EA-18G: il ruggito elettronico di un disturbatore dei cieli

Il rombo del motore, appena udibile alla postazione di comando, veniva totalmente soverchiato dal sibilo insistente del dispositivo RWR sopra lo scenario montagnoso del territorio nemico, avvisatore di segnali radar ben direzionati verso quella scheggia di metallo quasi del tutto invisibile nel vasto cielo. “Al tuo segnale, sono pronto a scatenare l’inferno” fece l’uomo seduto dietro, attraverso la sua maschera per l’ossigeno, scrutando attentamente i propri tre monitor multifunzione, il più grande dei quali era configurato in modalità SA, per analizzare la situazione mediante i dati ricevuti dal suo collegamento a banda larga con l’aerosorvegliante AWACS per il trasferimento dei dati. Tre, quattro, cinque rampe di lancio per missili terra-aria nemici, tanto che appariva totalmente inconcepibile che il loro vulnerabile uccello da guerra potesse, in tempo utile, scagliare altrettante munizioni simili, ma con capacità di cercare autonomamente le fonti di un segnale radio (alias HARM). “3…2…1…Fai fuoco ora!” Disse il pilota/comandante, mentre il secondo membro dell’equipaggio premeva il grosso bottone rosso posizionato al centro della propria plancia di comando. Con un rombo inudibile, quindi, l’arma principale e vera ragione d’esistenza della loro stessa missione iniziò ad emettere un segnale. Poi molti. In un attimo, l’RWR tacque: da ogni punto di vista rilevante, i radar nemici avevano smesso di funzionare, all’unisono. E non sarebbero tornati operativi… Prima che fosse, ormai, troppo tardi.
Ritornando con la mente all’apice degli anni ’80, due cose sopra tutte le altre sapevano incarnare il mito delle avveniristiche tecnologie, nuova metrica di ciò che fosse percepito degno d’influenzare le future generazioni, in quanto canone dell’innegabile ed irraggiungibile rule of cool: la prima, Tom Cruise a soli 24 anni, reclutato per finzione dalla US Navy e circondato dalla cabina di comando di un possente F-14 Tomcat nel film Top Gun, film il cui messaggio patriottico sarebbe stato messo in secondo piano dall’appassionante dipanarsi di quel dramma certamente atipico e soltanto lievemente melò. L’altra invece erano gli hacker della neonata corrente letteraria e culturale del cyberpunk, virtuosi operatori di un oggetto del mistero, il nuovo ospite di molte case con la sua tastiera, il monitor ed altri orpelli, non meno misteriosi per l’uomo di marciapiede di una procedura di atterraggio/decollo dalla portaerei o il raggio operativo dei diversi missili montati sotto le ali di quel cinematico falco d’acciaio. Ma mentre quest’ultimo, col suo costo di svariati milioni di dollari nonostante si trattasse del prodotto di un concetto di superiorità aerea risalente ad oltre 15 anni prima, appariva ormai avviato verso il viale del tramonto, tutti sospettavano che la guerra del futuro avrebbe avuto i metodi e le ragioni per svolgersi all’interno dello spazio non tangibile e del mondo digitale, in maniera ben diversa, da quella che potesse ritrovarsi celebrata su pellicola in siffatta maniera. Perché dico, ve lo immaginate? L’attore più pagato ed ammirato di Hollywood messo ad interpretare il pilota di un ponderoso Grumman EA-6B Prowler, l’aereo da 25 tonnellate di peso a pieno carico e quattro membri dell’equipaggio, che sin dall’epoca immediatamente successiva alla guerra del Vietnam, aveva ereditato dall’EF-111A Raven la mansione di trasportare sulla prima linea il modulo di disturbo ad onde elettromagnetiche AN/ALQ-99, unico capace di accecare letteralmente qualsiasi antenna radar schierata sul territorio nemico. Certo, tutto può essere reso affascinante con la giusta sceneggiatura e abilità registica in cabina di montaggio. Ma certe cose, appaiono meno probabili d’altre…
Dunque resta chiaro che tra le tante mancanze di cui possano essere accusate le Forze Armate americane, non figuri certamente l’incapacità comunicativa o pubblicitaria. Ragion per cui, quando nel 1991 un lungo processo tecnico condotto a più livelli stava per sfociare nella sostituzione su larga scala a bordo delle super-portaerei americane del beneamato Tomcat (“micetto”) con un letterale calabrone, lo sfinato ed innegabilmente alquanto mingherlino F/A-18E/F “Hornet” della McDonnell Douglas, più di una voce si sarebbe sollevata nel Congresso ed altrove per dubitare in primo luogo delle prestazioni di un così nuovo aeromobile, ma anche e sopratutto della sua palese carenza in materia di autonomia strategica, fattore necessario a combattere battaglie in alto mare distanti dal gruppo navale. Che tutti sapevano, si doveva risultare direttamente traducibile nel così fondamentale, imprescindibile carisma del cavaliere solitario.

