L’ottimo cannone laser del giovane Drake

Laser Shotgun

Gli hobby ci definiscono, connotano la nostra personalità. Ciò che scegliamo di fare del nostro prezioso tempo libero, sia ciò produttivo o un semplice mezzo per svagarsi, divertente o impegnativo, è lo specchio limpido di quello che siamo, oltre che dei nostri stessi desideri e del futuro prossimo e remoto. Che dire, quindi, di Drake Anthony, in arte Styropyro, per gli amici “The DIY laser guy”? (L’uomo dei laser fatti in casa) che non soltanto gestisce un canale video con 53 milioni di visite complessive, non solo colleziona componentistica ed assembla le versioni ingigantite dei comuni puntatori luminosi da qualche milliwatt, già di per loro ormai proibiti praticamente dovunque, ma che l’altro giorno, addirittura, ha messo assieme 8 diodi in grado di produrre un fascio di luce dalla potenza di 5 watt ciascuno, per un totale di 40 concentrati grazie all’uso di soluzioni ottiche in quello che potrebbe definirsi un solo grande raggio della morte. Lui lo chiama, in modo molto informale, il suo laser shotgun, ed afferma nelle prime battute della presentazione: “È troppo pericoloso perché possa servire a qualcosa, ma non era illegale costruirlo, e così l’ho fatto.” Negli Stati Uniti sussiste in effetti questo particolare meccanismo normativo, applicabile in diversi stati, per cui alcune armi o strumenti sono teoricamente proibiti alla popolazione, ma se qualcuno riesce a costruirseli da se, la polizia non può in alcun caso sequestrarli. Da questo nasce ad esempio l’intera sotto-cultura delle cosiddette ghost guns, i pericolosi fucili assemblati a partire da componentistica venduta liberamente, perché impossibile da impiegare in alcun progetto senza l’impiego di attrezzi specifici per modificarla, diciamo, leggermente. E qualcosa di simile avviene nell’Illinois presso cui abita e studia il giovane in questione con i laser al di sopra di una certa potenza, che non possono assolutamente essere importati, se non in parti rigorosamente separate tra di loro. Ma non credo che nessuno potrebbe attribuire a questo giovane genio ingegneristico alcuna intenzione di compiere gesti inappropriati, soprattutto visto l’entusiasmo spontaneo e l’assoluta spensieratezza con cui ci presenta l’attrezzo in questione, che comunque, sia chiaro, potrebbe accecare permanentemente una persona, anche di riflesso, nel giro di una frazione di secondo, o causare ogni sorta d’incidente aereo o stradale.
Che strano: costui ha costruito e messo in mostra, negli ultimi 7-8 anni, ogni sorta di applicazione del principio che seppe teorizzare per primo Einstein nel 1917 e che nel ’57 trovò la sua prima dimostrazione pratica ad opera dei fisici Townes e Schawlow, sebbene con dei presupposti necessariamente meno tecnologici di quelli che abbiamo alla portata delle nostre odierne mani. Così, non è certo questa la prima volta, né la maggiormente significativa, in cui Drake realizza un sistema in array di questa specifica potenza, per di più in questo caso limitato dal suo essere portatile e quindi disporre di una fonte energetica piuttosto contenuta.  Eppure metti un grilletto a qualcosa, dagli la forma di uno strumento d’offesa, potrai contare sul suo successo nel colpire, assieme ai tuoi bersagli non metaforici, quello più grande e rilevante della fantasia comune. Lo sapevano già i bardi e i poeti, che nelle loro narrazioni preferivano cantar le gesta di soldati e valorosi eroi. La violenza potenziale è straordinariamente divertente, per lo meno quando virtualizzata, o trattata da una sufficiente distanza di sicurezza. Poi, naturalmente, per dare adito a una simile atmosfera, qualche oggetto inanimato dovrà essere sacrificato alla sete di sangue collettiva.

