Il 15 settembre del 1967 in Australia, una guida turistica nota unicamente come Mr. C. decise impropriamente di fare qualcosa di affascinante per il suo gruppo in visita a Channel Country. Avendo scorto un’ombra in mezzo all’erba rada del bush, si avvicinò di soppiatto alla figura lunga quasi due metri di un serpente. E tentando di afferrarlo, finì suo malgrado per essere morso a una caviglia. Una contingenza molto sconsigliabile dato il colore marrone e le scaglie romboidali dell’impressionante creatura, sufficienti ad identificarli come un rappresentante altamente velenoso dei taipan (gen. Oxyuranus). Quello che costui, nessuno dei presenti e neanche i medici dell’Elizabeth Hospital, dove sarebbe stato trasportato d’urgenza in eliambulanza potevano inizialmente sapere tuttavia, era che l’effettiva specie dell’animale ucciso e prelevato dai presenti sarebbe stato in seguito identificato retroattivamente come un qualcosa di assolutamente “speciale”. Un rettile la cui odierna qualifica come singolo strisciante dal veleno più potente al mondo avrebbe necessariamente suscitato in Mr. C. una considerevole, ed ulteriore dose di pessimismo. Ciononostante, pur mostrando i sintomi temporanei di una myasthenia gravis con paralisi dei muscoli facciali e difficoltà respiratorie per due settimane, sintomi aggravati dall’impossibilità di somministrare un siero a causa di reazioni allergiche pregresse, egli sarebbe stato infine dimesso per sua fortuna potendo ritornare alla vita di prima. Con un rinnovata, salubre rispetto nei confronti dei serpenti australiani. Soltanto anni dopo, inviando l’esemplare preservato presso l’occhio scrutatore del naturalista Eric Worrell, sarebbe stata infine negata la sua originale qualifica come O. scutellatus o taipan costiero, associandolo piuttosto alla specie ormai quasi dimenticata dell’O. microlepidotus o taipan dell’entroterra, non più avvistato dopo la sua prima descrizione scientifica nel 1879. Una creatura destinata ad incontrare il soprannome di fierce snake (serp. feroce) non tanto in funzione del suo temperamento bensì la straordinaria pericolosità del suo armamento chimico, contenente un cocktail estremamente complesso di tossine in grado di attaccare nel contempo muscoli, sangue e sistema nervoso, con dolori lancinanti, paralisi, danno agli organi ed un rischio elevato di coaguli potenzialmente letali. Caratteristica affine a quella delle altre due specie esistenti di taipan (la terza scoperta nel 2007) ma in questo caso aggravato dalle dimensioni del portatore e le sue affinate strategie di caccia, che prevedono un’alta quantità di morsi portati a segno in un singolo attacco e grandi quantità di veleno iniettate ogni singola volta. Un approccio d’uccisione attentamente calibrato sulla necessità di sopravvivere in un ambiente tanto inospitale e dalle temperature così elevate come l’entroterra del continente meridionale, dove le ore utili alla caccia sono limitate all’alba e al tramonto, mentre le prede principali disponibili includono topi, bandicoot e le varie specie di ratti nativi del bush. Esseri la cui cattura non è sempre facile, o priva di pericoli come si potrebbe tendere a pensare…
specie
L’uccello disallineato che avvita le pigne sul tetto delle foreste boreali
Così come non sarebbe logico assegnare un merito ai pini ed abeti per la produzione dei propri strobili coperti di scaglie, la ragione non è necessariamente affine a chi incolpa gli scoiattoli della propria condotta. Piccoli e vivaci mammiferi, maestri arrampicatori, che raggiungendo le propaggini esterne dei rami afferrano tali doni della natura. E masticando selvaggiamente ne strappano brandelli, ne fanno laceri torsoli e ad un certo punto li gettano rovinosamente a terra. Più che ogni altra cosa questa è la legge, o se vogliamo un danza, incisa a lettere di fuoco nell’albo storico dell’evoluzione. Ove ogni cosa succede per una ragione e qualora ciò non possa verificarsi per un tempo abbastanza, lungo causa ed effetto scaturiscono rinnovati, imparando nei secoli a reiterare la propria progressione inerente. Prendi il caso per fare un esempio, di una foresta di sempreverde per così