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La sublime arte del cambio da trasportatore a 18 marce

In molti hanno avuto modo di sperimentarlo: quando si accetta il compito di prendere un qualcosa di grosso e pesante, assicurarlo saldamente al retro del proprio veicolo e intraprendere un lungo viaggio, soltanto tre sono i fattori da considerare: il ritmo e il regime del proprio motore, la stanchezza fisica che può condizionare la nostra soglia di attenzione e… L’infinità quantità di variabili, contrattempi, imprevisti o situazioni meno che ideali, che possono frapporsi sul sentiero verso la piazzola di scarico del nostro destinatario di giornata. Che possono variare dall’effettiva necessità di deviare dal tragitto predeterminato, per lavori in corso o la chiusura (temporanea?) causa conseguenze di un probabile incidente, alla mera disposizione fisica degli spazi, capace d’includere, in determinati casi, quel tipo di disposizioni oblique che prendono il nome di “salita” o “discesa”. Che già ci condizionano, notoriamente, quando nel corso delle nostre passeggiate o pedalate ci approcciamo alla necessità di consumare un numero maggiore di risorse, al fine di percorrere una distanza niente affatto superiore, ma quando ci si trova appesantiti da 15, 20, 30 tonnellate di un rimorchio attaccato dietro al potentissimo motore, tutto cambia e tende, molto spesso, a peggiorare.
O almeno questa è una delle possibili interpretazioni di quanto qui di preoccupa di dimostrarci Dave, camionista da oltre 35 anni, oggi titolare tra le varie cose di un canale identificato come Smart Trucking, ricco di contenuti rivolti a chiunque si ritrovi, nel mezzo del cammin della sua vita, a desiderare d’intraprendere una simile carriera. Che in quello che costituisce ad oggi il suo video più popolare su YouTube (quasi 900.000 visualizzazioni!) si preoccupa di tradurre in parole una delle faccende che maggiormente tendono ad intimidire, per non dire paralizzare causa senso di transitorio ed istintivo terrore, la maggior parte dei suoi colleghi alle prime armi: il tipico cambio di una motrice stradale di livello 8, sarebbe a dire quello che i non iniziati chiamano “grosso camion” la cui pletora di rapporti, incidentalmente pari al numero di ruote di questi veicoli, risulta l’orgoglio e il simbolo forse meno noti di un’intera categoria sociale. “È molto semplice…” esordisce quindi, in maniera analoga a quanto fatto da altri video bloggers che hanno scelto, a loro modo, di trattare un così spinoso argomento “Basta fare le cose nel giusto ordine, e non saltare nessuno dei passaggi previsti nel manuale d’uso.” Quello fornito, per l’appunto, con il suo camion Peterbilt 379, vero e proprio classico della celebre marca produttrice texana, inciso a lettere di fuoco nella cultura popolare come forma alternativa dell’eroico robot transformer Optimus Prime. Che nell’allestimento situato sotto il suo sedile, presenta la formidabile dotazione del tipico cambio manuale RT-18 della Eaton, marca forse più famosa nel mondo consumer come produttrice di gruppi di continuità per il computer, di ogni possibile foggia o misura. Uno standard dell’industria, quando si tratta di essere sicuri che il regime del proprio motore da oltre 450 cavalli sia corretto per il tipo e l’entità del gradiente che si trova a frapporsi lungo l’estendersi del nostro sentiero. A patto, ovviamente, che il guidatore sappia dimostrarsi all’altezza di una tale “belva”…

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La straordinaria sinergia riproduttiva dell’orchidea con secchio incorporato

