Preparatevi adesso, oh giovani guerrieri! E fatelo lasciando niente al caso. Poiché nel giorno della verità, all’alba della fatidica battaglia, nulla potrà fungere come barriera tra voi e lo Hyang, il Grande Spirito delle forze della natura, guidato dal volere degli antenati. Quell’entità superna che ci osserva e giudica, instradando il corso del destino in base ai nostri meriti e presupposti di probità. E quale futuro, potrebbe mai aspettarci? Che raccolti dai nostri campi? Se al volgere di tal frangente, la vostra esecuzione fosse impropria e l’ultima realizzazione dei passaggi necessari, in qualche modo, incompleta. Di sicuro, le acque dell’oceano si solleverebbero a per ricoprirci. Le ceneri della montagna, scenderebbero a costituire l’inviolabile coperchio di una bara silente. Cavalcate dunque con estrema sicurezza, incontro all’alba di un nuovo giorno. Vibrate i vostri colpi con la frusta vicendevoli ed all’indirizzo del cielo stesso! Poiché questo è il senso, e il nesso, e il giusto dell’ancestrale pratica del Kuda Lumping.
Ovvero un atteggiamento comprensibile per gli abitanti di una grande isola, come quella di Java, dove l’entità dei disastri naturali è stata spesso in grado di lasciare strascichi importanti, causando vittime tra la popolazione senza nessun tipo di pregiudizio. Così la gente dei villaggi, come i ricchi proprietari dei latifondi, ed allo stesso modo soldati, politici, amministratori. Persino il re in persona. Tutti quanti egualmente impossibilitati a sottrarsi alle conseguenze del proprio destino, inteso non come una legge karmica dell’universo, bensì il capriccio stesso di entità preposte a sovrintendere il presente ed il futuro dell’umanità stessa. Per cui non è di certo sorprendente, nel quadro generale delle cose, ritrovare spazio in questa società coerente per antiche danze o pratiche spirituali di varia natura, nonostante l’implicita avversione del monoteismo islamico preponderante, o le severe repressioni di periodi affini al totalitarismo come la dittatura di Soharto durata tra il 1966 e il ’98. Attività facenti parte del tessuto stesso della società locale, al punto da trovare spazio non soltanto nelle feste o ricorrenze del calendario, ma come parte inscindibile di cerimonie, riti di passaggio o addirittura, perché no, puro e semplice intrattenimento, nello stile di una sorta di circo itinerante. Uno dove gli animali trovano collocazione, in un certo senso, sebbene non nel modo che saremmo forse incline ad aspettarci prima d’iniziare ad approfondire. Poiché proprio questo riesce ad essere, in effetti, il testuale significato di Kuda Lumping: “Cavallo Piatto” con riferimento a un tipo di giocattolo tradizionale delle isole, consistente di una sagoma equina costruita con le fibre di rattan o un intreccio fatto con le canne di bambù, ragionevolmente in grado di restituire l’impressione che i suoi possessori siano in groppa al più fedele dei quadrupedi, purché lo si faccia volteggiare con il giusto grado di perizia ed esperienza pregressa. Che di certo non mancano ai celebrati praticanti dell’eponima disciplina, particolarmente associata alla parte occidentale di Java e del Borneo laddove il termine preferito verso la parte centrale del paese si trova riassunto semplicemente nella locuzione (Kuda) Kepang. Con riferimento meno specifico ad un ampio repertorio di performance drammatiche, musicali e teatrali, tendenzialmente culminanti nella stessa topica apoteosi finale. Sto parlando, chiaramente, del momento in cui i suggestivi cavallerizzi “diventano” a tutti gli effetti parte dell’animale stesso, perdendo ogni collegamento con il mondo fisico. Ed iniziando a compiere miracoli che mai nessuno, in circostanze d’altro tipo, si sarebbe potuto aspettare da loro…
java
Niente porte né pareti, per la scuola sostenibile costruita col bambù di Bali