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Il pugno d’aria che sconquassa gli aeroporti

Microburst Event

Questa scena piuttosto impressionante è stata registrata presso il piccolo aeroporto dell’Accademia delle Forze Aeree del Colorado ad Aprile dell’anno scorso, quando una serie di coincidenze veramente sfortunate hanno portato un certo numero di cadetti, assieme ad alcuni istruttori, a decollare nel bel mezzo di una situazione quasi indescrivibile. Immaginatevi sul sedile di comando di un aeroplanino Piper PA-18 Super Cub, dal peso a vuoto di 446 Kg, con la cognizione, vagamente acquisita durante il briefing di un volo d’addestramento, che “sussiste il potenziale di un microburst.” Sicuramente avreste già riconosciuto, in tali circostanze, il nome più temuto da chiunque abbia mai impugnato una cloche. Ma poiché da queste parti, essenzialmente, una tale atmosfera la si respira tutti i giorni, la scelta diventa tra l’accettare il rischio di essere trascinati dagli eventi, oppure non volare mai. Possibilmente, non sperimentare l’effetto del disastro sulla propria stessa pelle! Come invece capitava, così: durante la preparazione di un’escursione con alcuni alianti, con i velivoli a motore già pronti sulla pista, il comandante della base ha improvvisamente realizzato che si era ormai giunti al punto di non ritorno. Nel giro di cinque minuti, da una situazione di calma apparente, si era passati a un vento di 55 nodi (100 Km/h ca.) più che sufficiente per far staccare da terra un aeroplanino come questi anche da fermo, senza alcun pilota a bordo. E quindi, prima che fosse troppo tardi, ha dato l’ordine di decollare. Wow!
È largamente nota alle ricerche dei linguisti, come pure all’uomo della strada, la questione di alcune lingue degli Inuit e Yupik del Polo Nord che avrebbero “parecchi nomi per la neve e per il ghiaccio”. A seconda che si tratti di una formazione solida, piuttosto che vaporosa, oppure troppo morbida e davvero prossima allo scioglimento; quest’ultima particolare varietà, quella più potenzialmente perigliosa fra tutte e 99 quelle che classificherebbero secondo alcuni studiosi, un numero per altri esagerato. Ma se pure si potesse confermare l’esistenza di 50, 60 termini e tipologie diverse, non ci sarebbe proprio nulla di strano in tutto ciò: chi vive a stretto contatto con un elemento naturale, prima o poi, giunge alla conclusione che il comprendere e saper identificare i suoi diversi stati transitori può pesare fortemente sulla sua sopravvivenza. Strano invece come, nella quotidianità di chi osserva il mondo dal microscopio oggettivo della scienza, per connotare determinati stati dell’ambiente basti talvolta un valore numerico d’accompagnamento, come quelli delle scale di misurazione per i terremoti o le tempeste. Tranne quando tale approccio, nella sua estrema semplicità, non è più davvero sufficiente: permangono pur sempre, per ciascun livello distruttivo, le fondamentali distinzioni tra le cause scatenanti. Pensiamo, ad esempio, al caso spesso tragico delle tempeste americane. Un paese così vasto e spesso pianeggiante, soprattutto nella sua parte interna che si estende dalle Rocky Mountains al fiume Mississipi, che qualsiasi anomalia meteorologica non ha un semplice esito, con qualche pioggia, tuono o fulmine schioccante. Ma piuttosto s’ingigantisce silenziosamente, percorrendo tali spazi, finché palesandosi non basta a far tremare le fondamenta stesse della società civile.
Come nel caso delle lingue nordiche con gli stati solidi dell’acqua, c’è infatti una singolare varietà di espressioni della lingua inglese, anche di uso corrente, per definire e connotare simili disastri in fieri, determinati da questioni totalmente al di fuori del controllo umano, a esempio: supercell (un fronte mesociclonico) nor’easter (il vento dell’Atlantico che talvolta colpisce con furia il nord-est degli Stati) il panhandle hook (l’effetto domino di un particolare gruppo di tempeste che si danno il la a vicenda, attraverso un processo che noi definiamo ciclogenesi) e poi, naturalmente lui, il tornado (che quando si trova sopra l’acqua, viene invece detto waterspout). La temutissima colonna d’aria roteante, generatasi alla base di un cumulonembo, tanto spesso visibile all’occhio umano grazie alla condensazione delle molecole d’acqua contenute al suo interno; la quale, forse proprio in funzione di questa sua forma immediatamente riconoscibile, oltre che ai danni spropositati che risulta in grado di causare, è entrata a far parte del bagaglio delle conoscenze globalizzate, non venendo in alcun caso definito con il termine di “semplice” tempesta. Tutti riconoscono al primo sguardo quella particolare manifestazione della furia del cielo, in grado persino di deformare la struttura di sostegno dei più grandi grattacieli. Ma che dire invece di questa particolare alternativa, che condivide  il carattere improvviso e localizzato, nonché la crudeltà del tornado, eppure che ben pochi fuori dagli Stati Uniti chiamano per nome: tanto che, in effetti, persino qui da noi, dobbiamo usare l’espressione molto più generica di “raffica discendente” oppure rassegnarci all’inglesismo alquanto vago, microburst…Ed ecco, esattamente, che cos’è: il terrore degli aerei, siano questi in volo oppure come in questo caso, con le ruote appoggiate saldamente a terra. Ma in assenza di un qualsiasi hangar, dannazione!

