Torna a svolgersi sul paravento la più grande battaglia nella storia dei samurai

È nei momenti di crisi, che la collettività in grado di fare la differenza si riunisce in un confronto generale, nel tentativo di mitigare quella serie di conseguenze capaci di deviare il mondo lungo una spiacevole deriva; per lo meno, dal punto di vista soggettivo di una parte dei suoi coabitanti. Così quella che oggi è l’opera finalizzata dei creativi, contro la perdita di una visione successiva a questi giorni cupi, un tempo apparteneva ai praticanti di un diverso tipo di arte, consistente nel piegare laboriosamente il costo della storia. Ad un costo, in termini di vite umane, estremamente significativo. Ma non è forse, dopo tutto, sempre così? Un samurai è il guerriero culturale della nazione giapponese, formatosi attraverso i molti secoli di storia che portarono, dopo il concludersi d’innumerevoli battaglie, alla dolorosa ma necessaria unificazione di quel paese. Oppure, un samurai è nello specifico, quell’ammasso di pixel variopinti, intenti a ripetere come un fantasma la precisa serie di gesti che contribuì, in un’epoca lontana, a cristallizzarne la figura sui paraventi. La guerra, d’altra parte, non è mai finita; ma si è piuttosto trasformata ed all’inizio di quest’anno 2021, in cui il Giappone riguadagna le proprie Olimpiadi, ma in maniera drammaticamente trasformata, il “nemico che si trova nell’Honno-ji” non è più un terribile signore della guerra. Ma il suo erede microscopico, capace di tiranneggiare le atterrite moltitudini umane. Ecco dunque l’idea dell’Agenzia per gli Affari Culturali Giapponesi, non del tutto originale benché stranamente appropriata nella situazione globale odierna, di organizzare una mostra con le opere di 29 artisti suddivisa tra sette diversi aeroporti, ciascuno utilizzato come sfondo per dare un volto allo specifico carattere della regione di appartenenza sotto il titolo anglofono di GATE to JAPAN (La Porta del Giappone). E che cosa avrebbe mai potuto rappresentare lo scalo di Chūbu-Centrair, situato su di un’isola artificiale a Nagoya, se non le articolate tribolazioni e le battaglie, combattute da coloro che nei tempi (non così) antichi definirono i tangibili confini politici del più duraturo e potente tra tutti gli shogunati.
L’opera mostrata online per prima, nonché soggetto dell’articolo qui presente, è dunque il contributo al progetto da parte dell’artista Shigeta Yusuke, classe 1981, la cui formazione di videografo ha permesso di specializzarsi in uno specifico stile pixelato, particolarmente rappresentativo di un’Era. Quello che rivive nella sua reinterpretazione digitale del famoso byōbu (屏風 – paravento) intitolato “Paesaggio dipinto della battaglia di Sekigahara” che come parte della collezione permanente del Museo Storico di Osaka, ha da lungo tempo permesso di apprezzare l’effettiva disposizione delle truppe e i vari generali durante il culmine strategico del conflitto che avrebbe portato, successivamente all’anno 1600, ad un nuovo e lungo periodo di pace. L’effetto finale riesce ad essere, in conseguenza di tutto ciò, decisamente ipnotico ed originale: le letterali centinaia di figure, che includono gli assedianti del castello di Ogaki, base dell’Esercito Occidentale fedele all’eredità dei Toyotomi sotto l’autorità del fedele Ishida Mitsunari, e i loro nemici dell’Armata Orientale guidata dall’influente generale e daimyō (signore del feudo) Ieyasu Tokugawa, tornano a muoversi su quello che dev’essere per forza un qualche tipo di pannello a cristalli liquidi o LED, marciando tra i laghi, le valli e le colline, per incontrarsi al centro della scena, combattere e uccidersi a vicenda. Come ciottoli trasportati dalle acque di un fiume invisibile, le loro forme ripetono quei gesti all’infinito, che un’autore ad oggi sconosciuto scelse di ritrarre in tale guisa per farne dono a Tokugawa stesso, che si dice fosse rimasto particolarmente colpito dall’originale opera d’arte. Che nella sua accezione contemporanea appare tuttavia sensibilmente trasformata, secondo i crismi rappresentativi di una tecnologia digitale sottilmente desueta, tale da conformarsi all’aspetto tipico di un vecchio videogame. Ed è in questo soprattutto che si riesce a percepire il messaggio fondamentale dell’artista, preoccupato di mostrare al mondo il modo in cui i dipinti di un tempo veicolassero quel tipo d’informazioni che oggi passano per l’etere ed i cavi della comunicazione digitale, potendo trarre un’equivalente beneficio dalla compressione dei metodi comunicativi, ovvero la riduzione dei dati necessari a traferire il messaggio. Senza perdere o riassumere alcunché; soprattutto quando si considera la maniera in cui, tra tutte le armature ed insegne della storia, non ve ne siano assai probabilmente di più chiare e riconoscibili, rispetto a quelle che furono indossate dai partecipanti al fatale conflitto presso quel geografico frangente dell’odierna prefettura di Gifu….