Fluida e non del tutto prevedibile, risulta essere la strada che conduce alla grandiosità nella creazione degli ambienti architettonici con uno scopo estremamente definito. Così alto e ponderoso, sormontato da una letterale foresta d’antenne, pieno di finestre… Sono qualità di tipo prettamente urbano, che figurano alla base di una lunga ed ampiamente coltivata scuola di pensiero. Ma fuori luogo esse possono apparire, come treni, strade, piste di decollo nel bel mezzo della giungla balinese. Dove la realizzazione di una certa misura spirituale, nell’umana progressione dei giorni, può essere considerata il fondamento e la chiave stessa di un diverso tipo di realizzazione spirituale, personale, pubblica e privata. Della fondamentale tipologia impiegata, in un’ampia gamma di contesti, come base dell’insegnamento stesso, ovvero sfondo di un’educazione delle prossime generazioni che non sia del tutto conforme, a linee guida provenienti dalla parte della solida della montagna. Bensì fluida ed implicitamente scorrevole, alla maniera di un grande fiume che può essere deviato all’occorrenza. Uno studio di materie forse non così diverse sulla base delle aspettative, ma filtrata dalla situazione stessa in cui vengono impartite, o dettate per osmosi, ad un’intero gruppo d’individui che potrebbero anche diventare “i leader di domani”. Frase inflazionata, forse. Che abbiamo già sentito un alto numero di volte. Eppure sembra possedere, quando pronunciata dall’ex disegnatore di gioielli canadese John Hardy e sua moglie e collega Cynthia, un qualche tipo di significato segreto ed ulteriore, soprattutto nelle multiple interviste condotte entro i confini del complesso architettonico che si ha finito per configurarsi come lascito alle prossime generazioni più importante e significativo della loro esistenza. Sto parlando della Green School, ovviamente, prestigiosa (e costosa) istituzione scolastica privata presso una delle isole più culturalmente rilevanti e caratteristiche dell’Indonesia, con studenti multiculturali, un corpo docenti multiculturale ed il più notevole campus d’edifici, costruiti secondo linee guida che s’integrano perfettamente con un particolare modo di vedere l’esistenza passata, il tempo che stiamo vivendo ed un probabile futuro del mondo. Tutti rigorosamente, interamente e senza eccezione, grazie a un materiale che idealmente simboleggia l’Asia nella mente collettiva delle persone: il bambù stesso, erba più alta ed omni-pervasiva del pianeta Terra.
Per un effetto finale che compare la centro di ogni materiale comunicativo dell’azienda (perché dopo e nonostante tutto, pur sempre di questo si tratta) a partire dal “Cuore” stesso, il nome dato all’edificio centrale costruito al centro della cittadella nata a partire dal 2008, con forma tanto caratteristica e riconoscibile, persino tra i molti costrutti adiacenti, da essere successivamente diventato il logo stesso dell’intera Green School (Scuola Verde) idealmente il prototipo di quello che dovrebbe diventare un nuovo (o ritrovato) tipo e metodologia d’arricchimento pedagogico per le prossime generazioni, frutto di un particolare metodo, ma soprattutto il fondamentale rispetto per l’ambiente che potrebbe, idealmente, conservare intatto il poco che ci resta delle risorse imprescindibili necessarie a preservare l’attuale stato delle cose. Così che permane molto poco, d’industriale ed impersonale, nel complessivo aspetto delle molte aule disseminate sul vasto terreno acquistato dalla coppia, ciascuna essenzialmente una struttura indipendente, costituita da poche aree chiuse con pannelli rimuovibili, ma soprattutto vaste aree aperte alla densa giungla che si spinge fin sopra i vialetti costruiti rigorosamente in pietra locale, così come localmente sono stati prelevati i molti fusti incrociati e sovrapposti di Dendrocalamus Asper, la specie di bambù gigante alta fino a 20-30 metri, utilizzata come principale materia prima del progetto decennale. Ancor più resistente del cemento e parità di dimensioni, e proprio per questo adattabile alla costruzione di alcuni degli edifici in legno più estesi del mondo, tra cui la nuova ed incredibile palestra denominata The Arc, costruita come un vero e proprio padiglione dalle aguzze punte simili a cime di cipressi, ma interconnesse da una versione ultra-perfezionata del tradizionale metodo per costruzione dei tetti con foglie di canna da zucchero e palma, alang alang, che si adatta facilmente all’estensione e funzionalità di una quasi-cattedrale. Ove vige la regola di un’espressione personale ragionevolmente libera, poiché questo è il fondamento stesso, nonché ultima finalità, di una così moderna e prestigiosa istituzione…
I maestosi segreti del Borobudur, grande casa di Buddha sull’isola di Java
