La vispa Tessitrice avea poveretta / a riposo sorpresa / gentil farfalletta / E tutta felice, stingendola viva / (ancora per poco) gridava: “L’ho presa! L’ho presa!” Ma il grido dei ragni non ha una voce. Piuttosto ricorda, nella lingua dei gesti, l’attuazione di un piano maligno, finalizzato ad assorbire la forza vitale degli altri esseri per trarne una vita più lunga, a proprio esclusivo consumo e beneficio. Creature come lepidotteri, imenotteri, e tutti gli altri -otteri (esclusi i chirotteri) che seguendo il preciso programma ecologico del proprio cursus evolutivo, ricercano il pasto pregiato posando le proprie zampette su quel ristorante creato appositamente dalla natura, il fiore. Parlando, s’intende, di un ben preciso genere di quella classe che sono gli aracnidi, chiamato per somiglianza di profilo e movenze il ragno-granchio, benché possegga attitudini ben più diaboliche ed ottimi presupposti di nuocere alle sue prede. Ma prima d’inoltrarci nella descrizione di cosa sia esattamente un tomiside, risulterebbe difficile soprassedere sul magnifico aspetto di questa specie in particolare, che la scienza definisce Platythomisus Octomaculatus ma il senso comune potrebbe facilmente identificare come un giocattolo di plastica per bambini, tanto variopinto, lucido e sgargiante risulta essere nel suo complessivo aspetto. Un ragno, da cui partire per questa trattazione, il cui areale risulta centrato nella parte meridionale d’Asia, partendo dall’India fino alla Cina e giù nel Sud Est asiatico, con la tipica propensione a disperdersi che caratterizza la sua velenosa genìa. Frutto probabile del tentativo di apparire non-commestibile ai suoi potenziali nemici, benché piuttosto che ricordare un animale velenoso, allo sguardo umano, finisca per sembrare una sorta di coccinella in attesa tra i petali, che attende la sua compagna. Impressione soltanto in parte o in specifici periodi dell’anno definibile come corretta, data la strategia tipica della sua intera famiglia che ricorda l’approccio di caccia della signora mantide, mietitrice di cose volanti grazie agli artigli raptatori. Armi in assenza delle quali, il piccolo ragno (difficilmente un tomiside raggiunge i due centimetri zampe incluse) non può che fare affidamento nell’immobilità nascondendosi sotto il fiore, per attendere, attendere ed infine balzare in avanti, come la mano stritolatrice di un gigante. Questo perché tali esseri, a quanto ha scoperto la scienza ormai da parecchio tempo, non hanno l’abitudine di tessere alcun tipo di ragnatela, usando la propria seta unicamente per calarsi o attraversare dei vasti baratri, come funamboli alla ricerca di un pubblico degno di praticarne l’ammirazione. Mentre poco conosciuta risulta essere, di contro, tale sgargiante varietà nella maniera esemplificata dalla recente scoperta (giugno dell’anno scorso) di una nuova specie chiamata Platythomisus xiandao ad opera dello scienziato Lin Yejie, dalla forma più allungata ed in cui il maschio, generalmente molto più piccolo della sua signora, presenta un dorso decorato da macchie rosse, rosa ed arancioni. Sarà perciò opportuno, nel nostro tentativo di definire esattamente ciò di cui stiamo parlando, usare come termine di riferimento l’alternativa nord-americana, come spesso capita pienamente descritta nei variegati recessi del web chiarificatore…
Stati Uniti
La strana vita del cappellaio matto all’epoca della rivoluzione industriale
Figure alte, gigantesche, rese ancor più imponenti dal nobile ed impressionante copricapo. Capace di agire, per i malintenzionati di una sera a teatro, come il bersaglio della propria infausta e sventurata pistola. La sera del 24 aprile del 1865, il soldato unionista Boston Corbett si trovò a far parte del reggimento incaricato d’inseguire e catturare John Wilkes Booth l’uomo che aveva sparato e ucciso Abraham Lincoln presso il Ford’s Theatre di Washington, chiudendo anticipatamente una delle presidenze più influenti nell’intera storia degli Stati Uniti. Dopo una breve ricerca l’assassino venne quindi individuato presso il granaio di una piantagione di tabacco in Virginia, dove si era rifugiato assieme a un suo complice, David Herold. I due erano circondati, senza nessuna possibile via di fuga: venne quindi dato l’ordine tassativo di non sparare. Ma Boston Corbett, avvistato Booth attraverso una crepa nell’edificio, prese la mira con la sua carabina e lo colpì fatalmente sul retro della testa, nello stesso identico punto della sua insigne vittima di pochi giorni prima. La storiografia americana, quindi, si dilunga sulle atroci sofferenze patite dal malfattore prima della dipartita, paragonate secondo le testimonianze coeve a una divina punizione della Provvidenza stessa, citata da Corbett come guida del suo gesto impulsivo e sconsiderato. Ma pochi parlano di quello che sarebbe successo, di li a poco, a costui. Portato a Washington D.C. e sottoposto alla corte marziale per insubordinazione, fu dimesso dall’esercito ma nondimeno considerato un eroe dal pubblico e dalla stampa. Il che gli avrebbe permesso, due anni dopo, di trovare un impiego come assistente usciere presso l’ufficio legislativo dello stato del Kansas, a Topeka. Ma l’ex-soldato sarebbe stato associato, negli anni a venire, ad una serie di episodi psicotici e discorsi pubblici senza senso, spesso culminanti con l’esibizione minacciosa di armi da fuoco, che l’avrebbero portato nel giro di pochi mesi in manicomio. Soltanto molti anni dopo, quindi, ne sarebbe stata scoperta la ragione. Fin da giovane e ancor prima del suo arruolamento, Corbett aveva praticato saltuariamente il mestiere di famiglia: la fabbricazione di capelli.
