L’uovo francese creato per anticipare le city car elettriche di 5 decadi e una balena

Nel museo Città dell’Automobile di Mulhouse, nell’Alsazia francese, si trova esposta una vettura tanto insolita che addirittura in un salone pieno di Bugatti di gran pregio, si è più volte dimostrata in grado di catalizzare l’attenzione dei visitatori. Lunga poco più di due metri e larga uno e mezzo, appena sufficienti a contenere il sedile del conduttore più quello di un singolo passeggero, il veicolo appare costruito primariamente in due materiali: un guscio bombato di metallo nella parte posteriore, e la grande bolla di plexiglass, priva di pilastri o altri elementi in grado di ridurre la visibilità stradale, concepita come interfaccia tra i due occupanti e l’universo scorrevole della città di Parigi. Concettualmente non dissimile da una macchina contemporanea come una Renault Twizy, Citroen Ami o la recente Smart versione EQ, in forza di un motore elettrico capace di farle raggiungere agevolmente i 70 Km orari, lo strano veicolo non manca mai di stupire per la targhetta di accompagnamento che evidenzia l’anno di produzione. Ovvero il 1942, all’apice non solo dei drammatici eventi della seconda guerra mondiale, ma dell’occupazione militare della Francia stessa ad opera delle forze militari tedesche. O forse sarebbe più opportuno dire “costruita” per l’iniziativa e l’opera di un singolo brillante progettista, destinato a diventare celebre nel suo paese di appartenenza grazie ai molti contributi dati al mondo dei trasporti stradali, ferroviari ed aerei. Tuttavia non sono molti, sfortunatamente, a conoscere in Europa l’opera di Paul Jean Arzens, vissuto tra il 1903 e il 1990, autore tra le altre cose del caratteristico aspetto di molte locomotive francesi della Alsthom ed SNCF tra gli anni ’60 e ’70, riconoscibili per la caratteristica parte frontale a nez cassés (letteralmente: naso rotto) con il profilo simile a quello di una lettera “Z” o nell’idea del suo creatore formatosi alla Scuola delle Belle Arti di Parigi, un corridore pronto ai blocchi di partenza di Olimpiadi ormai lontane. Con una passione per le soluzioni estetiche d’ispirazione naturalistica, o per usare un termine maggiormente specifico “bionica” che si riflette a pieno titolo nelle sue creazioni giovanili appartenenti al mondo dell’automobilismo fuoriserie, visto come nessuna casa automobilistica fosse effettivamente destinata, nel corso della sua lunga carriera, ad approvare la produzione in serie per una delle sue intriganti soluzioni veicolari. Un solo esemplare sarebbe stato messo al mondo, quindi, dell’appropriatamente denominato Œuf (uovo) électrique, così come della sua creazione antecedente ed altrettanto notevole della Baleine del 1938 (la Balena) un’impressionante roadster a due posti, se così possiamo ancora azzardarci a definirla, della lunghezza 7 metri e il peso complessivo tutto sommato contenuto di 1099 Kg, grazie a un copioso impiego di alluminio, per cui l’autore si era ispirato direttamente e dichiaratamente al mondo allora avveniristico dell’aviazione. Un veicolo dall’aspetto tanto distintivo da essere comparsa in almeno due fumetti francesi, la Menace diabolique del 1979 e l’eterno Spirou, in un recente album pubblicato successivamente agli anni 2010, con la sua linea dal riconoscibile stile Art Déco e la griglia frontale del radiatore in grado di alludere ai fanoni del più grande animale oceanico della Terra, con all’interno nascosta la forma normalmente invisibile dei fari. Una visione certamente in grado di stupire e sconvolgere chiunque la dovesse scorgere in arrivo nei propri specchietti retrovisori, ma concettualmente del tutto all’opposto del più famoso “Uovo” nato in un contesto d’utilizzo certamente diverso, risultando perfettamente complementare a tale Batmobile d’anteguerra. Non a caso, il costruttore di entrambe, partendo dal suo celebre studio col soffitto totalmente trasparente in rue de Vaugirard, avrebbe continuato a farne un frequente uso stradale fino alla veneranda età di 87 anni…

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Gli affollati abissi delle anguille dal moto ondulatorio indefesso