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La donna con dodici opossum nell’armadio

Opossum in the Closet

La celebrità è un fluido impercettibile che a volte cresce da lontano. In un salire di marea, graduale ma deciso, ricopre le persone che hanno avuto l’occasione o l’intenzione di magnetizzarla. In certi casi, invece, rassomiglia alla battente pioggia estiva. Camminando pensosamente tra la casa e la tua meta, d’improvviso ti ritrovi senza ombrello, in mezzo alla tempesta tiepida che avvolge, inzuppa i tuoi capelli. E allora, cosa fare? Se non prendere la telecamera, puntarla verso quella cosa strana che ti ha messo nella situazione in cui ti trovi, l’animale fuori posto, la suppellettile randagia, il piccolo peloso coccodrillo della situazione. Qualcosa di simile deve aver pensato Tara McVicar di Los Angeles, cugina dell’attore Gabriel Macht, al palesarsi della scena più bizzarra e inaspettata: una busta della spazzatura dentro allo stanzino, che si agitava e fischiava rumorosamente, come se, come se…Surprise! Due piccoli e tondi occhi neri, il muso a punta umido e vibrante, il ciuffo di peli sulla testa. “Aw, shucks.” Tu guarda, questa è bella. C’è (almeno) un opossum nell’armadio. Procedendo per gradi successivi di interazione, perché è chiaro che l’anomalia andava risolta in qualche modo, la donna inizia un buffo tira e molla con la bestia, usando il manico della scopa per tentare di fargli lasciare la sua tana inappropriata. I toni si fanno piuttosto accesi, benché lei sia pronta a riconoscere, con spontanea simpatia: “Dopo tutto è carino.” Finché, meraviglia inaspettata, non spunta una seconda testolina dal sacco di plastica, e poi un’altra e un’altra ancora. Dove sembrava ce ne fosse uno, che anzi era una e pure madre, risiedono anche i cuccioli, saldamente assicurati alla sua schiena. Il frangente aumenta di complessità.
Chiamate la…Polizia, i pompieri? La Guardia Nazionale o Turtleman, con i Ghostbusters come ospiti della puntata…È chiaro che abitando in mezzo a un’area densamente popolata, come per l’appunto questo verdeggiante quartiere di Beverly Grove, parte dell’area nord-orientale della grande città di Hollywood, la visita di animali selvatici tra le mura domestiche risulti alquanto rara. Ma gli Stati Uniti, di massima ed a giudicare dall’alta quantità di testimonianze mediatico-televisive, sono abitati da un maggior numero di mammiferi, dalle più diverse dimensioni, perfettamente adattati al convivere e dividere gli spazi con l’uomo. Così gli orsi che frugano tra i rifiuti (certo, sarebbe un po’ difficile nel mezzo di un sobborgo come questo) o i procioni ed i coyotes nel giardino, come pure, del tutto incidentalmente, la qui presente migliore approssimazione sul pianeta di un mostruoso topo alieno. Uno dei moltissimi appartenenti alla famiglia marsupiale dei Didelphidae, che vanta ben 103 diverse specie assai diffuse negli Stati Uniti, nei Caraibi e fino in Messico, dove vengono chiamati tlacuache. Gli opossum sono animali largamente innocui e dal sistema immunitario piuttosto resistente, quindi largamente privi di pericoli per l’uomo. Addirittura, il loro metabolismo troppo freddo impedirebbe al virus della rabbia di contagiarli, nonostante sembrino perennemente affetti come da una sorta di frenetica pazzia. Si tratta, in poche parole, del loro principale mezzo difensivo contro i predatori, configurato in un minaccioso spalancarsi di quella boccuccia ben fornita di incisivi, canini ed ottimi molari. La dentatura degli opossum, particolarmente fornita, è tra le loro doti migliori. Assieme alla tecnica di depistaggio, che spesso in lingua inglese viene definita per antonomasia con il loro nome, consistente nell’immobilizzarsi per fingere la propria morte. Questi animali, se costretti a ricorrere a tale meccanismo, secernono anche un odore disgustoso descritto come simile a quello della putrefazione. In effetti, quindi, non c’è molto da scherzare: la qui presente McVicar si trovava alle prese con una situazione tipicamente cinematografica, non dissimile dal disinnesco di una pericolosa bomba radioattiva, che il cattivo di turno avrebbe piazzato in mezzo alle proprie beneamate scarpe, i vestiti e tutto il resto.
L’approccio scelto successivamente, in ultima analisi, è stato probabilmente quello più efficace. Passando alle buone maniere, da una madre all’altra, l’inquilina originaria dell’abitazione inizia ad usare le maniere buone. Parlando alla opossum come se fosse un bambino umano, gradualmente si guadagna la sua fiducia, quindi, in una scena non mostrata prende dalla busta uno o più dei suoi cuccioli, portandoli fuori in giardino, dentro la grande gabbia del coniglio di famiglia, tale Mustache. L’obiettivo di un tale gesto è presto detto: costringere la madre ad uscire dalla tana inappropriata, per ricongiungersi alla prole. Funzionerà? Beh…