Quello che sappiamo di un luogo, tanto spesso, contribuisce a definirlo quanto gli aspetti che mancano al novero delle nostre conoscenze, riuscendo ad approfondire le basi di un mistero da cui può riuscire a germogliare, in modo contro-intuitivo, il ramo fiorito della sua stessa risoluzione. Pochi anni dopo l’inizio del IX secolo d.C, mentre Carlo Magno in Europa veniva incoronato imperatore, all’altro capo del mondo qualcosa di simile accadeva nella più popolosa isola dell’Indonesia e quinta per dimensioni in tutto l’arcipelago: la potente dinastia degli Shailendra, fortemente allineata dal punto di vista religioso e culturale con le influenze provenienti dalle terre a settentrione dell’India, consolidava il suo potere e il predominio sulla popolazione. Scegliendo di farlo, come tanti altri centri del potere sia venuti prima che dopo nel lungo corso della storia, tramite la costruzione di un immortale lascito votivo; sto parlando di una delle più famose piramidi a gradoni del mondo, nonché il più vasto tempio Buddhista mai costruito, scegliendo di dare forma fisica ad una delle immagini più importanti della tradizione Mahayana, il mandala che descrive l’Universo. Benché sia alquanto riduttivo scegliere di definire soltanto in questo modo l’enorme edificio diventato attraverso i secoli sinonimo ed antonomasia del complesso in tre parti del Borobudur, con i suoi 118 metri di lato per la base quadrata ed i 35 metri totali delle nove piattaforme che si ergono dalla pianura confinante con la città di Magelang, nella parte centrale del paese. Essendo giunto a costituire, dopo un lungo periodo di abbandono, la singola attrazione turistica più popolare di tutta l’Indonesia nonché un importante sito di pellegrinaggio per i devoti cultori degli insegnamenti di Siddhārtha Gautama, fermamente intenzionati a sperimentare in questo luogo metaforico la prototipica salita fino alla liberazione della mente, dal mondo fisico fino alla residenza pura della buddhità.
Missione difficile, senz’altro, forse la più lunga e complicata nella storia delle civilizzazioni, tale da meritare un monumento in grado di celebrare e rendere omaggio a coloro che attraverso le generazioni hanno aspirato a completarla. E da un simile punto di vista, nessuno potrebbe sollevare il dubbio che un simile luogo di culto possa lasciare alcunché d’intentato, con i suoi 2.679 pannelli scultorei ricoperti di bassorilievi e le 72 statue di Buddha, alcune delle quali raffigurate all’interno di strutture in pietra simili a gabbie, presumibilmente rappresentative del velo dei desideri che c’impediscono di acquisirne completamente le fondamentali verità. Il che non è del resto molto più che una vana speculazione, come innumerevoli altre compiute a margine di questa notevole struttura, la cui tangibile esistenza, che ci crediate o meno, fu completamente dimenticata tra il XVI e il XIX secolo, per la conversione storica dell’isola alla religione islamica e lo spostamento della capitale nella sua zona situata ad oriente. E fu così che l’antica collina sacra, assieme a tanti altri chandi (templi ancestrali) venne progressivamente ricoperta di vegetazione e la cenere precipitata dai vicini vulcani, continuando a comparire unicamente in alcuni scritti dell’epoca come sinonimo di luogo maledetto e latore di sventura. Fino alla tardiva, ma risolutiva riscoperta, da parte della figura di un importante personaggio storico e l’imprescindibile interesse per la storia di quell’altro popolo isolano un tempo avversario di Carlo Magno, che sbarcando nei distanti territori della Terra giunse molti secoli dopo a possedere un dominio ove non riuscisse a tramontare MAI l’astro solare…
La chiesa della colomba che voleva essere un pollo
Quando il manager dell’industria tedesca BASF nel distretto centrale dell’isola di Java, il cristiano Daniel Alamsjah, andò a letto quella sera del 1988, non immaginava certo di svegliarsi come un uomo completamente cambiato. La forte convinzione, l’ideale della fede e la credenza in un potere superiore tende a fare di questi scherzi. Specialmente, quando si è propensi a seguire la strada indicata dai propri sogni. Così nel profondo della notte, l’uomo nel mezzo del cammino chiuse gli occhi, soltanto per trovarsi inondato da una luce sovrannaturale. Attraverso la quale, si palesò dinnanzi a lui una colomba bianca, accovacciata sulla cima di una verdeggiante bianca. La