dire “asciuridi”, maniera in cui il gergo scientifico si riferisce a quei luoghi scevri di roditori, per uno vantaggio ecologico frutto di esoteriche coincidenze. Eppure in quegli alti recessi, apparentemente in regola, un ipotetico osservatore potrebbe notare che non tutte le pigne appaiono identiche. E non tutte contengono la stessa quantità di pinoli! Come se qualcuno avesse introdotto uno strumento apposito nelle intercapedini pertinenti. Compiendo il gesto parzialmente rotativo, di un pratico quanto funzionale avvitamento, che parrebbe idealmente appartenere ad un intelligente primate con tanto di pollici opposti alle rimanenti dita. Per coloro che non conoscono, grazie ad eventuali esperienze pregresse, l’opera altamente specializzata del crociere (gen. Loxia), passeriforme appartenente alla famiglia dei Fringillidi, non più lungo di 20 cm ma che può avere un effetto decisamente imponente sui mutamenti effettivi di una persistente situazione boschiva. Questo grazie ad un tratto somatico del tutto unico: il disallineamento, piuttosto pronunciato, della propria mascella e mandibola, ovvero le due parti sovrapposte del becco di cui possiedono l’utilizzo esclusivo. Il che tende a donargli un aspetto al tempo stesso insolito e vagamente inquietante, poiché sembra la conseguenza di una diffusa tipologia di deformità collettiva. Finché non si nota l’efficacia notevole del suo utilizzo elettivo, mentre supera agevolmente il principale ostacolo sulla via del quotidiano approvvigionamento per ciascun rappresentante di categoria, i loro familiari, la stessa prole che attende pazientemente nel nido…
L’antilocapra che costituisce l’animale più riconoscibile delle foreste giapponesi
Terra dalla storia non del tutto lineare, capace di raggiungere una sostanziale unificazione soltanto verso gli albori della nostra epoca Moderna, il Giappone ha sempre posto su di un piedistallo il fondamentale concetto di Wa (和) armonia. Pace ed uniformità all’interno di un gruppo sociale, non importa quanto vasto, ma anche la corrispondenza univoca tra i reciproci fattori culturali eminenti. Antico e moderno. Razionale ed onirico. Progresso e natura. In modo largamente parallelo ma talvolta, nel caso di appropriati allineamenti, tutto assieme ed allo stesso tempo così come potrebbe giungere a testimoniare il Capricornis crispus o kamoshika, animale con gli zoccoli fessi, ghiandole odorifere sul muso e due piccole corna rivolte all’indietro, dall’aspetto falsamente inoffensivo così come il tipico sguardo che rivolge agli escursionisti nel suo territorio elettivo. Creatura solitaria, riservata, questo serow (dal nome assegnato agli appartenenti tassonomici allo stesso genere nel resto dell’Asia) trascorre infatti buona parte delle sue giornate a sorvegliare il paesaggio da un luogo elevato, pronto a palesarsi, dall’improvviso, tra le fronde soffiando e sbuffando un peana minaccioso all’indirizzo di coloro che minacciano la propria posizione di predominio. Capacità derivante in buona parte dal possesso altamente distintivo di un pié leggero e l’eccezionale agilità che ne caratterizza gli spostamenti, al punto da essere fantasiosamente associato alla figura semi-storica del ninja o shinobi, leggendario agente delle ombre in grado di mimetizzarsi e agire in base agli ordini del suo signore. Personaggio amato e al tempo stesso emarginato dal mondo civile e tutto ciò che questo simboleggia, un destino che allo stesso modo sembrerebbe aver condizionato gli ultimi 3 o 4 secoli di vita per il nostro amico caprino. L’animale era noto già storicamente per la sua carne e la pelle pregevole, come menzionato già nel Nihon Shoki (Cronache del Giappone) dell’VIII secolo, in merito ai doni diplomatici inviati dall’Imperatore di Yamato ai suoi magistrati di maggiore importanza. Per poi comparire di nuovo, possibilmente, nella raccolta di poesie waka dell’epoca immediatamente successiva del Man’yōshū (le Diecimila Foglie) ove si narra di un gruppo di shishi (capre) che si aggiravano nella foresta. Ma i suoi problemi maggiormente seri sarebbero iniziati successivamente, quando durante l’epoca Edo per i concetti importati della medicina