L’ingegnosa invenzione del palloncino elettrico per incubare le quaglie

Col graduare progredire della tecnologia d’uso comune, ogni anno trovano la loro riconferma alcuni meriti considerati niente meno che essenziali: efficienza, autonomia, affidabilità. Ma tra tutto quello che può essere un dispositivo intelligente, al giorno d’oggi, c’è un aspetto che più d’ogni altro è in grado di accentrare l’attenzione del mercato. Ed il suo nome, come in molti sanno, è miniaturizzazione. Poter concentrare un certo numero di funzionalità oggettivamente utili e all’interno di un involucro leggero, il più possibile maneggevole, e che possa essere inserito nella tasca con il minimo d’ingombro immaginabile di volta in volta. Forse è proprio per analogia con tutto questo, che per coloro che dirigono la propria attenzione all’allevamento degli uccelli, risulta essere tanto affascinante la questione delle quaglie. Creature simili ad un pollo, da un punto di vista concettuale, ma capaci di sfuggire con un balzo rapido verso l’alto, proprio grazie all’inerente agilità che viene dalle loro dimensioni più compatte e aerodinamiche grazie al processo dell’evoluzione naturale. E se ora vi dicessi, al fine d’introdurre la questione rilevante, che esiste un particolare e tipo d’amico piumato che si configura sulla stessa falsariga, ma che è ancor più piccolo arrivando a rivaleggiare i più compatti cellulari o smartwatch dei nostri giorni? Buttonquail, o quaglia tridattila (fam. Turnicidae) il suo nome, sebbene i suoi gradi di parentela con le tipiche Coturnix, già citate nella Bibbia come cibo inviato per salvare gli Israeliti, sia in effetti pari ad uno zero assoluto. Costituendo piuttosto un caso di convergenza dei tratti biologici, a partire dall’ordine marino dei caradriiformi (tra cui: gabbiani, alche…) come dimostrato da un’approfondita analisi genetica effettuata soltanto in epoca recente. Ed esclusivamente quella, visto come questi uccelli poco o nulla abbiano a che fare con la spiaggia e il suono dell’oceano dove vanno per nutrirsi i loro cugini, trattandosi piuttosto di razzolatori esperti che s’industriano nel ricercare larve, vermi o semi in mezzo all’erba del sottobosco. In tutto il loro vasto areale che include l’Asia e l’Africa meridionale, il Madagascar, l’Indonesia e l’Australia. Mentre per quanto concerne la Corea del Sud, luogo in cui si svolge l’opera del nostro autore di giornata, possiamo affermare di trovarne solo per il classico ed inevitabile fluire delle importazioni, di un tipo di creatura che risulta essere perfetta per l’allevamento domestico, data l’incubazione delle uova di un periodo di appena 16 giorni, con pulcini assai precoci e ragionevolmente in grado di adattarsi a un’ampia serie di situazioni.
Ecco perciò l’idea del celebre inventore di YouTube, Imaginative Guy, di utilizzarne un gruppo di sei uova al fine di testare l’ultima diretta conseguenza della sua ben nota mente fervida e creatività risolutiva. Ovvero la risposta alla domanda, forse non troppo frequentemente al centro dell’interesse pubblico, di come si potrebbe creare un sistema per portare a coronamento lo sviluppo delle suddette capsule dei nascituri, sfruttando primariamente il tipo di materiali che ciascuno di noi potrebbe già avere in casa propria. A partire, molto convenientemente, dal tipico cestello per cuocere le verdure al vapore, con sistema di apertura a ventaglio che lo rende perfettamente adattabile alle dimensioni di un classico nido di rametti, da lui costruito secondo gli stereotipi che non sfigurerebbero in cartone animato. Tutto ciò non prima di aver attentamente posizionato, sotto quest’ultimo, una ciotola con l’acqua calda con un filo di riscaldamento elettrico capace di mantenere la temperatura ideale, per l’incubazione delle uova di quaglia ,di 40.7 gradi. Soluzione forse sufficiente ma non giudicata abbastanza dal perfezionista operativo, che ha perciò trovato il modo di spingersi oltre. Disponendo dunque, proprio sopra i delicati gusci color verde acqua, lo strumento in grado di riuscire a dare un’ulteriore spinta calorifera funzionale al suo scopo…

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Gumi, pappagallo dallo strano verso che sghignazza beffardo contro il Web