quale, con la naturalezza tipica dei contesti privi di sostanza, aprì il becco e iniziò a parlare: “Sappi che la grazia del Signore è immensa, e il suo perdono sconfinato. Forse tu mi costruirai una casa, perché Io possa abitarvi a beneficio di tutto il popolo dell’Indonesia?” Svegliandosi allora, possiamo presumere, in un bagno di sudore, Daniel meditò a lungo sull’intera questione, prima di decidere che sarebbe andato al lavoro in maniera del tutto normale. Benché non avesse ragione di pensare che il segno sacro ricevuto fosse del tutto immaginario, le sue responsabilità restavano particolarmente importanti, e c’erano molte persone che dipendevano da lui per lavorare. Persone come l’impiegato rimasto senza nome nelle cronache internazionali, di religione musulmana, che per qualche ragione aveva mancato di tornare agli stabilimenti dopo il concludersi delle feste per il termine del Ramadan. Così decise, senza particolari esitazioni, di recarsi presso la città natìa di quest’ultimo, Magelang, per andarlo a cercare. Ma la sua famiglia non sapeva dov’era. E nei principali bar, nessuno lo aveva visto. Se non che verso sera inoltrata, sentì la voce secondo cui egli si trovasse sul promontorio di Rhema antistante la città, a meditare in completa solitudine. Prima di tornare a casa, quindi, risalì il sentiero e una volta giunta in cima, proprio come previsto, il collega era lì, seduto sopra una roccia. “Signor Alamsjah, la stavo aspettando. Si, eviti di fare domande. Deve sapere che anch’io ho avuto una visione, che mi ha portato qui, ora, con lei. Domani sarò pronto a tornare al lavoro, ma soltanto a una condizione: per stanotte, resti quassù con me. Osserviamo insieme il sorgere del sole.” L’uomo razionale che c’era in Daniel, a quel punto, iniziò a combattere contro il suo spirito convinto nell’esistenza di un Potere superiore, giungendo alla conclusione che l’intera faccenda aveva qualcosa di strano. E che meritava, quindi, di essere approfondita. Pensieroso, dunque, si sedette su una roccia vicina. Dovete comprendere che in un paese tropicale come l’Indonesia, passare la notte all’aperto senza nessun tipo di preparazione difficilmente comporta particolari problemi. Il racconto non ci dice che cosa fecero, esattamente, i due per le lunghe ore notturne. Forse dormirono. Oppure pregarono, ciascuno secondo i dogmi della propria religione. Ma alle prime luci dell’alba, d’improvviso, l’importanza della loro impresa fu evidente. Nel momento esatto in cui Daniel si alzò in piedi, facendosi schermo agli occhi con le mani a coppa, intravide tra le sue dita qualcosa d’inaspettato. La stessa identica vista della collina che aveva visto nel suo sogno, fin nei più piccoli particolari. “Manca soltanto…Manca soltanto…”
Ora, nell’architettura monumentale, la maggior parte dei paesi che hanno avuto, nel corso della loro storia, una maggioranza a cultura e religione buddhista, presentano un’innata propensione nei confronti delle statue. Come quelle di Borobudur, l’antico e giganteggiante santuario situato non troppo lontano dalla collina di Rhema, al punto che con le condizioni climatiche giuste, si riusciva a scorgerne tra le fronde le numerose cupole ornate. Una propensione che, analizzata nelle sue più estreme e moderne conseguenze, porta nell’intero Sud-Est asiatico all’esistenza numerosi templi con una forma particolarmente suggestiva, come quella di una nave, un drago, lo stesso Siddharta Gautama, seduto sul fiore di loto in meditazione e poi… Ma una chiesa, di contro, è sempre una chiesa. Esistono norme architettoniche assai precise, come per le preghiere, il nome da dare ai figli ed il comportamento considerato corretto, a beneficio dei veri cristiani che vogliano costruire una casa per il Signore. Almeno che Questi, per una ragione o per l’altra, si sia rivolto direttamente a loro. Così che una simile distinzione, fino da allora data per scontata, stava per mutare in un singolo istante. Quando Daniel, ormai prossimo alla pensione, disegnò su carta la sua idea nel 1992, portandola all’attenzione di alcuni suoi conoscenti operativi nell’industria delle costruzioni. Preso congedo definitivamente dalla BASF, ed investito fino all’ultimo dei suoi risparmi tra le proteste di moglie e figli, l’uomo iniziò ad assolvere alla grande missione che l’avrebbe reso celebre sul Web.