Squali ninja negli abissi del Pacifico

Thresher Shark

Kusarigama, la falce a catena. Tokusho keiboil bastone nascosto che si allunga all’occorrenza. I guerrieri dell’ombra, fin dall’epoca dei samurai, combattono impiegando strumenti tutt’altro che usuali. Altrettanto avviene fra le pieghe occulte delle onde, miei cari amici marinai. Otto seghe se ne vanno con le pinne, per altrettanti parenti della razza, della manta e degli squali. Nove carnivori a martello, con grossi occhi azzurri sui lati contrapposti della testa, tripudio d’organi elettrici per la navigazione. E una spada. Può bastare. Xiphias gladius, l’ultimo pesce nella sua intrepida famiglia, ramingo dei mari tropicali. Perfetto portatore di un arguto soprannome, pronto per trafiggere chiunque osi sfidare la sua sopravvivenza. Come “loro”.
Le armi, a seconda dei paesi, variano di foggia e di misura. E con esse cambia chi le impugna, più o meno coraggiosamente, sul bagnato campo di battaglia: grossi guerrieri corazzati, dotati di asce bipenni, pesanti mazze; tartarughe nuotatrici? Oppure soldati elastici e flessuosi, con frecce dalla punta penetrante, cercatori di un punto debole scoperto. Gli squali lamniformi, dal canto loro, sanno bene adattarsi all’ambiente circostante. A un tale vasto, variegato ordine di pesci predatori appartengono diversi volti noti, antagonisti di documentari sensazionalistici e impossibili film dell’orrore: il temuto squalo bianco, ad esempio, e l’elegante mako (con pinne corte o pinne lunghe) gli squali salmone o coccodrillo. Campioni della catena alimentare, comunque minacciati, purtroppo, dall’inarrestabile mano dell’uomo. Dei loro prossimi parenti, si può ben dire, sappiamo quasi tutto. Tranne che… Sono, queste insolite creature, visitatori delle acque più orientali del Pacifico, fra l’arcipelago nipponico, quello delle Filippine e l’isola di Taiwan. Chiamiamoli, dunque, per nome. Alopias pelagicus, sarebbe il primo, l’altrimenti detto squalo volpe. Misura circa 3 metri di lunghezza, vive a 100 di profondità e il suo metodo di caccia può stupire: usando la stupefacente coda, spesso lunga quanto il resto dell’animale stesso, colpisce prede sventurate, come sgombri, ittiococchi e piccole barracudine.

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L’insetto cavaliere con la spina sulla testa

Umbonia

Cavalcando poco innanzi all’alba, guerrieri variopinti tagliavano la terra medievale. Con punta di lancia, alte insegne e zoccoli di ferro, per valli e sopra i monti, verso le rocche ed i castelli, sulle ali di un emblema e di un’idea. Oltre le forti cittadelle. Tagliando le muschiose strade, ormai dismesse, lasciate dagli antichi imperi. Ma il cavallo pesa, e ancor più se sovrastato da un soldato, da un barone, da un conte o dal sovrano, con tanto di vistosa sella, corona ingioiellata. E dagli ad agitare il pugno, agricoltori, servi della gleba, sui vostri poveri terreni, segnati dallo zoccolo e dallo stivale! Le vivande valgono, ma non quanto le conquiste “Tagliate per i campi, miei prodi!” Gridava sempre il generale: “La strada è ancora lunga, ma chiara per noi tutti! Deus lo Vult!” Nonché diretta verso l’obiettivo, però diciamolo: a discapito di altri. Il caso voleva, tuttavia, che ci fosse un barlume di speranza, ogni volta – Lo sterco di cavallo. Tanto saggia era quella bestia, quadrupede di augusta nobiltà, che galoppando sopra spighe o cavoli, ci lasciava il suo ricordo, caldo e fumigante, quel sommo signore dei concimi. E passata la stagione della guerra, da lì giungeva la tardiva primavera: per ogni escremento un grande fiore, vita e nutrimento degli insetti. Qualche volta pure il frutto, se si era fortunati, su cui marciare nuovamente.
Nel frattempo, sugli alberi, allora come adesso, l’umbonia, guerriero (minuscolo) del suo regno, ci osservava con stolida perplessità. Anche lui corazzato, defecatore strabiliante, fiero portatore d’araldiche improbabili, sicuramente senza senso. Questo insetto, dallo sgargiante quanto aguzzo copricapo, viene talvolta preso ad esempio dell’incredibile morfologia di certe creature, sviluppatesi per scopi vagamente misteriosi. Ma così devoti sono i libri di scienza a quelle arci-note prime donne del mondo degli insetti, i coleotteri, o alle farfalle vanitose, che spesso ci si dimentica di queste piccole membracidae, parassiti fuori dal comune, amici dei rettili e delle formiche. Parliamone per due minuti.