Amore, anelito, il profondo desiderio. Amore, il lampo che riecheggia in un distante temporale. Amore, il rombo dell’acqua che scorre, mentre il fiume straripa e pervade la radura. Amore, il suono. Amore, il tuono. Amore, il complicato marchingegno evolutivo di quest’orchidea, che una volta messa in trappola l’alata innamorata, ne fa un ingranaggio del sistema. Dapprima trattenendola, quindi attaccandogli un Qualcosa sulla schiena: “SCEMO chi legge!” Dove SCEMO vuole dire, stranamente, UTILE, per quanto inconsapevole del proprio ruolo. Soprattutto quando quel qualcuno è un tipico rappresentante della tribù degli Euglossini, particolari api solitarie dal color metallizato che abitano il Centro e Sud America, prive della complessa struttura sociale delle loro cugine a noi più familiari. Ma dotate di un’invidiabile propensione all’impiego di risorse biologiche di provenienza floreale, con lo scopo di rincorrere ed affascinare le potenziali partner per l’accoppiamento. Il primo a notarlo, probabilmente, già lo conoscete: niente meno che Charles Darwin, il quale tuttavia, anche in forza dei limitati strumenti di registrazione e ingrandimento disponibili verso la seconda metà del XIX secolo, sembrò temporaneamente mancare il punto, causa aver pensato, per errore, che le “operaie” color gazzilloro fossero di sesso femminile, il che non spiegava la ragione dei loro strani comportamenti. Finché grazie all’uso della logica, il grande studioso della natura non acquisì la chiave di volta e il nesso fondamentale di una simile questione: che i ronzanti spasimanti inclini a posarsi sul labellum (grande petalo frontale modificato) di alcune particolari specie d’orchidea, erano soliti farlo soprattutto per catturarne coi peli sulle proprie zampe la potente essenza profumata. In un olio prodotto dalla pianta con la doppia finalità di offrirgli soddisfazione, nonché trarre, in un saliente modo, l’ultimo e più positivo dei vantaggi a propria disposizione: un utile passaggio per il polline, in cerca della pianta femmina da inseminare. Ora, le orchidee studiate da Darwin rientravano in larga parte nel genus epifita (“che cresce sul tronco di altre piante”) delle Mormodes, benché esista all’interno della stessa tribù delle Cymbidieae, un’altro insieme di particolari specie, la cui metodologia a tal scopo risulta connotata da un sistema così complesso, da sembrare frutto della fervida fantasia di un autore di fantascienza…

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Alcuni validi argomenti contro la separazione tra i pesci e il riso

Rosso e verde, rosso in mezzo al verde. Non potremmo affatto crederci, senza averlo visto in prima persona: forme indistinte che si muovono, nel bel mezzo delle ordinatissime piantine. Piccole o medie creature dalle scaglie iridescenti, largamente affini a quelle che ti vendono in sacchetto presso i banchi della fiera. Pesciolini…
Certamente avrete già sentito l’espressione “Ne uccide più la penna” Il che diventa particolarmente importante quando, come anche suggerito in un certo best-seller di fama internazionale, la gente di un popolo ha trasformato le proprie spade in vomeri d’aratro. Letterali o anche figurativi, come quelli idealmente interconnessi alla principale fonte di sostentamento dei popoli della Cina meridionale, dove l’influsso stagionale dei rovesci monsonici renderebbe assai difficile coltivare, con ragionevoli speranze di successo, un qualcosa d’affine ai prototipici campi di grano sottintesi dal biblico Isaia. D’altronde chiunque abbia mai avuto modo di conoscere direttamente l’ambiente tipico di una risaia, ben conosce il tipo di problemi che si accompagnano a questa particolare branca dell’agricoltura: ovvero la presenza di vaste distese d’acqua stagnante, focolai perfetti per lasciar diffondere quel letterale inferno di parassiti, zanzare, insetti più o meno voraci e in ogni caso, nel maggior numero dei casi, potenzialmente nocivi per l’uomo. A meno di voler ricorrere all’uso di pesticidi dunque, una cura molto spesso peggio del male di partenza, e per di più particolarmente onerosa in certi territori ancora in via di sviluppo, l’unica speranza che rimane agli agricoltori senza più risorse sembrerebbe fare affidamento al succitato implemento di scrittura, possibilmente ancora saldamente unito al resto dell’uccello. Ah, l’effetto benefico del popolo dei cieli! Che ogni cosa divora, inclusi vermi, bruchi, larve ed altre antropodi diavolerie. Sarebbe assai difficile, tuttavia, immaginare un volatile insettivoro che non sia anche propenso ad assaggiare, di tanto in tanto, il gusto gradevole di un seme o due. Il che non va per niente bene, quando ciascuno di essi potrebbe corrispondere, a distanza di qualche mese, al principale accompagnamento di un pranzo degli umani. Ed è tutt’altra storia rispetto all’altra punta del tridente animale, di quelle creature che nuotano grazie all’impiego delle pinne. Le quali, pur non figurando nel proverbio di partenza, uccidono anche loro, almeno quanto l’arma simbolo della cavalleria.
Ne parlava la FAO nel video del 2016, dedicato alla premiata GIAHS (Eredità Culturale Agricola d’Importanza Globale) del villaggio di Longxian, contea di Qintian, provincia di Zhejiang. Quest’antica tradizione, risalente a un’epoca di almeno 1.000 anni fa, relativa all’unire l’utile all’utile (nonché dilettevole) ovvero coltivare il riso ed allevare, allo stesso tempo, la carpa commestibile nelle sue più diverse tonalità, un altro importante punto fermo della cucina locale. Attraverso una metodologia capace, per quanto viene sommamente spiegato, di risolvere una vasta serie di problemi potenziali, incrementando in modo esponenziale i presupposti di guadagno di colui che ha ricevuto in gestione quei validi territori…

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