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Aspirante allevatore illustra le nozioni necessarie per fare milioni con le carpe koi

Investire somme di denaro significative? In questo clima economico? Se siete stanchi di seguire l’andamento del mercato… Se non riuscite a reperire l’hardware necessario per creare un numero ideale di Bitcoin ed Ethereum. Se tutti gli immobili della vostra città sono ormai abitati, oppure cadono a pezzi o ancora, hanno perso l’ancestrale merito e valore: di sicuro, non è facile immaginare un investimento migliore per quelli che potrebbero essere 1.000, 5.000 dollari. Ma anche 10.000 e perché no, 200.000. Ce ne sono per tutte le tasche, i gradi d’esperienza o l’appartenenza a particolari categorie protette, come “capo di una multinazionale”, “sceicco del petrolio saudita” oppure “oligarca del petrolio russo-cinese”. Personaggi che ormai stanchi di andare semplicemente in giro con la Maserati o la Lamborghini, si considerano ormai pronti a fare il grande passo… E qualcosa di simile, vorrebbero vederlo nuotare nella fresca e dolce acqua del loro giardino! Perché soprattutto, questo è il pesce che più di ogni altro rappresenta il sogno; di riuscire a possedere la bellezza; che è il perfetto incontro tra l’incredibile ingegno della natura e l’arbitraria manipolazione degli allevatori umani. Capaci di perfezionare, attraverso le generazioni, tutti quei tratti in grado di massimizzare quel valore intrinseco nascosto sotto tali e tante scaglie, code, baffi che si arricciano sotto i magnifici occhi privi di alcun tipo di sopracciglio. Così come ce li mostra, con puntualità ed entusiasmo coinvolgenti, il giovane protagonista di questa nuova serie di YouTube CoralFish12g, esperto acquarista “con oltre 10 anni d’esperienza”, avendo cominciato a coltivare questo hobby fin dalla remota età della quinta elementare. Il quale cogliendo l’occasione di un bisogno assai specifico (comprare delle carpe giapponesi per sua madre) ha scelto di riprendere e narrare l’intero viaggio figlio-genitore, destinato a condurli entrambi fino alle radici ancestrali di quella che costituisce una vera e propria arte nazionale giapponese. Fondata sulla stessa ideale attenzione per i dettagli, e l’interminabile ricerca della perfezione, di molti altri celebrati prodotti intangibili di tale cultura senza pari al mondo.
L’idea di partenza, nei fatti, è piuttosto semplice: rimpiazzare il gruppo di piranha rossi, originariamente tenuti nella pozza esterna del villino familiare a schiera, con qualcosa di più raro e prezioso. Scelto sulla base del puro ed innocente gusto estetico della donna, ma anche prelevato direttamente là, dove sia stato possibile apprezzare prima il vero significato delle cose. Ed è già nel primo video della serie, che conduce i due a prendere il volo verso l’isola nipponica di Honshu e parla di VERITÁ, GUADAGNO e INVESTIMENTO che l’effettivo portata del piano inizia a prendere forma sotto gli occhi stessi dello spettatore. Un progetto fondato sulla collaborazione dei contatti del figlio, per acquisire almeno in parte le basi necessarie a rendere questa occasione di svago l’inizio di un nuovo processo aziendale. In altri termini, carpire almeno in parte il fulmine in bottiglia, che ha permesso ad alcuni piccoli villaggi tra le montagne di Nagaoka, nella prefettura di Niigata, di raggiungere il Prodotto Interno Lordo di una piccola nazione dell’Est Europa (o due). E di sicuro, se qualcuno avesse provato a vendere prima del XIX secolo un qualsivoglia esemplare della stolida e affidabile carpa del fiume Amur (Cyprinus rubrofuscus) per somme cospicue di denaro, la reazione più probabile che avrebbe incontrato sarebbe stata l’incredulità e forse, qualche accenno di estrema ed improvvisa ilarità collettiva. Almeno finché nell’anno 1912, con l’Esposizione Universale di Tokyo, il pubblico internazionale non ebbe modo di apprezzare coi propri stessi occhi le notevoli vette estetiche raggiunte da questa particolare branca della selezione artificiale, così indirettamente ispirata all’allevamento cinese del jīnyú o tipico pesce rosso (Carassius auratus) creatura in realtà soltanto imparentata alla lontana con i ben più massicci pesci domestici giapponesi. La nuova varietà venne chiamata quindi nishikigoi (ニシキゴイ oppure 錦鯉)dall’unione di termini capace di significare “gioiello che nuota”. Per una metafora assolutamente rappresentativa, delle vette già raggiunte a quel tempo dai più rinomati allevatori della zona di Ojiya e Yamakoshi. Dove ormai ben pochi in percentuale, tra i molti cultori di questa preziosa arte, possono affermare di essere stati in prima persona…