“Prendi più tè.” Disse il Cappellaio “Non ne ho ancora preso niente, non posso prenderne di più.” Rispose Alice, “Vuoi dire non puoi prenderne di meno. È facile prendere più di niente.” Dissociazione cognitiva, personalità multiple, illusioni di grandezza; molte sarebbero le possibili diagnosi, non mutualmente esclusive, che un moderno psicologo potrebbe attribuire ad una delle più memorabili figure del celebre romanzo di Lewis Carroll, strettamente associata nella cultura moderna all’interpretazione che ne diede la Disney, basata sulle illustrazioni del tempo. Secondo l’opinione degli storici, nel frattempo, tale personaggio fu basato su una figura effettivamente vissuta, quella dell’antiquario e fabbricante di orologi Theophilus Carter (1824-1904) di cui Carrol realizzò la sua parodia letteraria come piccola vendetta dopo che ritenne di aver pagato troppo per dei mobili acquistati presso il suo negozio. Non può essere di certo un caso, tuttavia, se il mestiere scelto per il bizzarro ospite della bambina trasportata all’altro mondo fosse quello del fabbricante di tube, rinomata origine del modo di dire anglosassone “Mad as a hatter” ovvero in altri termini, “Matto come un cappellaio”. La strana e in precedenza incomprensibile associazione tra questi due particolari moduli della condizione umana fu infatti osservata ufficialmente per la prima volta nel 1829 a San Pietroburgo, in Russia, con ulteriori focolai individuati presto negli Stati Uniti, Inghilterra, Francia e più tardi in anche in Toscana, dove all’inizio del XX secolo esisteva una fiorente industria del settore. Ma in quel frangente finalmente, grazie all’applicazione del metodo scientifico, fu possibile intuirne presto la ragione…
Le gelide Olimpiadi dei crateri nucleari creati per sport
Uomini dal bianco camice, l’internazionale uniforme di colui-che-sa-quello-che-fa, all’interno di una cabina di cemento e piombo guardano attentamente una serie d’indicatori. Il freddo pungente della primavera del 1971 nella repubblica del Tatarstan presso la località di Pechora, in linea con le aspettative meteorologiche locali, del tutto incapace di penetrare all’interno del bunker, luogo più sicuro della zona in cui s’incontrano i due fiumi, Volga e Kama. Al palesarsi di una lettura giudicata idonea, quindi, il capo della congrega invia il suo chiaro cenno di via libera, indirizzato verso l’occhio attento del suo nostromo. Il quale, con un’espressione concentrata, preme avanti la pesante leva. Una profonda vibrazione, in quel momento, scuote il sottosuolo dell’Unione Sovietica, mentre milioni di metri cubici di terra vengono sollevati gloriosamente verso il cielo, assieme ad alberi, pietre, piccoli animali e nidi d’uccello. Dove prima c’era una foresta, adesso, trova collocazione un profondo canale. Perfettamente navigabile per almeno 11 mesi l’anno, risolvendo l’annosa questione rimasta in bilico da 38 anni!
Ogni estate e questa addirittura più delle altre (ma non sembra, forse, ogni volta così….) Vede il ripetersi della stessa identica e fastidiosa storia: le principali arterie stradali ristrette drammaticamente, come quelle di un gastronomo dal colesterolo superiore alla normalità, data l’esagerata moltiplicazione dei lavori, fissati in calendario da un’intellighenzia che non pare vivere ad un livello comparabile a quello della gente comune, affrontare problemi simili o soffrire contrattempi analoghi a noialtri esseri umani. Così che bloccati nell’eterno traffico, sotto un solleone che neanche l’aria condizionata può sperare di combattere adeguatamente, ci guardiamo attorno e solleviamo nella nostra mente l’ipotetica questione: “Non sarebbe bello se premendo un semplice pulsante, da una rispettosa distanza di sicurezza, l’infrastruttura della strada potesse palesarsi nel giro di pochi secondi o minuti, con un paesaggio rinnovato ancor prima che la polvere possa posarsi oltre il tragico orizzonte delle Cose?” Un sogno che potremmo ricondurre, in termini diretti, all’esplosione di una bomba nucleare.
