Come trovare il platino per strada

Cody's Platinum

È un esperimento, fondamentalmente. Nient’altro che uno studio di fattibilità su un processo che, svolto in una simile maniera, non potrà mai essere in alcun modo profittevole o proficuo. Il che non significa, del resto, che un’adattamento alla prassi dell’economia di scala, con grandi attrezzature, macchine e strumenti, non possa in un futuro trasformare questa attività in qualcosa di diffuso e totalmente quotidiano, per aziende pubbliche o private che poi mettano in commercio lo splendente materiale in massa, con un probabile immediato crollo del mercato. Nei primi minuti dell’intero processo, tuttavia, appare fin troppo chiaro che Cody ed il suo amico Arthur, l’ospite del presente video, al momento di girarlo fossero stati invasati dal demone della pura scienza. Altrimenti come potresti mai spiegare, la folle scena in cui i due coraggiosi, senza neanche l’ombra di un gilè catarifrangente, si sono avventurati con altrettante scope presso un viale a 6 corsie alle 3 di notte, con l’unica protezione della loro fida berlinetta con i lampeggianti accesi, a mettere in guardia chiunque dovesse sopraggiungere rischiando un incidente catastrofico e letale…Ma il guadagno ecco, il guadagno fa l’uomo… Imprudente.
Perché un’automobile, da certi inaspettati punti di vista, è fatta esattamente come una persona. Ha due occhi per guardare, orecchie, gomma zigrinata sotto i piedi. Ha un esterno resistente alle intemperie ed un interno morbido, ricolmo di strumenti utili al suo procedere da un luogo all’altro con estrema nonchalance. E una tale analogia, per quanto all’apparenza ardimentosa, può trovare il suo riscontro addirittura nei dettagli: vedi, per esempio, l’intestino. Perché al termine del nostro tratto digerente, una volta che il prezioso cibo ha già percorso l’esofago e lo stomaco, ciò che segue nel suo viaggio è un lungo tunnel, pieno di anse e punti ciechi, dove gli enzimi si attivano ed assorbono una parte addizionale del prezioso quibus nutritivo. Mentre prendi un mezzo a quattro ruote, mettilo sul ponte del meccanico ed osserva bene il suo squadrato deretano: cosa vedi? C’è un oggetto, poco prima del tubo di scappamento, che ha una forma esterna simile a un barattolo cavo all’interno, ma è in realtà riempita da innumerevoli cellette, come un alveare. Sarebbe questa la marmitta catalitica, dove i gas di scarico sono rallentati, grazie all’uso di una simile struttura, e quindi intrappolati, esattamente come le sostanze da noi masticate che finiscono laggiù, per aiutarci a camminare, parlare, respirare. Con una significativa differenza: poiché un’automobile non è vivente, e per funzionare essa consuma un qualche