Nel settore galattico Beta-Coriolis Gamma-201, la reattività dei protocolli d’emergenza indicava chi poteva sopravvivere e chi invece, avrebbe dovuto soccombere all’attacco dei pirati spaziali. Ancora una volta gli abitanti dei vasti recessi ricoperti di sabbia stellare, rivolsero i propri apparati di rilevamento verso le correnti galattiche e solari, nella costante ricerca del riconoscibile profilo di un possibile aggressore. Finché qualcuno, verso i margini della colonia, operò vistosamente per ritrarre il proprio corpo longilineo all’interno dell’abitazione sotterranea. “Allarme, allarme, squalo in avvicinamento” serpeggiò l’avviso implicito determinato dal ritmo e i movimenti della collettività in pericolo incostante… Ed uno dopo l’altro, gli abitanti in quel fatidico momento fecero quello per cui tanto a lungo si erano preparati. Immersione! Così che a partire da un campo florido di quelle rapide e flessuose forme di vita, restò in apparenza una distesa priva di alcun movimento, ciascun individuo al sicuro nella sua personale ed invisibile camera di muco. Il pirata nel suo affusolato vascello, dopo qualche attimo, spalancò leggermente le gigantesche fauci dai molti denti simili a coltelli. Ma non poté far altro che proseguire oltre il suo pattugliamento, conservando solamente un vago senso di perplessità immanente. “Dannate, dove siete?” Rivolse gli occhi piccoli alla distante superficie dell’oceano senza posa. “Anguille pronte a tutto per aver salva la vita, persino rinunciare alla capacità di… Nuotare.”
Come un campo d’alghe, come un’aiuola, come un frutteto e come una fioriera: ogni tipo di metafora è calzante, purché provenga in via diretta dal mondo delle piante, sia subacqueo che in superficie. Poiché di sicuro, la maggior distinzione tra coloro che biologicamente ci assomigliano e i più verdi ornamenti dei nostri giardini, è la capacità di muoversi da un punto all’altro ogni qualvolta l’occasione si presenta assieme alla necessità di farlo. Mentre il comportamento di un’anguilla appartenente alla famiglia delle Congridae, come queste Gorgasia hawaiiensis dell’eponimo arcipelago, assomiglia piuttosto a quello di una Mimosa pudica o sensitiva, la pianta che protegge le sue foglie richiudendole per l’avvenuta sollecitazione di un possibile divoratore. Ed è concettualmente molto simile questa particolare strategia sommersa, che vede il pesce senza scaglie non più lungo di 60 cm e con un diametro di circa 10-16 mm raggiungere un preciso punto dei legittimi fondali d’appartenenza. In cui provvedere a seppellir se stesso senza alcun particolare grado di preparazione psicologica o possibile sentiero alternativo; nell’abitazione che costituirà l’unico rifugio possibile per l’intera parte rimanente della sua vita.
Il che non impedisce, d’altra parte, all’anguilla di provvedere efficientemente a nutrirsi, primariamente di cobepodi e altre forme di vita planktoniche trasportate dalle correnti marine, ma nel caso specifico dell’anguilla hawaiana soprattutto di minuscole uova di pesce, catturate in orario diurno, quando si può fare affidamento sulla capacità di osservazione per percepire in tempo ogni possibile aggressore. Il che conduce essenzialmente a questa scena chiamata “il giardino”, con le molte dozzine di creature poste l’una a ridosso dell’altra che oscillano insistentemente da una parte all’altra, assecondando per quanto possibile i naturali influssi delle masse d’acqua sottoposte a continuo rimescolamento. Casistica in merito alla quale, nel 2018 è stato redatto uno studio (Khrizman et al.) capace di evidenziare la posizione assunta nel corso di tale prassi ininterrotta dalla prima osservazione mai fatta di questi animali: rigida e verticale, nel caso di situazione sottomarine calme. O con la flessuosa posizione di un punto interrogativo, nel caso in cui si rendesse necessario resistere a spinte trasversali fino a 40 volte più intense…

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Cercando la civiltà preistorica che costruì rettangoli nel deserto dell’Arabia settentrionale