Chi non conosce il mito cinematografico dell’urlo di Wilhelm? Soprannome dato alla famosa registrazione dell’ultimo sussulto, emesso da un anonimo individuo che precipita lontano dal microfono, presumibilmente all’interno di un profondissimo fossato. Tanto anonimo da diventare, in un interminabile elenco di pellicole, il sinonimo pressoché inevitabile della fine di svariati “cattivi” o i loro sgherri, condannati dal destino a pagare il prezzo più alto per la loro divergenza dalle più commendevoli norme del vivere civile. I videogiochi, a loro volta, sono pieni di effetti sonori iconici, molti dei quali rimasti indissolubilmente legati a particolari serie lunghe plurime generazioni: il “DING” delle monetine di Super Mario, lo strano risucchio delle paratie spaziali a scorrimento verticale in Doom (e innumerevoli altri sparatutto coévi) il trillo allarmante prodotto dalle guardie che avvistano il giocatore nella serie stealth di Metal Gear Solid. E forse in molti penseranno, a questo punto, a un altro grande classico rimasto negli annali, anche grazie alla quantità di seguiti che ancora affollano gli scaffali virtuali dell’industria: il franchise zombie-horrorifico di Resident Evil, con le sue porte tutte egualmente cigolanti, allo stesso modo arrugginite. Capaci di produrre la perfetta e prototipica rappresentazione nello spettro aurale di un cardine che per ogni aspetto rilevante, sembrerebbe aver sperimentato giorni migliori. Momento il cui campionamento in epoca recente, nell’organizzativa realtà dei fatti, potrebbe aver coinvolto direttamente la figura professionale di Hideaki Utsumi, il quale si presenta al pubblico come ex-tecnico del suono per la compagnia nipponica CAPCOM, con all’attivo partecipazioni curricolari anche alla saga di Devil May Cry, ancor prima di un recente trasferimento presso la storica compagnia HAL (Pokèmon, Kirby, Alcahest…) E diventato imprevedibilmente celebre da pochi mesi a questa parte, in aggiunta a tutto ciò, per la pubblicazione online di una serie di video con protagonista il suo simpatico amico piumato, un pappagallo dal colore rosso che ha deciso di soprannominare pubblicamente Red Birb.
Un vero e proprio “Uccello Rosso” il cui vero appellativo è Gumi, la cui specie d’appartenenza, dopo un breve approccio investigativo, si scopre essere quella del Lorius garrulus o lori garrulo delle isole indonesiane, creatura nota per il suo forte richiamo e un’entusiastica, benché tutt’altro che perfetta, capacità di riprodurre le voci umane. Il cui ruolo nella fattispecie sembrerebbe configurarsi, d’altronde, nel far trovare il grande pubblico a contatto con la sottovalutata idea, che anche un semplice pennuto non più lungo di 30 cm possa riuscire a creare una particolare sequenza d’onde sonore capace d’entrare a pieno titolo negli annali super-selettivi del vasto Web. Come una risata vagamente subdola, non mancano risvolti presumibilmente malevoli, o in alternativa il suono di un piccolo motore che fatica ad avviarsi, traslitterato ufficialmente e dai suoi molti fan dei commenti di YouTube con l’onomatopea ripetitiva “wuewuewuewuewue” che non riesce tuttavia ad esprimere neanche una frazione dell’effetto comico e sorprendente che si realizza, mentre il buffo personaggio fa oscillare ogni volta la testa da una parte all’altra, facendo vibrare il becco di un color arancione acceso. Frangente che riesce a realizzarsi nei momenti meno prevedibili, come durante il gioco con il suo padrone, mentre avvicina la testa ad un telefono (benché si tratti, in effetti, dell’altoparlante) o ancora rotolandosi felice tra le coperte, quando all’improvviso, dopo un attimo d’immobilità, si volta verso la telecamera poco prima di prodursi nella sua più amata e caratteristica esecuzione. Già rivelatosi capace di trasformarsi in un meme, grazie agli innumerevoli fotomontaggi in forma di gif o altro simile formato, spesso ispirati a vari titoli del mondo videoludico che tanto ha saputo dare, ricevendo altrettanto in cambio, nelle pregresse esperienze lavorative del suo padrone…

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Viola come lo splendente storno che abbellisce i cieli dell’Africa subsahariana

