazione avrebbe luogo ad essere individuata più probabilmente negli uffici della Johnson Wax, a Racine Wiscounsin. Costruiti da quel gigante dell’architettura modernista, Frank Lloyd Wright…
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La strategia del prato che scompare sottoterra dopo le partite del Real Madrid
Mentre gli ultimi echi della folla ancora stavano svanendo negli spazi cavernosi dell’arena imponente, già un’attività frenetica aveva cominciato a prender piede. Quasi un centinaio di addetti ecologici, accompagnati dai supervisori per la sicurezza e gli incaricati alla manutenzione dei sedili non tornati in posizione verticale, si aggiravano copiosi per gli spalti. E giù, la sotto dove il rito aveva avuto modo di compiersi, persone rimuovevano le bandierine una ad una, controllavano gli spazi ed eliminavano i pochi, ma purtroppo inevitabili detriti. Nessun giardiniere, d’altra parte, figurava tra le loro file. La ragione fu presto detta, nel momento in cui iniziò a suonare la roboante sirena. Lentamente, come la foresta Shakespeariana del Macbeth, i milioni di fili d’erba di una striscia cominciarono a marciare verso la linea laterale del campo. Per poi discendere, in maniera silenziosa, tra le ombre sottostanti il quadrangolo consacrato dalla partita. Senza neppure il tempo di dar senso a questa immagine dalle arcane geometrie, la sua gemella parallela cominciò a fare lo stesso. In poche ore, tutto quello che sarebbe rimasto qui era una superficie metallica attraversata da binari. E silenzio.
Costruiscilo e verranno ma edificare fondamenta, erigere pareti e collocare un tetto non è semplice. Neppure, nella maggior parte delle circostanze, economico. Lo sapevano la gente e gli ingegneri di Madrid e lo sapeva particolarmente bene Santiago Bernabéu, l’ex-calciatore che dal 1926 costituì per 34 anni il presidente ed amministratore della squadra cittadina. Che nella seconda metà degli anni ’40, tracciando un importante sentiero dell’intrattenimento cittadino, fu tra i primi ad affrontare un imprevisto ma potenzialmente remunerativo problema: la passione crescente dei suoi connazionali per il calcio e la maniera in cui lo storico Campo de Chamartín nell’omonimo quartiere della capitale, pur dopo i lavori fatti per aumentare i suoi posti a sedere fino a 25.000, non sarebbe più bastato a contenere il numero di spettatori fermamente intenzionati ad essere una parte significativa delle innumerevoli partite a venire. Nacque in questo modo, nella posizione estremamente centrale che occupa tutt’ora, lo Estadio Real Madrid Club de Fútbol, destinato ad essere ribattezzato nel 1955 con il stesso nome, all’epoca una delle strutture più capienti e moderne al mondo. Ma ogni cosa è sottoposta a dei continui processi di mutamento o quanto meno dovrebbe continuare ad esserlo se vuole mantenere il proprio stato dell’arte. Così per la prima volta in occasione della Coppa del Mondo nel 1982, poi 10 anni dopo e ancora nel 2001 e 2011, la storica struttura venne ampliata, rinforzata, impreziosita da migliori tabelloni, amenità e servizi. Interventi dal costo e la portata progressivamente maggiori, eppure per niente paragonabili all’abnorme trafila intrapresa più recentemente dal 2019 al 2024, con il supporto degli studi architettonici L35, GMP e Ribas & Ribas. Da cui lo stadio è riemerso circondato da un’involucro esterno in metallo, capace di isolarlo termicamente ma anche donargli un aspetto paragonabile a quello di una gigantesca astronave, o nei termini maggiormente prosaici dei suoi detrattori, richiamando un aspirapolvere Roomba e/o stampante-scanner rimasta accidentalmente priva del suo coperchio. Ma nessuno avrebbe mai potuto criticare, nonostante il costo, gli eccezionali meriti e il valore della sua incredibile tecnologia “nascosta”…
L’improbabile storia “segreta” del più alto appartamento a Parigi
“Per comprendere meglio il nostro punto di vista, immaginate questa stravagante, ridicola torre che domina Parigi come una cupa ciminiera, schiacciando sotto la sua barbarica imponenza Notre Dame, la torre Saint-Jacques, il Louvre, l’Arco di Trionfo… Tutti i nostri monumenti scompariranno. E per vent’anni, vedremo ergersi come una macchia d’inchiostro l’odiosa colonna di metallo rivettato.” Sarebbe risultato ferocemente persuasivo e dialetticamente enfatico il celebre comunicato redatto dal Comitato dei Trecento, il gruppo d’artisti, poeti, architetti uniti contro la costruzione di quello che sarebbe risultato al suo completamento di gran lunga il più alto edificio della Terra. Così come i metri della sua struttura per una cifra che in molti, non essendosi ancora trovati a contatto con la dialettica altrettanto persuasiva di Gustave Eiffel, ritenevano semplicemente folle, irrealizzabile, del tutto spropositata. Ma l’ingegnere che veniva, letteralmente, dal basso essendo il figlio nato in zona rurale di un ex soldato di origini tedesche ed una carbonaia possedeva aspirazioni prossime alle azzurre propaggini dell’Empireo celeste, un luogo dove avrebbe