Il primo Ascoltatore affrettò dunque la sua marcia, per porsi in capo alla processione dei pastori del suo villaggio. Il gruppo appariva infatti numeroso e forte, ma pur sempre titubante di fronte al rischio d’incorrere nell’ira degli Dei. La notte era perfetta: infusa di un potente lucore, fornito dalla forma piena di Alezh, l’astro notturno che rincorreva perennemente le isole celesti mentre nessun accenno di nube tentava di nascondere un quadrante del tessuto stellare di orientamento. Raggiunta la frastagliata formazione rocciosa che marcava i confini del loro territorio, gli uomini, le donne e i loro armenti sconfinarono all’interno della zona di nessuno, dove i giovani combattevano e loro guerre infinte a colpi di fionde, lance ed archi. Era imperativo infatti che il grande sacrificio, in quel particolare frangente, giungesse a compiersi all’interno di un merpam costruito da qualcuno di appartenente a una diversa sozh, comunità o collettività indivisa. A questo punto l’Ascoltatore si bloccò di scatto, e con un gesto solenne della lunga verga del comando indicò la direzione del loro obiettivo principale, un punto pienamente riconoscibile nel territorio ricoperto di pietre laviche, marcato da un muro capace di raggiungere all’incirca il ginocchio di una persona, pur essendo lungo molte volte lo spazio tra una capanna comunitaria ed il pozzo del villaggio. Con turbamenti progressivamente più intensi, simili alle onde di un vasto lago o mare, le svariate dozzine di persone si apprestarono quindi a far sostare e suddividere gli armenti, affinché uomini e animali fossero pronti a fare il loro ingresso all’interno del merpam. Senza una singola parola, per contenere al minimo il rumore, colui che li aveva guidati fino a quel momento si fece allora da parte, affinché la fase successiva del rituale potesse venire portata a termine da coloro che ne avevano la prerogativa. Una a alla volta, ordinatamente, le vacche e capre varcarono l’evidente portale all’interno della bassa struttura rettangolare, venendo instradate a seconda del valore loro attribuito nelle diverse “stanze” prive di alcun soffitto, affinché gli astri potessero assistere al momento fatidico della loro offerta. Completato il fondamentale passaggio, l’Ascoltatore prese posto all’interno della cella centrale dalla forma perfettamente tonda, sollevando il pastorale come segnale nei confronti dei 24 guerrieri armati di asce di selce, il cui compito sarebbe stato far scorrere il sangue degli animali, affinché i loro padroni potessero continuare a prosperare. Con un gesto imperioso, l’uomo puntò ancora una volta il suo braccio destro e lo sguardò verso il cielo, mentre il destro restava saldamente piantato sull’altare con la forma dell’ortostato di una meridiana. “Che l’eccidio abbia inizio!” Gridò silenziosamente rivolgendosi ad Alezh. “Che la tua voce, ora e sempre, continui ad illuminare la tortuosa strada del nostro cammino.”
Molte poche sono, in realtà, le effettive nozioni di cui siamo possesso in merito ai popoli e le culture dell’area circostante la città di Medina, molti secoli che qui sorgesse la prima Umma, o comunità musulmana del Profeta, ed in effetti in un’Era perfino antecedente all’edificazione delle piramidi egizie. Periodo talmente antico da far pensare agli studiosi ed archeologi, almeno fino a poco tempo a questa parte, che assolutamente nessuno avesse occupato quest’area almeno fino al sopraggiungere dell’Età del Ferro, quando comunità nomadiche impararono a muoversi e percorrere le aspre dune di sabbia di uno dei luoghi più secchi ed inospitali del pianeta. Una visione accettabile, persino probabile, finché non si prende in considerazione la costante deriva climatica di questo pianeta, e la conseguente maniera in cui, coerentemente a contesti ecologici di tutt’altra natura e tipo, qui potevano sorgere campi fertili e pascoli verdeggianti, tali da poter accogliere intere comunità stanziali. E allora perché, verrebbe da chiedersi a questo punto, nessun tipo di resto archeologico è mai stato rintracciato? Forse non sapevamo, nell’effettiva realtà dei fatti, cosa dovessimo effettivamente cercare. Come giunse sapientemente a dimostrarci il Dr. David Kennedy dell’Università di Perth nel 2017 (vedi precedente articolo) con le sue osservazioni sia aeree che in fotografia satellitare dei molti vasti geoglifi, o veri e propri rudimentali macro-edifici, che punteggiavano la vasta piana vulcanica dello Harrat Khaybar. Un luogo i cui molti misteri parevano espressi dai molti residui osservabili di monumentali figure a forma di buchi della chiave o aquiloni, all’interno dei quali venivano probabilmente messi a frutto antichissimi riti propiziatori o un qualche tipo di arcana metodologia di caccia. Ci sarebbero tuttavia voluti ulteriori quattro anni e fino ad aprile del 2021, per la pubblicazione di un secondo studio capace di andare, letteralmente, più a fondo nella questione, scoprendo semi-sepolti negli immediati dintorni di tali piazze un diverso tipo di figure, concettualmente ancor più semplici e come si sarebbe scoperto in seguito, ancor più antichi. Passando dai circa 4.000-5.000 anni dei precedenti ritrovamenti fino a 7.000-9.000, come esemplificato grazie all’impiego di accurate datazioni al carbonio…

