L’improbabile alleanza dell’uccello che protegge le uova di coccodrillo

Uno è leggero, svelto, piumato, l’altro grosso, forte, scaglioso. Sarebbe davvero possibile immaginare, nell’attuale scenario della natura, due discendenti altrettanto all’opposto dall’antica schiera biologica dei dinosauri, famosamente destinati ad estinguersi ma non prima di dare i natali ai futuri esseri viventi di questo affollatissimo pianeta. Ed sarebbe certamente appropriato muovere l’obiezione secondo il coccodrillo del Nilo (C. niloticus) non derivi proprio da alcuna stirpe, proprio perché rimasto essenzialmente uguale a se stesso per svariati milioni di anni, giungendo a costituire un letterale fossile vivente del continente africano. Decisamente più complessa risulta essere, d’altra parte, la classificazione dell’occhione acquaiolo (Burhinus vermiculatus) o “chiurlo africano” come usano chiamarlo i parlanti di lingua inglese, sebbene il suo grado di parentela con un rappresentante della famiglia degli scolopacidi sia tenue a dir poco, collocandolo piuttosto a pieno titolo nell’insieme tassonomico straordinariamente uniforme dei Burhinidae (o “ginocchia-spesse” che sono tutti marroni a macchie biancastre, per favorire le capacità mimetiche, hanno tutti tra i 35 e i 45 centimetri di lunghezza per un peso di 300-400 grammi. Ma contesti ecologici, e comportamenti ereditari, che non potrebbero essere più diversi. Così che troviamo quest’essere, identificato in Africa con l’appellativo informale di dikkop, nidificare prevalentemente presso il corso dei fiumi o le rive degli acquitrini, dove scavato un lieve avvallamento nel terreno è solito deporre serenamente le sue due fragili uova nel corso della stagione secca. Per un sistema che sembrerebbe esporle ad ogni tipo di assalto da parte di predatori d’occasione, come la forma strisciante dell’implacabile varano se non fosse per la scelta del periodo particolarmente funzionale a uno scopo; poiché il tutto si svolge nelle precise settimane, o mesi, durante cui la più grande ed antica lucertola di questo mondo è solita intraprendere la stessa identica attività. Ponendo le basi di quella che potremmo definire, senza alcun ombra di dubbio, una delle collaborazioni più straordinarie ed impreviste dell’intero mondo animale.
La scena tanto spesso mostrata nei documentari vede l’inizio sempre nella stessa identica situazione: un lieve movimento tra l’erba, riflessi verdi e gialli che sinuosamente procedono verso l’obiettivo attentamente selezionato. Si tratta niente meno che di lui/lei: l’affamato Varanus niloticus, tra i più efficienti ladri di uova che la natura abbia mai saputo generare. Che sembrerebbe aver fiutato, tramite l’impiego dei suoi sensi affinati dal bisogno, il pasto in grado di fornirgli l’auspicato sostentamento per tutto il mese, se soltanto gli riuscirà di avvicinarsi nel momento opportuno e mettersi a scavare, mentre la madre-coccodrillo si trova momentaneamente a riposo nell’acqua o ancor più semplicemente, trascorre qualche ora di quiete avendo calato le sue palpebre rettiliane. Ed è qui che entra in gioco, con precisione encomiabile, l’ingegnoso sistema creato da quel notevole pennuto, che gli storici latini a partire da Plinio il Vecchio erano giunti a definire crocodili avem, dopo aver intuito un qualche tipo di correlazione tra due tipologie di esseri a tal punto diversi tra di loro, benché pensassero erroneamente che il secondo pulisse la bocca al primo, in un tipo di commensalismo che ritroviamo piuttosto coinvolti l’ippopotamo e la bùfaga (gen. Buphagus) passeriforme che vive comunemente sulla sua grande schiena. Mentre le stesse povere uova dell’occhione, tanto apparentemente esposte alla fame del varano da costituire una letterale esca difficile da trascurare, sono in realtà la ragione per cui il coraggioso uccello spalanca le sue ali, si mette a girare attorno al pericoloso predatore e soprattutto, inizia a produrre il caratteristico fischio bitonale “Tu-li! Tu-li!” Che nel suo ricco repertorio fonico indica una situazione di pericolo incombente. Così che nel seguito inevitabile della vicenda, il drago sopito non può fare a meno di risvegliarsi, e proprio mentre il piccolo “chiurlo” non può fare a meno d’iniziare a ritirarsi, subentra sulla scena una madre dalle dimensioni decisamente più imponenti, anche se animata dallo stesso principio protettivo nei confronti di una vulnerabile prole non ancora venuta al mondo. Segue brevissima battaglia, che non può neppure essere definita una vera battaglia, mentre il coccodrillo dal peso di circa due quintali carica con feroce enfasi l’eterno assassino dei propri piccoli che può arrivare, dal canto suo, ad una stazza massima di una ventina di Kg. Anche se, purtroppo, non sempre le cose sembrano andare per il meglio…