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Nuovi metodi per cuocere la carne: lavico e fluviale

Lava Barbecue

Il terrore semi-liquido che avanza, rosseggiante fuoco della distruzione fin sopra le spiagge delle Hawaii. Nessun turista assisterà ad un simile spettacolo, tranne i più convinti vulcanologi con lo stipendio assicurato; tutti gli altri, dal primo all’ultimo, fuggiranno via per tempo. Elicotteri, barche, aerei con il pieno di benzina. E automobili che corrono fino alla riva dell’Oceano, per lo meno, al fine di osservare da lontano i fumi fetidi della montagna. Lentamente, inesorabilmente si consuma la foresta. Tanti tronchi e foglie rigogliose, mentre gli uccelli gridano alla fine delle loro uova. È una totale evacuazione, senza il minimo risvolto positivo per la collettività. Ma in mezzo a questo panico, ci sarà un uomo. L’eroe degli affamati, un differente tipo di messia: colui che ricevuta l’illuminazione, piuttosto che fuggire. Ritrovandosi sul promontorio, coraggiosamente irto contro l’ansia ed il pericolo, una grande griglia stretta fra le mani. Ed una borsa sulle spalle tutta piena, piena fino all’orlo di bistecche. Vermiglie, già quasi sfrigolanti nell’aspettativa di… Ah, se soltanto la TV internazionale potesse essere lì, per assistere ad un tale gesto! Se i satelliti di Google, lasciata l’orbita geostazionaria, trovassero il modo di puntare l’obiettivo sul suo volto, per un attimo e in obliquo, al fine di conoscerne l’identità. Quel giorno, finalmente, saremmo a conoscenza del Segreto. Senza più doverci accontentare delle inefficienti imitazioni del nirvana del filetto, l’apogeo della cibaria, vedi questo strano e malriuscito esperimento della Syracuse University, proprio nel centro rumoroso di New York. Dove, nonostante le molte trovate dell’apoteosi cinematografica, mai ebbe a palesarsi questo spettro del vulcano, l’orribile bocca infuocata che rigetta verso il cielo. Fino ad ora, fino ad oggi, finché a Bob Wysocki (assistente professore d’arte) e Jeff Karson (cattedratico di scienze della terra) non è venuta l’idea di mettersi a produrre scienza tanto per gradire, e così tanto facilmente, grazie all’uso della lava “fatta in casa” ovvero roccia pura e fusa, alla bisogna, dentro un grande calderone posto (molto) in alto. Con lo scivolo di fronte e poi…Dopo dipende. Sul canale Vimeo del primo dei due, traboccante d’inesorabili devastazioni, è possibile assistere allo spettacolo non-del-tutto-naturale dell’effusione lavica che s’incontra con la sabbia, col cemento, con più vasche piene d’acqua, che non costa e questo è un bene. A tal