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La furbizia della rana che si eclissa tra il muschio del sottobosco vietnamita

Molte volte un suono tenue, ripetuto ed insistente, ancora geme nella tenebra silente. Eppure quando ti avvicini, non puoi scorgere la faccia, di quel padre di girini non v’è traccia! Quale rana giace nelle tenebre, perfettamente immobile, per nulla lugubre… Bensì coraggiosa e scaltra, senza posa, nella sua ricerca di un’altra? Strane cose accolgono colui che ha voglia e tempo di vagare nella notte della giungla sud-asiatica. Ed ancor più strane cose, dal canto loro, non lo accolgono affatto, ma continuano tutto ciò che stavano facendo, ovvero *sembrare* inesistenti, *sparire* senza lasciare la benché minima traccia. Oculare. Poiché non esiste alcun miglior camuffamento, per una creatura della grandezza di 50-60 millimetri, che assumere il colore esatto che caratterizza il proprio ambiente d’appartenenza. Tranne forse, poter contare anche sulla superficie, e conseguente capacità di gettare ombre, del proprio stesso scudo mimetico d’elezione. Non credo d’altra parte esista in questo vasto mondo, un altro essere, un’altra fraterna creatura nello spazio tangibile dell’esistenza, che sia riuscita a sviluppare grazie al flusso pregresso dell’evoluzione la sua versione innata di quell’indumento bellico di grande utilità che è sempre stata la ghillie suit. Indossata dalle forze speciali di mezzo mondo, soprattutto se armate con fucili di precisione, e proprio durante conflitti come quelli che in un’epoca fortunatamente ormai trascorsa incendiarono e distrussero questa penisola ingoiata da potenze più grandi. Vietnam che tentò di fare, per riuscire a trarsi in salvo, un po’ come la sua più celebre rana: Theloderma corticale, maestra di travestimenti. O per meglio dire, maestra del travestimento: l’unico di cui sembrerebbe aver bisogno, nel corso della sua semplice e (auspicabilmente) ripetitiva esistenza.
Una creatura definita in via informale anche la rana del muschio, e osservandone le caratteristiche non appare in alcun modo arduo comprenderne la fondamentale ragione. Laddove molti, ed assai indistinti, potevano essere gli aspetti della sua bitorzoluta schiena, ma lei sembrerebbe aver deciso di rassomigliare piuttosto a una vista particolarmente anonima e per quanto possibile, facile da dimenticare. Il che sembrerebbe purtroppo aver avuto anche un’effetto collaterale imprevisto, finendo per rendere questo piccolo anfibio particolarmente affascinante e desiderabile nel mercato internazionale dei collezionisti, con ripercussioni ancora difficili da calcolare sulla sua popolazione complessiva. Questo perché la creatura in oggetto, come gli altri appartenenti al proprio genere di arrampicatrici degli alberi Theloderma anche dette “anuri dagli occhi a palla”, è in realtà piuttosto prolifica riuscendo anche ad attarsi molto bene alla riproduzione in cattività. Sebbene l’inevitabile riduzione progressiva degli spazi naturali, in un paese principale di provenienza in via di sviluppo come la principale mezzaluna bagnata dalle acque del Mar Cinese Meridionale, abbia portato a qualche dubbio sul suo stato di sicurezza biologica, con conseguente inclusione preventiva nella lista rossa dello IUCN. Stiamo del resto parlando di una tipologia di esseri particolarmente carismatica e memorabile, la cui unicità è il fondamento stesso di un valore imprescindibile per la biodiversità non soltanto di questa regione, ma l’intera parte emersa del nostro appesantito pianeta…

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