Pratica, semplice, diretta, risolutiva: lo strumento tecnologico più potente mai creato da mano umana, in senso totalmente letterale, capace di creare un solco profondo nella Terra stessa tanto significativo da risolvere ogni accenno potenziale di un problema. Assurdo eppure strano a dirsi, ci fu un tempo in cui i governi di questo pianeta la pensarono ed agirono perfettamente in linea con tali apparentemente fantasiose, in realtà del tutto tragiche linee guida. Non per niente, ebbero ragione di chiamarla: Era atomica o in alternativa, guerra fredda, gelida, persino. Quando far esplodere un qualcosa nella maniera maggiormente apocalittica a disposizione non era soltanto un valido messaggio per la propaganda, sia in patria che all’estero, bensì un letterale talismano, contro la possibilità purtroppo mai del tutto assente di far l’improvvida fine di Hiroshima o Nagasaki. Perché quale modo migliore esiste, per provare al solito ipotetico nemico l’enorme potenziale del proprio arsenale nascosto, che scatenarne l’orripilante furia contro i recessi meno densamente abitati del proprio stesso territorio? Benché gli incidenti, questo è chiaro, non possano che rimanere in agguato dietro il radioattivo angolo di così pesanti e ineluttabili circostanze…
Progetto Skycar, l’orizzonte mai raggiunto di una vera macchina volante
“Se la vostra civiltà moderna è tanto grande, umano, allora perché la stragrande maggioranza dei veicoli che utilizzate per spostarvi su questo pianeta continua laboriosamente strisciare lungo inefficienti e pericolose strade asfaltate? Abbiamo studiato con interesse, da Alpha Centauri, i vostri film e videogiochi, e sappiamo quanta familiarità abbiate col concetto di un dispositivo di spostamento personale capace di attraversare lo strato superiore delle nubi argentate…” Qui il Grigio fece una pausa, la grossa testa con gli occhi bulbosi voltata, per quanto possibile con l’articolazione limitata del suo collo, verso la finestra panoramica dell’astronave, la città di Sacramento ormai poco più che un ammasso di luci grande come un pugno, che continuava a rapidamente a ridursi nelle dimensioni. Paul Moller, con un’espressione infastidita, guardò ancora una volta l’orologio portato al polso sinistro: “Ve l’ho già detto e ripetuto, sedicenti alieni. Le macchine volanti esistono da 50 anni e sono stato IO a inventarle; se non sono da tutte le parti ciò costituisce una chiara scelta del grande pubblico che, per non un motivo o per l’altro, non le ha volute. Ora abbiamo finito con questo rapimento? Sulla Terra ho un progetto per lo sfruttamento del carburante biologico, da perfezionare.”
Più in salute e fisicamente attivo che mai, il professore ormai in pensione, inventore e imprenditore di origini canadesi ma operativo in California di 84 anni si guardò intorno pensierosamente, apprezzando se non altro lo spazio utilitaristico dell’astronave interstellare. “E comunque, sia chiaro che neanche la vostra tecnologia è perfetta. Scommetto che questo arnese richiede anni ed anni di apprendimento, prima di essere pilotato con accettabile efficienza.” Il punto debole, come lui ben sapeva, della maggior parte delle tecnologie finalizzate al trasporto di esseri dalle proporzioni ragionevolmente antropomorfe: la semplicità di utilizzo. Ciò che aveva, da sempre, impedito all’uomo della strada di possedere un aeromobile a decollo verticale, poiché l’elicottero, in se stesso, costituisce una macchina che tenta costantemente di uccidere il pilota seduto nella sua cabina di comando. Mentre pensava questo, riandò quindi con la mente alla famosa seconda offerta di Henry Ford, che esattamente 10 anni prima della sua nascita, dopo il grande successo conseguito dall’automobile Model T aveva pensato di adattarne l’economica produzione al volo con ala fissa, mostrando all’America il monoplano Ford Flivver, un aereo economico, semplice, alla portata ideale di chiunque. Almeno finché il pilota sperimentale, perdendone il controllo, finì per schiantarsi nell’oceano presso Melbourne, dimostrando a tutti l’effettiva complessità del progetto.
Macchina volante, automobile fluttuante; la risposta al sogno, universalmente impresso nelle nostre menti, di potersi sollevare in cielo la mattina prima di andare al lavoro. Per atterrar soavi, soltanto una manciata di minuti dopo, nello spiazzo di fronte alla scrivania dell’ufficio. Un approccio veicolare che potrebbe, da un punto di vista individuale, migliorare sensibilmente la vita delle persone. E non c’è niente che Paul Moller abbia mancato di fare, nel corso della sua lunga e complessa vita professionale, nel tentativo di dare una forma valida e realmente pervasiva a questo concetto di vecchia data. Incluso reinvestire, con chiaro intento operativo, una cifra stimata attorno ai 100 milioni di dollari attraverso il reiterato trascorrere delle decadi, nel tentativo di veder staccarsi da terra quella che originariamente aveva chiamato Discojet, quindi Volantor ed infine, con un nome commerciale che resiste tutt’ora, M400 Skycar. Un qualcosa di al tempo stesso meno ambizioso, ma dal potenziale largamente più realizzabile, dell’auto del Professore in Ritorno al Futuro o i velivoli impiegati in Bladerunner e il Quinto Elemento. Eppur cionondimeno, largamente frutto di una possibile fantasia futura…