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L’albero capace di uccidere 80 uccelli nel corso di una sola stagione di fioritura

Una delle principali tendenze della natura è l’evoluzione: superata è l’immagine del demonio con la coda, il forcone e un ghigno malefico semi-nascosto dalla folta barba, ormai troppo facile da identificare per tenersene a una rispettosa distanza di sicurezza. Tutto scorre. Al punto che oggi, un competente accompagnatore di esseri malcapitati oltre le porte fiammeggianti dell’inferno può trovarsi nascosto in ogni contesto, con la capacità di mimetizzarsi perfettamente tra i fattori delle circostanze ed il paesaggio. Prendi quindi ad esame le isole rigogliose delle Seychelles, nella parte orientale del mare della Somalia, e troverai il principio esiziale inframezzato proprio con ciò che qui ha una maggiore presenza tra queste terre, sotto la corteccia protettiva di un tronco flessibile, non troppo alto e resistente, dal nome piuttosto singolare: Pisonia grandis in lingua latina o più comunemente “grande artiglio del diavolo” per la sua capacità di accompagnare, agevolare ed in qualche modo aprire il passaggio a vantaggio della Morte. Ma non è lui l’angelo bensì ciò che agguanta e consuma incolpevoli creature alate, ovvero quegli stessi pennuti marini che tanto spesso figurano sulle guide naturalistiche, come specie preziose da custodire e catalogare con la maggior cura. Ma invero il fato è ineluttabile, così come spietati sono i suoi agenti su questa Terra che includono l’imprescindibile rapporto tra causa ed effetto; che immancabilmente condanna a una fine lenta ed orribile, tutti coloro che si trovano presi all’interno di una simile ragnatela.
Il paragone aracnide non è del resto per nulla inappropriato, benché l’intento inerente possa essere individuato in un’area soltanto… Simile. In altri termini, l’albero dalla natura piuttosto malvagia non “mangia” gli uccelli, ma piuttosto sembrerebbe cercare di sfruttarli con uno zelo a dir poco eccessivo, per portare a termine il suo principale compito nel corso dell’esistenza: propagarsi al di là del mare. E poiché gli alberi non possono spostarsi è del tutto prevedibile che ciò sottintenda, come di consueto, il reclutamento più o meno volontario di coloro che hanno l’intento ed un valido incentivo a farlo. Ma in qualche momento della sua storia biologica pregressa, qualcosa di molto significativo deve aver imboccato una strada sbagliata, se è vero che il sistema usato dal Pisonia per far trasportare i suoi semi include baccelli oblunghi appartenenti alla categoria dei falsi frutti (come la fragola, il fico ed il cinorrodo della rosa) caratterizzati da un involucro letteralmente ricoperto di piccoli uncini e una resina mostruosamente appiccicosa. Talmente terribile che non può fare a meno, una volta toccata accidentalmente da un volatile, di diventare un tutt’uno sostanzialmente inscindibile dalle sue piume, per un periodo variabile tra qualche giorno e svariate settimane. Ora di conseguenza, ogni qualvolta i poveri volatili come la terna bianca di mare (Gygis alba) la sterna stolida nera (Anous minutus) o la berta cuneata (Ardenna pacifica) si ritrovano ricoperti di uno, due o tre contenitori di semi, le cose possono anche andare bene. Ma se si stabiliscono col proprio nido, come spesso capita, alla biforcazione dei rami più alti, l’artiglio del diavolo otterrà immantinente la più crudele e terribile delle soddisfazioni. Con il volatile che gradualmente diventa più pesante e meno capace di librarsi, finché nell’ora della sua sventura finale cadrà in terra, finendo a contatto diretto con lo spesso strato di pseudo-frutti deposti tutto attorno all’albero madre. Assieme alle piccole ossa cave, piumate e sbiancate dall’aria salmastra, di tutti quei volanti che già sono tornati a incontrare il loro disinteressato creatore. Grazie all’aiuto di carnivori e spazzini di queste parti, come i sempre famelici granchi del cocco (Birgus latro) o della foresta (Seychellum alluaudi)…