All’apice della stagione secca nella parte centrale del Congo, la società dell’alto cumulo iniziò i preparativi per il grande viaggio che avrebbe dato inizio a un nuovo sito. Con l’aumentare progressivo degli alati, le coppie nuziali iniziarono a formarsi segmentando la simbiotica comunità, non più divisa in operai e soldati. Ma re e regine, ciascuno intento a prepararsi, fisicamente e psicologicamente, ad abbandonare tutto quello che aveva sempre conosciuto. Verso un mondo carico di straordinarie opportunità; all’apice di un tale clima avventuroso, quindi, scese gradualmente la sera, mentre le moltitudini giungevano a riunirsi sulla sommità del termitaio. Allo scattare di un segnale inaudibile a chiunque, tranne i diretti interessati, lo sciame fece quindi il grande balzo, trasformandosi in un flusso denso e ronzante in mezzo all’aria tersa della sera. Come fumo dalle complesse volute, le particelle viventi contenute in esso designarono spontaneamente il gruppo incaricata di fare da apripista, come il segnale lampeggiante di un faro. E così seguendo un tale stormo, si sollevarono al di sopra della copertura della foresta, orientando il proprio viaggio orientandosi grazie alla forma incombente dell’astro lunare. Fu dopo qualche decina di minuti appena, tuttavia, che i più scaltri tra di loro cominciarono a notare qualcosa di assai preoccupante. La sfuggente forma, vagamente osservabile ai margini del campo visivo, di un dardo scagliato dagli Dei celesti, che più e più volte si tuffava dall’Empireo invisibile dei cieli, per poi tornare nuovamente a librarsi. In breve ad essa se ne aggiunse una seconda, e poi una terza, finché le termiti all’apice della loro esperienza di vita non si resero, purtroppo, conto dell’atavica realtà: che un secondo sciame, dall’aspetto ed il color cangiante, si era riunito qualche decina di metri sopra la loro artropode congregazione volante. Composto da creature molto più imponenti, e fameliche, di quanto un isottero avrebbe mai potuto aspirare a diventare, nonostante lo stretto grado di parentela con lo scarafaggio domestico delle nostre sfortunate abitazioni umane. A quelle forme dardeggianti, d’altra parte, avremmo fatto presto ad attribuire un nome; trattandosi di storni, non troppo dissimili dal tipico visitatore stagionale dei centri città all’apice dell’autunno europeo. Quasi del tutto indistinguibili, alla luce tenue delle stelle e di una sera priva di un carico splendente utile a notarne la tonalità…
Ben stretto tra le dita con la posa del fotografo, uno specifico metodo per tenere saldamente un uccello senza rischiare di arrecargli alcun danno, la creatura in una celebre foto virale di questi mesi dimostra quindi l’assoluta chiarezza della verità. Riferita ad un pennuto la cui semplice livrea bicolore si presenta di un impressionante color porpora acceso, tale da lasciar sospettare l’utilizzo da parte di qualcuno di un sempre utile e risolutivo passaggio di Photoshop. Se non che ad un rapido approfondimento, l’uccello si scopre essere un appartenente alla precisa e chiara specie del Cinnyricinclus leucogaster o storno ametista, come per primo l’aveva disegnato il grande naturalista del XVIII secolo Georges-Louis Leclerc, Conte di Buffon, circa una decade prima che il suo collega olandese Pieter Boddaert optasse per attribuirgli un nome scientifico (l’ancor provvisorio Turdus leucogaster). Con riferimento, stranamente, al bianco del suo ventre ancor prima che l’accesa colorazione del dorso, la testa e le ali, forse proprio in funzione dello spiccato dimorfismo sessuale riscontrato in una tale specie. La cui femmina si presenta, in effetti, di un semplice marrone a macchie bianche, in una configurazione non troppo diversa da quello degli storni nostrani, benché questi ultimi tendano piuttosto al grigio-nero. Con una corrispondenza assai maggiore a quelle che sono le tipiche pigmentazioni delle creature volatili, piuttosto che una tale congiunzione assai notevole di fattori proteici e strutturali, tale da donare alle piume la capacità di catturare e modulare l’effetto della luce solare. Un qualcosa che avrebbe lasciato letteralmente di stucco gli antichi tintori romani, per cui una tale tonalità poteva essere l’unica risultanza di un complesso processo estrattivo dai molluschi della famiglia dei muricidi. Di cui occorrevano letteralmente migliaia di esemplari, per poter portare a termine una singola tunica degna di essere indossata dall’Imperatore…

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Le australi migrazioni dell’uccello dal becco più grande al mondo

