Giro di vite contro i babbuini

Chacma Baboons

L’uomo moderno, così racchiuso tra il ruvido cemento e il duro vetro, ha ormai ben pochi punti di contatto con la forza del precipuo pathos. Con quel fluido che affiora lieve, dal regno incontenibile delle apprensioni. Possibile una simile emergenza? Il tetto è solido, l’acqua è pura. La bolletta, se pagata, toglie la paura. E pure gli escrementi. Finché, come in banana meccanica di Stanley K, un -qual-cosa- irrompe da quel flebile confine, con un piano troppo chiaro a tutti quanti: lasciare il drugo segno della sua insolenza. Facciamo qualche esempio! Termiti che rosicchiano le fondamenta. Formiche, in cerca di briciole sul pavimento. Topi che strisciano nella dispensa e poi…Mosche ronzanti, presagio di funeste persuasioni. Latrici di un messaggio vano: “Fuggi, finché sei tempo, è arrivato il giorno lungamente atteso”. Di rivincita. Del selvatico che avanza, ovvero: la truppa del tremendo babbuino. Un gran divoratore, che davvero non capisce due concetti, sopra tutti gli altri: a che serve lo scarico del bagno, come usare lo sciacquone. Il mondo intero è il suo WC.
Questo video è stato registrato presso Betty’s Bay, ridente centro abitato di poco più di mille abitanti sito ad appena 93 Km da Città del Capo. Lontano il giusto, mai isolato, dai patémi della grande capitale. Che però conosce un altro tipo di disgrazie, ovvero faticose convivenze. Siamo, dunque, in una celebre località turistica dal clima mite, presa fra le limpide acque della costa dell’Overberg e le verdeggianti colline ai margini del Kogelberg, catena montuosa libera e incontaminata. I pastori vi pascolano le proprie capre, una mattina dopo l’altra, riportandole indietro sul finir del pomeriggio, quasi sempre. Se non sparisce qualche cucciolo, altrimenti…Già sappiamo chi è il colpevole. Del marcio si aggira per i ripidi sentieri e le irte mulattiere. Eccone la prova, registrata gentilmente da BC Stargazer, quindi esposta al pubblico ludibrio. Vostro onore, il colpevole è…

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La prudenza che si chiama pachiderma

Elephant Voices

La savana è un sistema di fattori che si fonda sul continuo mutamento. Attraverso i cicli stagionali, la pioggia e le tremende siccità, gli attori di quel biòma si rincorrono, costruiscono un’intesa e poi si mangiano a vicenda. Nessun ruolo è fisso, qui copione non esiste. Tale legge di natura, se vogliamo, vale pure per le cose inanimate. Un fiume che scorre in mezzo alla radura, personaggio degno del teatro shakespeariano, può essere, non essere, o sul volgere del mese scomparire, come il sogno di una notte a metà estate. Luglio? Agosto? Il calendario, fondamento dell’umana concezione temporale, può servire in certi casi, tra la gente. Esami, rate da pagare, impegni di lavoro….Ok! Preveder la pioggia in mezzo al Kenya…Non è di questo mondo. Dunque spesso capita, che un tale corso d’acqua, sparito d’improvviso dal paesaggio, sia però ancora ben presente, altrove, dentro ad una mappa. Virtuale, ben salvata nella mente di un intero branco d’elefanti. Disse Archimede: corpo immerso in un fluido che riceve una spinta verticale pari al peso di una massa di fluido di forma uguale a quella della parte immersa; aggiungi una proboscide, come timone, quattro zamponi per motore, sei a cavallo. L’animale terrestre più imponente del pianeta, come molti sanno, sa nuotare all’occorrenza. O se il corso si è asciugato, beh, discendere un pendio.
Più o meno. In questo video suggestivo, pubblicato dal portale ElephantVoices.org, si possono ammirare i molti approcci di alcuni quadrupedi eleganti, dalle vaste orecchie, che si ritrovano dinnanzi ad un dilemma. Come andare avanti. La mentalità di branco, basilare istinto di sopravvivenza, fa di questi scherzi. Tutti ricordano l’esempio delle pecore che saltano la staccionata; se va una, tutte le altre devono seguire [ZZz]. Ma quando pesi più di 10 tonnellate, per quanto agile, scattante, una ripida discesa è come un monte. Hai voglia: “La mattina ogni animale deve correre, etc. etc…” A cosa servono le Nike, per un pachiderma? Questi qui poi sembrano dire: facciamo subito, con calma. Just do it, ovvero giusto un attimo.