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La cicogna con la sella sul becco, iridato pterodattilo dei nostri giorni

“Kongamato, signore… L’uccello del tuono. Lui non ha pietà. Divora l’anima dei viventi!” Nel 1925 Edward Albert Christian, futuro re d’Inghilterra destinato a salire al trono e successivamente abdicare entro 12 mesi rinunciando al prestigioso titolo di Edoardo VIII, si trovava in Nigeria per visitare le ex-colonie britanniche nella regione di Taraba, non troppo lontano dalla palude di Jundu, inspiegabilmente temuta dai nativi. E fu allora che assieme al suo accompagnatore e guida, il giornalista J. Ward Price, venne avvicinato da un abitante indigeno ferito e sconvolto, il quale parlava con enfasi di una misteriosa creatura volante simile a un enorme pipistrello, priva di piume e con il becco pieno di una quantità di denti, che lo aveva attaccato infliggendogli una significativa ferita sulla schiena. Preso da parte e fatto descrivere l’accaduto con calma, l’individuo finì quindi per riconoscere alcune immagini di antichi dinosauri volanti, mettendosi a tremare e fuggendo via terrorizzato. Che cosa avesse visto il malcapitato africano riesce tutt’ora difficile da definire, non sono pochi i critpozoologi ad insistere che un raro esemplare di Pterodactylus antiquus possa essere sopravvissuto fino ai nostri giorni, tenuto al sicuro dal folklore e la natura irraggiungibile di un tale ambiente. I più razionali commentatori di questo fatto tuttavia, assieme agli avvistamenti simili verificatosi in sporadici episodi databili fino agli anni ’50 e ’60, tra Camerun, Rhodesia e Zambia, concordano nell’aver identificato un possibile colpevole nella specie volatile di comprovata esistenza dell’Ephippiorhynchus senegalensis, la cui relativa rarità all’interno del suo vasto areale, unito alle dimensioni di fino 1,5 metri d’altezza, contribuiscono all’inclusione in un possibile profilo di colpevolezza. Sebbene non si abbiano notizie di comportamenti aggressivi, da parte di alcuna delle cicogne oggi esistenti.
Sia tuttavia chiaro come, nonostante il comportamento timido e poco territoriale, questa mitterna spesso associata geneticamente al Jabiru sudamericano (J. mycteria) costituisce pur sempre un agguerrito carnivoro nonché uno dei più grossi e pesanti uccelli viventi. Con un altezza superiore, ed un peso di poco inferiore, al marabù mangiatore di carogne (Leptoptilos crumenifer) dal collo stranamente pendulo e la pelle della testa glabra. Il loro aspetto, tuttavia, non potrebbe essere più diverso e nei fatti a un’osservazione più approfondita, la nostra cicogna dal becco a sella del Senegal appare perfettamente conforme alla cognizione universale del bello: slanciata e snella, di color nero iridescente e con generosi apporti di bianco, nonché una piccola macchia rossa e priva di piume sul petto, la cui colorazione diviene stranamente MENO accesa durante la stagione degli amori. E all’altezza della testa dal punto di vista di un’ideale birdwatcher, ciò che la caratterizza e distingue maggiormente: un becco tra i 27 e 36 centimetri, che dall’aspetto generale sembrerebbe essere stato dipinto da un’artista surrealista. Guardatelo, ammiratelo, stupite voi stessi; ben poco di comparabile, al giorno d’oggi, continua ad esistere sulla Terra! Di un arancione acceso inframezzato al nero, e coronato da uno scudo color banana (la programmatica “sella”) dal quale pendono, nel maschio due piccoli bargigli simili a campanelle, anch’esse di un giallo intenso. Il tutto coordinato ad un paio di grandi occhi che pur essendo di un comune marrone scuro nel caso dei maschi, diventano arancioni tendenti al rosso per le loro controparti femminili, creando l’illusione di trovarsi di fronte a un vero e proprio demone alato proveniente da dimensioni parallele. In una differenza tra le due metà del cielo, accentuata ulteriormente in determinate circostanze, che fa di questo essere il più significativo esempio di una cicogna sessualmente dimorfica. Se vi riesce, s’intende, di osservarla in quei momenti di panico con la sufficiente oggettività e conoscenze pregresse…