cosa che è tremendamente velenoso, non può essergli permessa la defecazione incontrollata. Almeno una parte, di simili scorie, devono restare lì, all’interno. Ed è una furba applicazione della chimica, quella che ha permesso agli ingegneri di risolvere il problema; poiché esistono metalli PREZIOSI, a questo mondo, che possono indurre la trasformazione degli ossidi d’azoto in puro azoto, e il monossido in anidride carbonica, ovvero CO2. Che non sarà la più desiderabile delle sostanze ma almeno, non uccide gli scoiattoli che vivono sui margini dell’autostrada. Per questo, all’interno del convertitore catalitico di un’auto nuova, possono esserci tra i 6 ed i 15 grammi di platino, palladio e rodio, ben nascosti tra i villi e cavilli della complessa struttura interna. Fino a 30, se si tratta di un SUV.
Il che ci porta a una questione estremamente suggestiva. Perché pare che, e ce lo racconta in questo caso il grande sperimentatore del canale Cody’s Lab, chiunque abbia mai lavorato con delle marmitte catalitiche ben conosca un incredibile segreto. Relativo al fatto che, dopo aver percorso 100.000 miglia, all’interno della marmitta resti la metà del contenuto originario in simili metalli. Come se la rimanente parte, per uno strano caso del destino, fosse destinata a volatilizzarsi assieme al carburante che in forma gassosa, li attraversa con grande violenza e velocità. Ma il punto, semmai, è un altro: perché l’esperienza ci insegna che i metalli di questo mondo, fra tutti gli elementi della tavola periodica, sono quelli meno propensi a mutare dallo stato solido, essere lanciati ad alta quota e scomparire tra la polvere di stelle. Mentre ciò che sempre fanno, per innata predisposizione, è ricadere sul terreno, soggiacervi, quindi scomparire tra gli strati superiori dei sedimenti, molto più leggeri. Ora, l’ambiente naturale dell’automobile è la strada, dove non esistono processi geologici (di questo noi ci siamo assicurati, per ovvie ragioni) ma si verifica comunque un qualche tipo di deposito costante: quello dello sporco, la polvere la spazzatura. Certo, quanto platino può perdere una singola automobile, in un tratto y di strada? Però quante auto passano, ogni giorno, presso i più importanti svincoli e le vie di scorrimento?
I conquistadores spagnoli, al volgere della scoperta del nuovo mondo, viaggiarono tra le giungle sudamericane alla ricerca della mitica città di El Dorado, in cui si diceva che le strade fossero lastricate d’oro. Non la trovarono mai, o almeno questo è quello che ci è stato detto. Ma è possibile che invece, le nostre vie asfaltate di maggior impiego, siano segretamente ricoperte del singolo metallo più prezioso di questa Terra? Vediamo un po’…

