La plastica: un materiale dalle applicazioni pressoché infinite. Perché una singola sfera potenzialmente rimbalzante, di per se, è poca cosa. Ma bastano due per diventare un gioco. E tre faranno un sistema. Mentre 1.000, 10.000… Possono cambiare il nostro modo di concepire la singola risorsa più importante per l’uomo. L’altro giorno, al cospetto della stampa, della TV, degli assessori della sua giunta e degli ufficiali del LADPW (Los Angeles Department of Water and Power) l’orgoglioso e sorridente sindaco della seconda città più grande degli Stati Uniti, Eric Garcetti, ha rovesciato un sacco di plastica in prossimità di un’irta discesa in cemento. Assieme a lui dozzine di persone, in parte dipendenti dell’azienda che ha ricevuto l’appalto, in parte fortunati invitati all’improbabile evento, hanno fatto la stessa cosa a partire da un punto diverso, causando lo scroscio impressionante di ben 20.000 “shade balls” (palle nere) impegnate nella più gloriosa rotolata della loro vita passata e presente, verso il bacino del Silver Lake Reservoir, ricolmo di 3,010,000 metri cubi d’acqua, almeno in teoria, potabile. L’ultimo carico di un totale vertiginoso, che attualmente si aggira sui 96 milioni di loro simili, gettate come uova di caviale sopra un lago artificiale. Il problema ed il nocciolo della questione, infatti, è proprio che dei test effettuati recentemente nella struttura hanno rivelato nel serbatoio una pericolosa contaminazione di bromato, sostanza lievemente carcinogena per l’uomo. Eppure non si può fare a meno di un tale polmone acquoso, soprattutto al tempo della lunga siccità che ha coinvolto l’intera California, nonché parti dell’Oregon, del Colorado e dello stato di Washington, una situazione che sta ormai da anni condizionando il benessere di decine di milioni di persone. Cosa fare, dunque? Prima di ogni altra cosa, svuotare il serbatoio (temporaneamente) per poi riempirlo gradualmente di nuovo grazie al possente ma sempre più affaticato acquedotto cittadino, con origine dal fiume Owens della Sierra Nevada, costruito all’inizio del secolo scorso dal celebre visionario William Mulholland. E poi proteggere la nuova massa d’acqua in maniera quasi totale, analogamente a quanto era stato fatto nell’estate del 2008 con il vicino e ben più piccolo Ivanohe’s Reservoir. Perché l’indesiderabile bromato è la risultanza accidentale della combinazione fra tre componenti: lo ione bromite, una sostanza chimica che si forma naturalmente nell’acqua proveniente da falde acquifere sotterranee; il cloro, da sempre impiegato per disinfettare l’acqua da bere esposta agli elementi; e la luce del Sole, che scalda ed attiva il miscuglio nel giro di qualche mese. E forse apparirà strano a dirsi, ma fra i tre fattori, l’unico che si potesse rimuovere era proprio quest’ultimo, visto che non era endemico o necessario. Sul come, inizialmente c’erano piani divergenti. Fra tutti prevalse inizialmente un sistema dall’alto grado di sofisticazione, che sarebbe consistito in una diga per tagliare a metà i due serbatoi, fornita di teli per proteggere la nostra acqua dai raggi UV. Con il piccolo problema del costo, che si sarebbe aggirato attorno ai 300 milioni di dollari. Una cifra non esattamente facile da dedicare a un singolo problema, persino per una città da 13 milioni di abitanti come LA. Così, a qualcuno venne l’idea, presa in prestito da certi grandi aeroporti con il problema delle anatre selvatiche vicino alla pista di decollo, di coprire lo specchio d’acqua con un certo numero di quelle che vengono comunemente definite conservation o shade balls, sferette scure dal diametro di 10 centimetri e dal costo approssimativo di 96 cents ciascuna, semi-riempite d’acqua affinché il vento non se le porti via. Ed ora, finalmente, l’opera è completa!