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Aperitivo con giraffa e noccioline

Giraffa nel bar

Un uomo entra in un bar e trova una mucca ritta in piedi dietro al bancone di servizio, con la cravatta al posto del tradizionale campanaccio. Resta subito di stucco. “Cos’hai tanto da guardare?” Chiede l’impeccabile bovino. “Mai vista una mu-ucca che prepara i drink?” “Non è questo…” risponde l’uomo. “Non avrei mai pensato che la giraffa si sarebbe venduta la licenza e pure il bar. Ah, tempi duri questi qui!” Eccome! Di giovani quadrupedi dai geni scombinati, segregati, poi sparati e spezzettati. Emblematica è l’idea. Speculativamente parlando, erano tre, queste gigantesse collo-lungo della torrida savana: Perdy del Sudafrica e gli ormai famosi Marius Brothers, emigrati, per l’irresistibile volere d’altri, nella terre fredde del distante Nord Europa. In altrettanti zoo danesi. Migliore fu la vita, questo è chiaro, della parente semi-selvatica rimasta nel suo continente. In questo video del 2013, che sta ricevendo grande visibilità, si assiste alla scena surreale di tale giraffa-femmina imperturbabile, sottilmente fuori luogo, che tranquillamente si avventura tra le sedie e i tavoli di un bar. Siamo nello spettacolare Lion Park, oasi sita nel Gauteng, giusto a qualche chilometro dalla celebre città di Johannesburg, Sudafrica. “Una delle cento destinazioni turistiche più amate in tutto il mondo!” Tuona il sito ufficiale, con pantagruelico banner in giallo e nero, fra foto di lepaordi, tigripardi e satolli panteroidi. Qui è possibile esplorare, come si capisce al primo sguardo dell’home page, mondi d’altri tempi, inscenare il Tarzan redivivonutrire le belve dalla propria sacra mano, scattare foto di Primati senza pari. Poi, questo è il bello, soprattutto: niente sbarre tranne quelle dei golf cart; se ci sono gli ampi spazi, tutto il resto vien da se.
Ecco l’esperienza della selvatica natura, impacchettata nella pratica misura d’uomo, senza i problemi eugenetici delle giraffe viaggiatrici. Tanto che alla fine, succede pure questo: Perdy che vagabondando si ritrova dentro al bar. E come ridono i presenti, quale astrusa giustapposizione, tra l’enorme dinosauro e gli avventori, i banconieri, ovvero quelli che servono i gelati! Niente bracconieri, quelli no, per fortuna. Altrimenti affari suoi.
Ritornando all’ipotetica speculazione, questi due fratelli, Marius & Marius, a colloquio con la bella Perdy sotto l’albero di baobab, potrebbero aver detto: “Emigrerò, mal che vada so una cosa, solamente. Un leone non mi mangerà.” Quale orribile ironia.

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Roboagenzia di collocamento: doppia assunzione

Fun with robots

Bangokok la splendida, città fragrante, antica capitale e moderna metropoli tailandese. Sulla spaziosa Via Rama III, un lungofiume del sacro Chao Praya, campeggia coloratissimo ristorante giapponese della tipologia Yakiniku, di quelli dove si mangia la carne grigliata. Dietro al bancone c’è un samurai silenzioso, con un televisore a fargli da testa, due grossi occhi da cartone animato e un look, nel complesso, non dissimile dal celebre Marvin il Marziano. La sua armatura storicamente accurata, rossa, gialla e oro, non sfigurerebbe sui lontani campi di battaglia del turbolento XVI secolo, tra i molti signori sconfitti da un grande conquistatore, placati dal diplomatico taiko e infine dominati dallo shōgun paziente, sul canto finale di un usignolo assai lungamente atteso. Tale redivivo guerriero, in anacronistica effige metallica, senza la spada simbolo del suo rango, non è li per combattere a beneficio dei suoi precedenti signori. Percorre, piuttosto, una Via di benevolenza e altruismo. Il solenne sentiero del cameriere automatico, vera star della scena ristoratrice.
Di questo curioso figuro meccatronico, nonché del suo identico collega, ne parla diffusamente Bangkok.com, nella sottosezione del portale dedicata alle ultime curiosità cittadine. Insieme, i due pupazzi costituiscono la principale attrazione di Hajime, un popolare bistrò etnico dedicato al più remoto arcipelago d’Oriente, molto amato da grandi e piccini. Ci si siede ai tavoli, ciascuno dotato del tradizionale barbecue, da usarsi per cuocere personalmente alcuni degli ingredienti del proprio pasto, tra cui carne di maiale, manzo, pollo e verdure. Si effettua quindi l’ordine, usando l’apposito tablet di supporto. E poi ci si mette a guardare il robot, piuttosto a lungo, pare. Dicono, infatti, che il servizio non sia velocissimo, con i suoi quasi 20 minuti di attesa. Probabilmente, il collo di bottiglia si trova in cucina. Jigou jitoku, significa: quello che fai, è ciò da cui trarrai beneficio. Mai e poi mai un depositario di tradizioni millenarie, come quell’androide samuraico, dimenticherebbe tale nipponico assioma.
E poi, mettiamoci pure che i robot non falliscono mai (il più delle volte). Ecco, questo è l’aspetto interessante, di simili iniziative commerciali: il puntare a un tratto emergente della cultura dei nostri giorni, ovvero la sempre maggiore fiducia popolare nell’automatismo. Fino a qualche anno fa, una simile idea, di farsi portare il cibo da un robot, avrebbe fatto alzare più di un sopracciglio. Figuriamoci poi, affidare ad un suo simile la direzione del traffico, in un incrocio davvero problematico…

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