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Crolla tra le fiamme in Russia il gran castello apotropaico del Covid

A fronte dell’introspezione retroattiva ed approfondite analisi oggettive, non sussistono particolari dubbi: per chi lavora tutti i giorni da un progetto, sia di tipo artistico che funzionale ad uno scopo logico e risolutivo, la figura crudele ed imponente del demonio trova posto nelle più incrollabili minuzie, tutti quei dettagli che costituiscono gli ostacoli, attraverso vie tortuose, per il raggiungimento dell’obiettivo finale. Ma secondo Nikolay Polissky, l’artista russo che nasce come pittore a Mosca e si realizza a partire dal 1989 costruendo il Villaggio di Babele presso la comunità di Nikola-Lenivets nella regione di Kaluga, il Diavolo alberga anche nel quadro generale delle cose. Quella condizione, prolungata e opprimente, che ha portato le nazioni a chiudersi come le foglie di una felce, posta sotto assedio dall’assalto reiterato di un qualcosa di minuscolo e insistente. Sanguinario; sferoidale; bitorzoluto; capace di proteggere se stesso oltre ogni limite apprezzabile dagli apprezzabili confini del raziocinio. “Come un re cannibale sopra il suo trono” afferma nelle sue interviste, girate dalle agenzie internazionali, riferendosi forse alla figura folkloristica di Koschei, l’antagonista d’innumerevoli fiabe pre-cristiane, che nascondeva la sua anima in un ago, contenuto all’interno di un uovo, trasportato in cielo da un’anatra capace di sfuggire ai cacciatori. Horcrux dall’alto del quale, come altri stregoni oscuri dei nostri tempi, era solito opprimere la popolazione, rapirne i figli e le figlie, ampliando i confini del suo terribile dominio. Almeno finché un eroico bogatyr, il “guerriero itinerante” della tradizione slava, non giungesse fino all’ingresso della sua torreggiante residenza; armato di una torcia magica, per arderla fin quasi dalle fondamenta nascoste nelle profondità del mondo.
Una visione apocalittica, e catartica, quella offerta da una simile visione, che si vive nuovamente ogni anno in occasione della quaresima ortodossa, tramite la festa popolare della nostra signora Maslenitsa o “settimana del burro”. L’ultimo momento di svago senza la precisa disciplina imposta dalla tradizione, quando il popolo s’incontra celebrando ciò che è stato un tempo, fino all’evento culminante della costruzione, e successiva distruzione, di un’effige in rami e sterpaglia secca rappresentante i molti tentacolari mali della nostra Era. Ma c’è un qualcosa di diverso, e proporzioni decisamente maggiori, nell’annuale interpretazione offerta di tale pratica presso il regno dell’artista Polissky, come esemplificato dalle riprese in campo lungo dello spaventapasseri in questione, in realtà configurato nello specifico come un vero e proprio edificio alto 25 metri. Con tre torrioni disposti attorno ad uno spazio centrale, appuntiti come lame di altrettante spade, lungo cui risalgono le fiamme tramite l’espletamento di un copione ben preciso. E di certo, qualcuno potrebbe intravedere in tale prassi l’ispirazione diretta sulla base del festival statunitense del Burning Man, le cui installazioni effimere secondo il metodo espressivo della land art ritrovano del resto corrispondenza nelle molte meraviglie costruite presso il parco di Nikola-Lenivets. Ma c’è qualcosa di molto più personale, ed a suo modo pregno, nella precisa interpretazione offerta di quei modelli presso l’innevato spazio del momento corrente, ricolmo per l’occasione di uno sguardo carico d’ottimismo verso il futuro ancora oberato d’incertezze. L’alba di un nuovo giorno, in cui il calore dell’astro solare si accompagni a quello della forza naturale sottomessa al volere dell’uomo, quel fuoco per sua massima eccellenza, che è trasformativo ed a suo modo altrettanto fecondo. Perché carico di un profondissimo significato ulteriore…