tradizionale cinese si cominciò a credere che estratti ricavati dai suoi organi potessero curare diverse afflizioni dell’organismo umano. Favorendo una caccia ad ampio spettro, ulteriormente incrementata con il beneplacito degli agricoltori ed in modo particolare gli amministratori di terreni custoditi con finalità di produzione del legname, ove la loro abitudine di consumare teneri virgulti tendeva a causare l’impossibilità di pianificare adeguatamente un raccolto. Almeno fino all’introduzione nel 1934 di una legge per la protezione delle Proprietà Culturali e la nomina a importante simbolo nazionale, benché all’epoca gli esemplari rimasti fossero soltanto qualche centinaio distribuiti tra le isole di Honshu, Kyushu e Shikoku. Ma la fortuna di queste creature, in quel momento, stava per subire una brusca risalita…
Battaglia tra le piccole fessure del deserto: la formidabile presenza del planigale
Quando l’asse dell’inclinazione variò impercettibilmente, nel momento in cui la composizione dell’atmosfera terrestre mutò di alcuni atomi latenti, alla caduta di un corpo celeste come possono avvenirne dozzine all’interno di una singola era geologica, interi ecosistemi crollarono, gruppi di specie cessarono di esistere, l’equilibrio di forza tra le forme di vita venne scardinato via, letteralmente, dalle solide mura dell’edificio. Questo poiché la selezione naturale, di suo conto, non era preparata. Riuscite ad immaginare, da un punto di vista fisico, qualcosa di più forte di un tirannosauro? Le fauci gigantesche con le arcuate zampe, capaci di spingerlo all’indirizzo della preda con la velocità paragonabile a quella di uno scooter di piccola cilindrata. Possente, ma mai imbattibile. Poiché soltanto ad un’analisi superficiale, la presenza fisica riesce a costituire l’intero romanzo storico di un animale. La cui vicenda ed ultima risoluzione sono l’effettiva conseguenza, da un punto di vista pratico di multipli eminenti fattori di contesto. Non è il dominatore nessun altro, che il più terribile divoratore… Del suo contesto. E ciò che è molto piccolo può anche riuscire a sopravvivere. Dove creature molto più imponenti, già da molto tempo, avrebbero gettato la spugna dell’estinzione. Minuto, compatto, insignificante come il Planigale ingrami da 60 mm di lunghezza, 4,2 grammi di peso, tali da farne il più piccolo marsupiale dell’Australia e del mondo. Nonché il più piccolo mammifero, probabilmente. In quello che potremmo agevolmente definire come con caso di convergenza evolutiva nei confronti del topo pigmeo africano, le cui somiglianze in termine di dieta, comportamento e predisposizioni risultano del resto essere notevolmente diverse. Difficile in effetti immaginare, qui o in altre circostanze, un predatore più famelico ed al tempo stesso efficiente di questo, capace di suddividere i propri cicli diurni e notturni tra frequenti pause letargiche, come fatto dai pennuti colibrì americani, e frenetiche spedizioni di caccia, capaci di renderlo il terrore incontrastato di ragni, scorpioni, scarabei e millepiedi. Creature capaci di risultare, nel più arido e vasto continente meridionale, tanto spesso più grandi di lui. Ed è un vero spettacolo vedere l’agile aggressore che gli balza addosso, agguantandoli con le sue manine dai metatarsi allungati, mentre si affretta ad ucciderli con uno o due morsi della mandibola dalla forma piatta ed allargata. Incorporata nel progetto di un cranio che potremmo definire tra i più aerodinamici del mondo naturale, la cui sommità non supera i 4 mm di distanza dal suolo, come accorgimento particolare a intraprendere il tipo di avventura che l’animale, nella maggior parte delle circostanze, è stato preparato a intraprendere in una nicchia ecologica estremamente definita: escursioni tra il duro terreno spaccato dal sole del Territorio del Nord ed il Queensland, unico luogo riparato dal calore accumulato nelle ore diurne persino dopo il calar del sole, quando iniziano le ore preferite dal piccolo aggressore d’insetti del sostrato latente. Incolpevoli soggetti della predazione, cionondimeno condannati dalle caratteristiche inerenti del proprio stesso luogo di permanenza…