punto era insaziabile la sete di nuove bizzarre sperimentazioni di ciascuna delle altre eminenze coinvolte in ciò che sarebbe stato definito a posteriori il Lava Project, che ciascuno gridava a gran voce la sua idea, in un caustico bailamme di presunte dilapidazioni. Un po’ come un ragazzo troppo cresciuto con un fuoco d’artificio, che non sa se metterlo dentro un mucchio di foglie, un recipiente di sabbia, un secchio della spazzatura…Oppure: “Proviamo con il ghiaccio, heh, heh, heh.” Si, dai, mettiamoci la LAVA e così… È stato. Una scena orribilmente affascinante, andata in onda nel corso di una puntata della terza stagione del programma Outrageous Acts of Science durante la quale il flusso squagliato è stato fatto scendere sopra un lastrone congelato, al motto e la domanda di “Cosa mai succederà?” Un’esplosione (probabilmente ci speravano) o magari l’immediato squagliarsi della superficie, troppo liscia e delicata per fermar l’effetto gravitazionale sulla pietra fusa (e vabbé) oppure, oppure…La realtà, come tanto spesso capita, riuscì a superare l’immaginazione: il flusso incandescente, raggiunto quello specchio d’acqua congelato, iniziò a vaporizzarlo, ebbene si. Da uno stato all’altro della materia, saltando quello che ci stava in mezzo. Letteralmente ma con un significativo corollario: le particelle umide, lanciate verso il cielo, che si ritrovano a sbarrargli la strada un generoso strato, guarda caso, di LAVA. Il risultato fu la formazione di uno straordinario susseguirsi di bolle nerastre, sovrapposte nella furia e nel bisogno di scappare via. Ma riassunte, facilmente, nella poetica espressione: “A voi non sembra un po’ una pizza?”
E così, a costoro venne fame. E quando hai a disposizione le risorse monetarie di un gruppo di ricerca universitario statunitense, poco ma sicuro, non puoi certo accontentarti di uno snack. Basaltica fu l’occasione. Piroclastica, la gioia delle gente. Insomma tanto è stato, han fatto ed è successo, che alla fine loro, gli studenti assieme a chi altro di dovere (o gusto personale) si son ritrovati con un carico di splendide bistecche, corposi doni della mucca al mondo, e poi salsicce, un trancio di salmone. Che ottimo pretesto per far festa. Ma l’impazienza è una cattiva consigliera, ed il bisogno di far conoscere al mondo il proprio lavoro, a volte, porta a strani eccessi. Così posizionato lo scivolo pietroso sotto la fornace ribaltabile, vi hanno piazzato sopra il tipico sostegno di metallo. Per fare del convivio un’altra scena offerta in sacrificio al grande nume della scienza.

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