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L’albero dei sogni di cemento nella piccola Parigi vietnamita

C’era una volta in Cina, la futura dea Chang’e. Splendida fanciulla innamorata, come tanto spesso capita in simili racconti, di un fiero ed abile guerriero, l’arciere Houyi. Accade quindi all’improvviso, come il cosmo permetteva in tali epoche soffuse di leggenda, che non uno, bensì dieci ardenti soli sorgessero nel cielo di un pianeta in apparenza condannato. Se non che lui, armato di tutto punto e salito a bordo del suo carro magico, salì rapidamente in cielo e con esattamente nove infallibili frecce, trafisse gli astri in eccedenza riportando in tempo la normalità. L’Imperatore di Giada nel suo palazzo celeste quindi, colpito da tanta maestria e coraggio, scelse di ricompensare l’uomo offrendogli il rarissimo elisir dell’immortalità. Ma Houyi, non potendo sopportare di sopravvivere alla sua amata compagna, ne fece dono a Chang’e, la quale scelse che l’avrebbe un dì bevuto, una volta raggiunta la soddisfazione su questa Terra. Ma l’ambizioso assistente del guerriero, Fengmeng, scoprì un giorno la segreta bevanda, e tentò crudelmente di sottrarla alla sua legittima proprietaria. Così Chang’è, non avendo nessun’altra possibile scelta, trangugiò a malincuore l’ambrosia divina prima di essere passata a fil di spada, venendo trasportata in salvo sull’astro lunare. Ed allora il suo amato, scoprendo che non avrebbe più potuto raggiungerla, mise in mostra una grande quantità di torte di riso Nian gao, le preferite del suo amore. E nel mezzo di un tale teatro della memoria, si suicidò.
Questa leggenda ha profonde radici nel folklore dell’intera Asia continentale, al punto da costituire l’origine della tradizione culinaria maggiormente associata al capodanno cinese, nonché il sinonimo letterale del concetto di fiaba degna di rappresentare l’intero canone narrativo di svariati popoli molto diversi tra loro. Così come quello, cui appartiene l’architetta ed artista Dang Viet Nga, che aveva scelto di chiamare questa insolita attrazione e punto di riferimento a Dalat con il nome di “Casa di Hang Nga” (il nome vietnamita di Chang’e) in forza della sua improbabile conformazione ingegneristica ed esteriore. Nata da un sogno, quindi, e l’incommensurabile forza immaginifica di questa donna, la residenza lunare magicamente trasportata nella più celebre città del sud del paese presenta numerosi aspetti in grado di distinguerla dal comune parallelepipedo abitativo con tetto d’ordinanza. A partire dall’aspetto organico dell’edificio principale, concepito per assomigliare al tronco di un albero assediato dal baniano (subg. Urostigma) ficus strangolatore del subcontinente indiano famoso per le labirintiche diramazioni delle sue propaggini, capaci di creare vere e proprie cittadine legnose all’interno delle quali sono soliti nascondersi uccelli, mammiferi ed altri animali…. Per non parlare dei briganti dei racconti d’avventura, come quelli confrontati nei romanzi di Sandokan, la tigre della Malesia. Non così pericolosa risulta essere, d’altronde, una visita presso l’insolita dimora, e benché le norme di sicurezza in merito alle ringhiere dei camminamenti sopraelevati che circondano l’edificio siano un po’ dubbie, l’intera struttura riesce a restituire un senso di solidità davvero significativo. Non per niente, la “leggiadra” sostanza scelta per dare una forma alla visione della creatrice vede un generoso impiego del cemento armato direttamente dipinto, coadiuvato alcuni dettagli in legno e metallo, permettendo le geometrie curvilinee così tanto determinanti nella sua visione d’artista. Completano quindi il memorabile scenario, ben tre case sull’albero (una quarta, in costruzione) ed la gigantesca scultura di una giraffa, all’interno della quale è situato un intero locale dove prendere il tè. Ma le surreali meraviglie di questo sito non si esauriscono di certo all’esterno, quando un rapido ingresso dal portone principale permette di accedere a quello che possiamo definire, senz’ombra di dubbio, uno degli hotel più bizzarri della nostra Era…

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