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Il valore di un’auto che ha trascorso 70 anni in un lago

Bugatti Type 22

Persino in quel momento, ubriaco fradicio, quell’uomo aveva l’alone. Un tiepido lucòre, d’esperienza e savoir faire, quel senso del luogo e delle circostanze che i britannici, dall’altra parte del Canale, amavano chiamare smart-ness. Ma Adalbert sapeva molto bene che quella sera, finalmente, avrebbe avuto la vendetta tanto attesa. “Shick!” Singhiozzò René Dreyfus, premiato pilota francese da corsa poco meno che trent’enne, con alle spalle già una carriera di trionfi a Monaco, Rheims, Firenze, in Belgio, a Tripoli e in Nord Africa, al volante di auto che il cinematografo avrebbe chiamato, senz’ombra di dubbio, da sogno. “P-Poker alla texana, che cosa vuoi dire?” D’un tratto, il sommesso vociare della grande sala dell’Aviation Club de France, senz’altro la sala da gioco più alla moda di tutti gli Champs Elysees, sembrò calare di un tono. “Oh, vecchio amico mio! Ero certo che tu lo conoscessi già. Non dici sempre che vorresti aprire un locale a New York?” Ovviamente, nessuno avrebbe mai potuto dubitare della buona fede di Adalbert Bodé, famoso viveur della città delle luci, uomo dai molti pregi ed ancor più misteri, venuto dalla Svizzera per bucare il cuore delle fanciulle e dei loro mariti. Del resto la sua inflessione strascicata, lo sguardo vacuo e l’eccessivo entusiasmo provavano, in tutto e per tutto, uno stato d’inebriatura almeno pari a quello della controparte. “Guarda. È…È…Facilissimo. Si mettono tre carte sul tavolo, così. Poi, ciascuno ne prende due, coperte.” A quel punto, già stava iniziando a formarsi un capannello attorno al tavolo delle due celebrità nazionali. Di certo non molti, nella Parigi del 1934, già conoscevano le regole di quello che sarebbe diventato, di lì a una trentina d’anni, il gioco più amato dai migliori casinò di Las Vegas. “Ce l’hai? Le hai guardate? Perfetto. Ora immagina che stiamo già giocando. A questo punto, faremmo le nostre puntate. Poi si prende un’altra carta, così…” Ci fu un leggero tremolìo delle grandi lampade in sala, progettate per rispondere al gusto del nascente Art Decò. “E la si mette accanto alle altre. Lo vedi? Adesso sono tre. Ma in realtà, sarebbe più giusto dire, CINQUE. Perché formano, con quelle che io ho in mano, e tu hai mano, un’unica mano.” Qualcuno ridacchiò tra il pubblico, il pilota Dreyfus aggrottò le sue sopracciglia. “Si, proprio così. Lo scopo del gioco è formare delle serie vincenti, come nella versione più classica. Ma una certa quantità di carte sono in comune, e scoperte. Dopo il primo giro di puntate, si aggiunge una quarta carta sul tavolo. Così alla fine, ogni giocatore ne avrà un totale di SEI. Non è divertente?” Mormorio d’approvazione diffuso. “Shick!” Fece Dreyfus “C-Carino. Ehi, ma tu sei davvero u-ubriaco?!” Adalbert ridacchiò in modo sciocco. Quindi si versò il quarto bicchiere dello champagne più a buon prezzo di uno dei bar più cari del quartiere più rinomato, della città più famosa. “Certo!” Le labbra ritirate a mostrare i denti. Un lieve risucchio d’aria, perfettamente udibile dall’altro lato del tavolo: “Certo, che lo sono.” La folla, compreso che il momento non era ancora arrivato, si allontanò momentaneamente. Restando, comunque, fin troppo pronta a testimoniare…
E così, la serata trascorse tranquilla, almeno per il paio d’orette a venire. I due uomini parlarono a lungo di vari argomenti, della ferrovia della Pennsylvania, che recentemente aveva esteso i suoi binari fino alle propaggini meridionali dei Grandi Laghi del Nord. E del progetto ancor più ambizioso, fortemente voluto dallo zar Nicola II, di ultimare una via ferrata da Mosca a Vladivostok, attraverso la sperduta Siberia “Ah, quei russi! Non ce la f-faranno mai!” Esclamò il francese. In ultima analisi, pareva essersi ripreso un po’ dalla sbronza. Quindi, l’argomento passò alle gare d’automobili, ed alla breve rivalità intercorsa tra i due, quando Adalbert, prima di trasferirsi a Parigi, correva da privato nei campionati della Côte d’Azur. “Così, sei venuto in Bugatti. È l’auto che credo?” Dreyfus battè la mano sul tavolo: “Lo sai benissimo! Shick! Certo che si. La Tipo 22 del ’25, quella che avevo la sera. La sera di…” A questo punto, la gestualità si fece concitata. Adalbert gli fece cenno di fermarsi. Troppe persone, ancora, stavano prestando orecchio alla loro conversazione. Ma nello stesso tempo, la sua espressione si animò. Gli occhi si spalancarono, la bocca si alzò agli angoli in un accenno di sorriso: “Ottimo, fantastico!” Entrambi sapevano che cosa significava una tale ammissione. C’era una storia, dietro. Già Dreyfus, uomo di parola più che ogni altra cosa, adocchiava l’immacolato mazzo di carte. Era giunto il momento lungamente atteso: “Come promesso. Giochiamo?”

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L’eterna lotta degli inglesi con la segnaletica stradale