posseduto, un giorno, la sua più celebre residenza. Già perché contrariamente a quanto molti potrebbero tendere ad immaginare, l’accordo tra la città di Parigi e colui che avrebbe costruito il suo simbolo imprevisto in occasione dell’Esposizione Universale del 1889 prevedeva che Eiffel stesso mantenesse non soltanto il diritto creativo, ma l’effettivo possesso del metallico mastodonte per l’intero periodo dei vent’anni successivi, ragion per cui egli non poté resistere alla tentazione di mantenere, non lontano dall’alta e artificiale vetta sopra il Champ-de-Mars e lo stesso ponte d’osservazione dedicato ai visitatori, uno spazio esclusivo riservato al suo esclusivo utilizzo. La “stanza segreta” della torre, come l’avrebbe definita la stampa sempre pronta a enfatizzare stranezze o singolarità. Un appellativo che si sarebbe rivelato calzante almeno per qualche anno, vista la discrezione mostrata dal progettista, forse preoccupato dell’insorgere di un nuovo giro di proteste indignate. I che non si sarebbe in seguito realizzato, possibilmente in funzione dell’intercorsa accettazione da parte del pubblico del nuovo punto di riferimento, pur lasciando il passo ad un sfilza d’incidenze parimenti problematiche: la soverchiante quantità di richieste, scritte dall’alta borghesia e la nobiltà, di affittare quello spazio fiabesco, ove trascorrere anche soltanto poche ora, possibilmente in piacevole compagnia. Possibilità sempre destinate ad infrangersi dinnanzi ad un fermo diniego del suo possessore, che ne avrebbe presto fatto il luogo più esclusivo di tutta Parigi, se non la Francia o persino, perché no, l’Europa intera…
Le molte vele di un’alata corte di giustizia sulla grande piazza di Anversa
Ed amministreremo norme e regolamenti, con pacata ragionevolezza, trasparenza, senso del dovere. Massima attenzione alle minuzie. Come solo chi l’ha fatto per molteplici generazioni, sotto l’occhio attento di un intero popolo sovrano, può riuscire di sperare a fare… In ambienti adeguati. Palazzi polverosi angusti e gremiti, poiché questo è stato il simbolo, da sempre, dell’umana burocrazia. Fino ad ora! Cosa serve in linea di massima, d’altronde, per esprimere un giudizio è solo tempo, conoscenza dei preziosi codici. E uno spazio adatto a contenere l’imputato con il ricco corollario di avvocati contrapposti, ciascun portatore del proprio stendardo carico di una preziosa idea. La cognizione che ogni cosa può essere risolta, se giustizia deve essere e così sarà. Sotto punte che protendono la propria insolita magnificenza verso il cielo. Là, dove compare ormai da ben due decadi la forma estremamente iconica di un siffatto edificio. Gli aviatori amano, d’altronde, l’operato del fu architetto britannico Richard Rogers coadiuvato dai tradizionali membri del suo studio, già creatori di punti di riferimento come il surreale Millennium Dome londinese o in tempi meno recenti, il centro Pompidou con la sua scala a Parigi. Edifici per cui forma e funzione si congiungono in un singolo flusso indiviso, generando arredi degni di formare il punto focale di un intero plastico cittadino. L’indiscutibile realizzazione di un intento caratterizzante per l’intero scenario di appartenenza, così come non fa eccezione quello che i locali di Anversa hanno scelto di chiamare informalmente Vlinderpaleis: Palazzo delle Farfalle. Giacché in Olanda niente di simile si era visto fino a quel fatidico 2006 dell’inaugurazione, quando al termine di un periodo di 5 anni raggiunse il coronamento l’esigenza pubblica di un riveduto spazio oltre all’ottocentesca Gerechtshof Brittenlei (Corte d’Appello sul viale Brittenlei). Così come aveva visto l’opportunità di concretizzarsi un’imponente piazza lì, nella parte meridionale del centro urbano, ove l’arteria di collegamento Amerikalei costituiva unicamente un luogo liminale privo di spazi a misura d’uomo. Tutto il contrario degli ulteriori spazi intitolati all’eroe sudamericano Bolivar, ove sarebbe sorto il vasto parco e sopra un terrapieno, la linea immediatamente riconoscibile dell’astronave. Da ogni punto di vista, l’equivalenza estetica di un veliero lungo e articolato, raccolto attorno ad uno spazio centrale aperto e percorribile liberamente, per lo meno un certo numero di giorni l’anno, denominato Salle des Pas Perdus. Dal quale si diramano come le dita di una mano +1, sei lunghi edifici caratterizzato dal generoso uso di vetro nelle proprie facciate, proprio a simboleggiare quell’assenza di segreti che avrebbe dovuto caratterizzare idealmente la “migliorata” legge belga, rivisitata dopo un paio di scandali e casi particolarmente difficili sul finire degli anni ’90. Il tutto impreziosito da una linea superiore frastagliata paragonabile alla dentatura inferiore di un megalodonte, in realtà composta da una pletora di vele in forma paraboloide iperbolica, ciascuna posta in corrispondenza di un’aula o altro tipo di auditorium al servizio dello scopo principale dell’edificio. Come il dorso di un pesante dinosauro mai davvero, o necessariamente sopito…