Nell’estate tra il 1974 e il 1975 colpita dalla perturbazione metereologica della Niña, durante un periodo di piogge stranamente intense presso il territorio dell’Australia meridionale, il grande bacino endoreico del lago Eyre, chiamato dagli aborigeni Kati Thanda, si ritrovò nuovamente collegato alla serie di fiumi situati nella sua parte nord-occidentale, incluso il turbinante corso del Warburton. In breve tempo, i suoi confini normalmente aridi vennero nuovamente ricoperti dalle acque, mentre l’altezza di queste ultime cresceva, e cresceva ancora fino ad oltre 10.000 Km quadrati. Questo repentino mutamento delle regole ambientali portò quindi, assieme al vento dei monsoni capaci di attraversare buona parte del Pacifico, un’ingombrante, chiassosa ed affamata presenza: quella di molte migliaia di uccelli. Chi fosse stato indotto ad aspettarsi, in quel contesto, creature piumate affini a storni migratori, anatre o altri visitatori d’occasione dei nostri bacini idrici stagionalmente rinnovati, si sarebbe scontrato con l’effettiva imponenza di questi agili volatori dalle proporzioni di 152-188 cm, di cui circa un terzo occupati dal più eccezionale rostro labiale attualmente osservabile nell’intero regno naturale frutto di millenni d’evoluzione. Una creatura, in altri termini, di chiara e comprovata eleganza con il suo piumaggio candido e le ali nere come la notte, gli occhi grandi, tondi e cerchiati di giallo, al punto che il suo soprannome più diffuso resta quello di pellicano con gli occhiali. Sebbene in ambito scientifico, sia da sempre definito Pelecanus conspicillatus, per apprezzabile scelta del suo primo classificatore e naturalista Coenraad Jacob Temminck, che nel 1824 volle evidenziare il suo aspetto “attento” e la presunta inclinazione ad osservare. Laddove nell’universo mitologico del popolo aborigeno dei Wangkamura, il pennuto visitatore viene direttamente associato al Dio Goolay-Yali, che nei tempi immemori insegnò ai bambini della tribù a procacciarsi il cibo mediante l’invenzione della rete da pesca costruita mediante la corteccia dell’albero noonga (gen. Brachychiton), facendo inoltre dono del fuoco e degli opali all’intera umanità. E non è poi tanto improbabile immaginare un qualche tipo d’associazione, e conseguente ispirazione, tra tale primario strumento della civiltà umana e le tecniche di foraggiamento utilizzate dalle attuali versioni tangibili del nostro amico, la cui vistosa sacca golare, comune agli altri appartenenti della famiglia Pelecanidae serve non tanto a immagazzinare il cibo bensì essere immersa, con estremo pregiudizio e senso d’aspettativa, in luoghi sufficientemente umidi e pescosi, ben sapendo di riuscire a trarne l’auspicata ricompensa in termini di cibo. Una procedura che notoriamente presuppone, per gli esponenti della specie, un’estrema propensione allo spostamento periodico, lungo le coste e presso le regioni dell’entroterra dell’outback, ogni qualvolta la popolazione complessiva di un particolare recesso aumenta eccessivamente, portando all’insufficienza di risorse sfruttabili per il sostentamento dei nuovi nati. Portando perciò all’inaspettata e imprevedibile partenza di veri e propri eserciti dalla limpida uniforme, pronti a sollevarsi e planare anche per periodi di 24 ore di seguito, fino all’arrivo preso un nuovo luogo in grado di ospitare la loro grande e costante fame. Con comprensibile preoccupazione dei pescatori umani locali, che storicamente erano soliti fare il possibile per scacciare o dissuadere i pellicani, almeno fino all’entrata in vigore verso la metà degli anni ’90 dell’attuale regolamento di salvaguardia e protezione naturale. Per non parlare della tardiva ma importante realizzazione, di come le precise preferenze gastronomiche del pellicano lo portino in realtà a nutrirsi primariamente delle specie di pesci introdotte accidentalmente come la carpa europea (Cyprinus carpio) i pesci rossi ferali (Carassius auratus) e il pesce persico o bass (Perca fluviatilis) facendo in realtà un favore alle più preziose specie locali, che tendenzialmente vedono la propria popolazione stabilizzarsi, o persino aumentare, in seguito alla caotica venuta dei pellicani. Il cui intento certamente non risulta essere malevolo, né benevolo, bensì la mera conseguenza di quella necessità di perpetrar se stessi e i propri discendenti, attraverso le complesse tribolazioni di un clima in continuo cambiamento…

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