Terminal Communication

Tutti posseggono l’intelligenza e l’attenzione, la cautela, la capacità di concentrazione, lo spirito d’osservazione, il senso e la presenza di spirito necessari per mettersi al volante responsabilmente, e raggiungere la propria meta senza il sopraggiungere di eventi catastrofici o incidenti. O almeno, questo è ciò che deve ottimisticamente pensare l’ingegnere urbanistico, colui che sopra il tavolo progettuale, sia vero che virtuale, traccia la ragnatela di sottili linee e punti d’interesse, che nel tempo si trasformeranno in vie d’asfalto per i pendolari. Con la penna in una mano, il globo della scienza infusa dentro all’altra, che sfavilla d’incomparabile e profondo desiderio. Ciò perché, affinché si realizzi tale condizione di massima, occorre un equilibrio tra i due princìpi, della funzionalità e semplicità d’impiego. Che talvolta può essere difficile da mantenere. Che in altri momenti, particolarmente fortunati, si configurerà spontaneamente del profondo mare dell’occulto desiderio. E che in determinati casi, invece ahimé, lì resterà sommerso, fino al verificarsi delle condizioni più…Abissali.
Sulla carta, non sembrava tanto male, come idea: siamo presso il molo portuale del traghetto di Rosslare, che dalla sua sede presso la punta sud-est dell’isola d’Irlanda, si occupa dal 1906 di trasportare gli automobilisti fino all’antistante Inghilterra. Dove, a giudicare dalla soluzione adottata, c’era un piccolo problema di traffico all’imbarco. Perché naturalmente, nessuno sceglie d’implementare una cosa simile senza il più gravoso dei pretesti, che tante strade per l’Inferno lastricò, una buona, orribile intenzione. Sostanzialmente, una barriera. Incolpiamo, se davvero è il caso, la presente telecamera stradale, che come da sua prerogativa era stata utilizzata per creare un valido compendio degli altrui comportamenti in questa sede. Dunque sembra quasi di vederla, la figura professionale dell’addetto alla questione, uno studio effettuato sopra i nastri analizzati di parecchi mesi o settimane, che fiduciosamente postula: “Se la fila per il TERMINAL si forma sempre su due corsie, mentre le automobili che vanno sulle NAVI sono relativamente poche, allora di sicuro c’è un errore. Poco male. Tutto quello che devo fare, è…” Una follia? Un colpo di genio? Sarebbe troppo facile parlare, senza prendere atto dell’intera situazione. Il fatto è che al momento della pubblicazione del presente bizzarro video-documento (eravamo addirittura nel 2010) lo svincolo multi-corsia di Rosslare si era arricchito di uno spartitraffico divisorio, mirato a trasformare l’ultima delle corsie SHIP nella seconda per il TERMINAL, raddoppiando quindi lo spazio a disposizione per tale agognata meta. Il risultato…Beh, giudicatelo voi. Il fatto è che l’automobilista medio, quando si mette al volante, non è davvero cosciente di quanti dei suoi gesti siano frutto di un velocissimo processo di ragionamento, e quanti invece derivino dai meccanismi semi-automatici, frutto dei suoi (potenzialmente) molti anni d’esperienza. Portando a reazioni che, come avviene per l’istinto animalesco, non possono che basarsi su un catalogo di esperienze pregresse. Riassumibili nella presunzione secondo cui, se in terra c’è una freccia, quella è chiaramente latrice di un messaggio, che potrebbe riassumersi in: “Mio caro amico, passa di qui.” E non certo, “No! Stai attento alla barriera!” Ogni deviazione dalla norma è un potenziale pericolo, dunque? Possibile. Persino, probabile. Il fatto poi che le scritte siano tutt’altro che chiare, unito a un improvviso, apparente bisogno collettivo di accostarsi ed urinare, di certo non aiuta.
Ma è del resto proprio lì nelle isole di Gran Bretagna, che ormai da più di mezzo secolo si perpetra il mantenimento del problema collaterale, una soluzione tanto complessa e bizantina al problema del traffico che soltanto un amore sconfinato per la tradizione, unito ai lunghi anni di onorato servizio, potrebbero giustificarne l’esistenza continuata. Il suo nome è Rotatoria Magica, e come per ogni altra esistenza dotata di una tale apposizione fiabesca, la sua storia nasce da un’incomparabile leggenda.

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Sgommando sopra l’acqua con la tecnica dell’hydroplaning