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Lo schermo tangibile che ti ricostruisce col Kinect

inFORM

Tocca e strofina, ingrandisci, riduci, scorri di lato e dopo passaci un panno, tanto per pulire. Se c’è una cosa che ormai facciamo sempre, è parlare con il nostro cellulare. Non intendo soltanto rivolgendosi a chi c’è dall’altra parte, ma proprio con lui, l’oggetto stesso, comunicando attraverso un linguaggio che, per necessità, si articola in gesti manuali, piuttosto che parole. E manovrando quell’interfaccia utente semplice e intuitiva, comunemente detta touch, in cambio noi riceviamo dati, informazioni virtuali. Però c’è pure il caso, grazie all’esperimento tecnico di un dipartimento del famoso M.I.T, che prima o poi, miniaturizzazione permettendo, i nostri dispositivi abbiano la capacità d’espandersi o contrarsi nell’asse della profondità, a proprio piacimento. Potendo finalmente contrapporre l’ideale dito-casa-telefono, loro propaggine bio-luminescente, contro quell’insistente palmo umano. Dieci o mille volte…Senza limitazioni contestuali, appendici in quantità! Ebbene, quanto pesa un pixel? Dipende. Se del tipo tradizionale, inteso come unità minima di luce e tiepido colore, sarebbe difficile da misurare. Un micro-nano-grammo di atomi, o a seguire. Ma se invece si trovasse sopra questa matrice a quadrettoni, il rivoluzionario inFORM, quanto basta. Ovvero l’entità immanente sufficiente ad esserci, poter toccare, spostar le palle rosse, o altre cose.
Più che essere un semplice tavolino da caffé, questa ridotta superficie fuoriesce da un mondo di sfrenata fantascienza. In particolare, rilevante è l’immagine del classico ponte ologrammi, fornitura standard di ogni nave di Star Trek, in grado di dare forma fisica alle sue realistiche simulazioni, che siano serie o d’intrattenimento. Ovviamente, qui siamo in una fase ben più primitiva. La risoluzione, perché in fondo stiamo parlando di uno schermo, è davvero limitata: siamo ad un minimo stimato di 2 cm. Abbastanza per poter creare una riduzione del Selciato dei Giganti (basalto d’Irlanda) o il modellino di un edificio in stile Minecraft, poco più. Però, in fondo, non è questo il punto: stiamo parlando soprattutto di un meccanismo dotato di risposta rapida, quasi paragonabile al concetto di refresh. Più che ricrear le cose con assoluta precisione questo, praticamente, si muove alla velocità dell’occhio, del prestigiatore.
Tanto che in mancanza di teletrasporti, il quali forse ci arriveranno un po’ più in là, ci può fornire dell’assistenza nella cosa più prossima che abbiamo: la tecnologia per esserci, quando non ci siamo. Vediamo come.

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Scaldare casa usando quattro candeline dell’Ikea

KeepTurningLeft

Nel gelo apocalittico della notte di Natale, circondato da zombie famelici e grosse alci radioattive, Will Von Scroogen spense con risolutezza la caldaia della sua baita di montagna, alimentata dalle costose bombole di gas GPL compresso: “Eeh, no! Ogni centesimo risparmiato, tanto di guadagnato”. Non si capacitava, il più anziano e avaro degli uomini d’affari pseudo-dickensiani, di dover continuare a spendere per la sopravvivenza della canticchiante umana società. Rappresentata, oramai, soltanto e solamente da se stesso. Tutti quei fastidiosi orfani, sperduti per le strade, che tendevano la mano per un’impareggiabile decino. E i cani randagi, con i loro grandi occhioni, silenziosi postulanti d’affetto e qualche prezioso croccantino. Passati a miglior vita (pensava) orfani e cani, riuniti dalle avversità del fato, restava solo lui: e allora dai a spendere, dannazione! Una bombola dopo l’altra, cento e mille scatolette…. “Il cibo te lo devi guadagnare, mica cresce sugli alberi!” Rivolgendosi a stesso diceva cupamente, l’ultimo misantropo di questa Terra, detestando i suoi bisogni. Mentre bestie siderali, provenienti dalle lune di Saturno, strisciavano per la foresta, ululando, e i vermi saprofagi, tanto privi d’occhi quanto di pietosi sentimenti, insidiavano le fondamenta di quella piccola casetta, sopravvissuta, per miracolo, all’imprevista catastrofe globale. Ergo lui, felice, spegnendo il suo riscaldamento, risparmiava. -15 gradi, le finestre, gradualmente, iniziavano ad appannarsi.  L’orologio bronzeo batté l’una di notte. “Finalmente!” Pensò quindi, semi-adagiato sulla sedia a dondolo del nonno, nel buio quasi completo, la doppietta nascosta sotto le rigide coperte, senza uno straccio di cartucce, perché lui era troppo avaro per spararle. E già si chiudevano i suoi occhi, un po’ per l’auto-soddisfazione, in parte per un principio d’assideramento, quando s’udì dal vicino ripostiglio un suono, come un colpo di tosse cavernoso. “Soo-no lo spii-rito dei Natali passa-ti”. Ora che vuole, questo qui! Pensò il vecchietto, infastidito, gettando da parte le povere coperte. Tenendosi ben stretto il suo fucile, fece due passi, aprì le solide ante di legno lavorato. Pagate, all’epoca, bei dollari sonanti. E sul fondo dell’angustissimo stanzino, la faccia splendida, gli occhi stolidi, con cappello e stella di sceriffo, fieramente lo fissava: Chuck Norris. La tenebra, d’un tratto, prese una piega inaspettata. “Buongiorno, anziano terribilmente arido, privo di risorse. Nella notte in cui tu affronti la prova più terribile, son giunto per portarti un lauto dono. Vedo che hai l’arma scarica, mmm!” E così dicendo, dalla sua lunga barba, quel mistico figuro tirò fuori una katana. “Con questa, sappilo, non finirai mai le munizioni” Cavolo, pensò Will. “Sai che risparmio!”

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