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La lunga ricerca del più grande nido mai costruito da un uccello terrestre

Vedere per credere, toccare con mano per sperimentare la sensazione. Sedersi dentro per trasformarsi nell’approssimazione antropomorfa di un gigantesco pulcino implume, fatta eccezione per il cappello da ranger e la giacca color verde militare. La vita del ranger è piena di sorprese ed una delle più piacevoli può essere collocata di questi tempi, grazie a una foto che sta ottenendo un significativo successo su Internet, presso lo Hueston Woods State Park di Preble County, Ohio. Dove qualcosa di sovradimensionato sembrerebbe essersi posata a terra, armata di becco, rametti ed il coraggio di usarli, mettendo assieme la più sfolgorante abitazione per volatili. Ben 2,5 metri di diametro per almeno uno e mezzo di profondità, tali da permettere a chiunque ne provi il desiderio di sedersi all’interno, per ponderare la propria condizione assieme al sogno di prendere il volo che un tempo fu, per Leonardo da Vinci, una ricerca programmatica dei propri codici più interessanti. Ciò detto, pubblicare l’immagine in questione sul sito del parco naturale sembrerebbe aver sollevato, a suo tempo nel 2017, non poche critiche accese da parte di chi non si prese la briga di leggere la didascalia; dopotutto, gli americani possono tollerare molte cose. Ma NON sottrarre per studio la nursery a un uccello simbolo della nazione, la Haliaeetus leucocephalus o splendida aquila di mare testabianca, costringendola presumibilmente in una sorta di semplice attrazione per turisti. Mentre un’analisi più approfondita, o la semplice voglia di usare la logica avrebbe aperto gli occhi dei detrattori verso alcune significative incongruenze. Prima tra tutte, la presenza di una rete metallica all’interno del nido, per poter tollerare meglio il peso e l’ingombro di una figura umana. Per non parlare dei giganteschi “rami” fin troppo perfetti, apparentemente usciti dal tipico diorama museale di un’epoca preistorica ormai perduta. Quello che urge sapere per giungere ad un’interpretazione realmente corretta della faccenda, tuttavia, è il modo in cui l’intera costruzione risulti essere assolutamente in scala reale, piuttosto che ampliata per valorizzare i più minimi dettagli. Volendo rappresentare nient’altro che un una dimensione possibilmente media, per l’essere che costituisce il costruttore di nidi arboricoli più alti nell’intero corso della storia evolutiva terrestre.
Non lo pterodattilo (che lasciava i suoi piccoli a schiudersi all’interno di una buca nel terreno) e probabilmente neppure le mega-colonie del passero tessitore, sebbene talvolta l’agglomerato dei loro nidi possa raggiungere le proporzioni accidentali di una vera e propria piccola città pigolante. Laddove parrebbe esserci qualcosa di estremamente speciale nel concetto stesso di un grande uccello il quale, mantenendosi monogamo per tutta la vita, fa ritorno per 20, 30 anni nello stesso luogo, ogni volta ampliando e restaurando il suo sopraelevato grattacielo. Vi sono, tuttavia, casi estremi in cui gli stessi eredi di una coppia hanno continuato ad utilizzare l’abitazione dei propri genitori, come nella celebre osservazione del nido fotografato per la prima volta nel 1805 presso un’isola del fiume Missouri, da J.C. Cowles. E che 55 anni dopo, il capitano ed esploratore William F. Raynolds ritrovò perfettamente invariato, nello stesso identico luogo. Struttura di cui non fu mai misurata l’ampiezza, benché possiamo presumere, nonostante tutto, che avesse mancato di raggiungere anche soltanto il record ufficiale registrato nel libro d’oro dei Guinness contemporanei, tale da far impallidire lo stesso costrutto artificiale dello Hueston Woods State Park.

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