Hydroplaning

Scoprire tutti quanti all’improvviso, grazie a una pregevole pubblicità di un lunedì d’inizio agosto, che una barca non è necessaria per far muovere i motori sopra i fluidi, e che soprattutto l’invenzione più inutile del mondo è proprio quella sua cugina, la moto d’acqua che talvolta viene definita PWC, Personal Water Craft. Perché mai dunque, verrebbe ormai da chiedersi, dovremmo investire per dotarci di un tale dispositivo ad-hoc, quando lo stesso veicolo a due ruote per il fuoristrada che può trasportarci fino ai confini della spiaggia, come ampiamente dimostrato dal pilota australiano Robbie Maddison per D.C. Shoes, può accelerare a sufficienza da fluttuare lieve, sollevando quella scia di goccioline che diventa polvere di stelle (grazie alla mano informatica di un sapiente AfterEffects) sul mare di Tahiti… Benché difficilmente possa bastare, a noi navigatori diffidenti, l’immagine di un simile miracolo sul modello del Vangelo secondo Knievel, per quanto giustificata grazie a vie tecnologiche con l’ausilio di due pattini sul davanti, oltre alla ruota posteriore trasformata in quella di una mini ferry-boat. Per credere davvero che un qualcosa sia avvenuto per filo e per segno, sotto l’occhio delle telecamere mendaci per definizione, occorre stabilire uno storico dei precedenti. Era mai stato in effetti tentato, qualcosa di simile all’eccezionale fenomeno del video virale intitolato dagli autori, con latente senso d’immaginazione, Robbie Maddison’s Pipe Dream? (7 milioni di visualizzazioni in un giorno) Beh…Dipende. Da una parte l’intero approccio del montaggio video, con la giustapposizione coi surfisti, l’attimo glorioso dell’onda che viene da dietro, l’apparente leggiadria visuale, sono invenzioni del tutto nuove e degne di nota. Mentre del resto questo fatto che un veicolo, del tutto privo di uno scafo, così lanciato fosse nei fatti in grado di far di un liquido l’asfalto, era stata già ampiamente dimostrata in precedenza, in vari tentativi precedenti, e costituisce addirittura la base di un’intera serie di competizioni tipiche della nazione d’Islanda, che consistono nel far volare delle buggy da una tonnellata e mezzo sopra i molti freddi laghi dell’isola vulcanica per definizione.
Qualcuno ricorderà forse una puntata del 2009 del programma inglese Top Gear, in cui il conduttore Richard Hammond si recava presso il lago di Kleifarvatn per conoscere e farci conoscere due dei migliori piloti del campionato Formula Off Road, forse la più brutale serie d’eventi su 4×4 del mondo. Durante il quale i partecipanti, al volante di questi veicoli essenzialmente costituiti da una serie di tubi d’acciaio saldati assieme, con motori da oltre 600 cavalli che quasi raddoppiano grazie all’iniezione di generosi dosi di ossido di diazoto (la nostra beneamata “nitro”) affrontano gare di precisione e velocità su terreni straordinariamente inaccessibili, come scogliere, cave di pietra, colli dissestati… E poi, ad un certo punto, come orgogliosamente lì dimostrato per il pubblico televisivo generalista, s’impegnano nel praticare quella che è ormai diventata l’irrinunciabile tradizione di lanciarsi sopra l’acqua immota, percorrendo tragitti di anche mezzo chilometro a bordo dei loro spaventosi draghi sputafuoco. È una prassi impressionante. È una vista dell’altro mondo. La cui natura d’apparente impossibilità fisica, in realtà, potrebbe trarre facilmente in inganno. Perché nei fatti basta ricordarsi, tra un video accattivante e l’altro, ciò che ci insegnarono a scuola guida, in merito al serio pericolo dell’hydroplaning (o acquaplaning) quella problematica situazione in cui gli pneumatici di un’automobile o una moto, trovandosi a dover percorrere una strada ricoperta dalla pioggia, finiscono per staccarsi momentaneamente dal terreno sulla piattaforma di un sottile strato d’acqua, portando al verificarsi di ogni tipo d’incidente. E non è poi così improbabile, a pensarci, che un simile fenomeno possa verificarsi anche in modo continuativo per tragitti di media lunghezza, nel caso di veicoli dalle ruote particolarmente grandi, per di più dotati delle significative indentature dei fuoristrada, valide ad accelerare anche attraverso tali superfici semi-trasparenti. Ciò che cambia rispetto a metodi di trasporto acquatico dedicati, piuttosto, è il rischio che si corre: perché una barca, anche se si ferma, resta pur sempre in grado di galleggiare. Mentre un’automobile o una moto…

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