La percezione non così diffusa, in senso opposto a ciò che si potrebbe prevedere, che questo particolare genere di rettili non più lunghi di un metro costituisca uno dei principali misteri biogeografici mai affrontati dall’uomo. Verdi erbivori dotati di un codice genetico non del tutto compatibile con quello delle iguane del Nuovo Mondo. Ma dimostratisi capaci, da un periodo stimato di non più di 35 milioni di anni, di prosperare in uno dei luoghi più remoti della Terra; l’arcipelago all’estremità dei luoghi emersi abitabili, che si proietta come un avamposto nel più grande e azzurro oceano terrestre. Brachylophus, dal greco “corta cresta” è l’appellativo scelto al tempo della prima classificazione nel XIX secolo, di un gruppo di creature in grado di sfidare al tempo stesso ragionevolezza ed immaginazione. Poiché per raggiungere le Fiji oltre l’Australia avrebbero dovuto attraversare dalla patria iguanide americana, circa 100 milioni dopo l’avvenuta separazione dei continenti, acque inesplorate per un tratto di 7000-9000 miglia. Come? Proprio questa è la domanda.
Osservando d’altra parte una di queste creature, appartenenti a quattro specie distinte attualmente riconosciute, lo scienziato nota talune caratteristiche idealmente idonee a compiere l’impresa: un metabolismo lento, la capacità di trarre idratazione dal cibo, la presenza di ghiandole adatte a filtrare il sale dall’acqua all’interno delle strette narici. Il che rende l’ipotesi di un attraversamento a bordo di grovigli di vegetazione, possibilmente spinti a largo da un qualche tipo di catastrofica inondazione, plausibile sebbene non ancora probabile. Come anche affermato in uno studio del 2009 di Brice P. Nolan e colleghi, mirato ad affermare l’ipotesi alternativa che la presenza dei lucertoloni sulle isole abbia seguìto semplicemente la prima colonizzazione umana. E che la datazione pregressa di tale presenza tassonomica sia stata lungamente sopravvalutata dagli scienziati. Il che non entra, se vogliamo, nell’effettivo nocciolo della questione; per il modo in cui le iguane delle Fiji risultano come la conseguenza di un processo evolutivo ben preciso. Che le ha viste, almeno fino all’introduzione in epoca recente di capre, gatti e topi dalle navi del colonialismo moderno, come assolute dominatrici mansuete del proprio ambiente. Perfettamente erbivore in natura, capaci di arrampicarsi sugli alberi e mimetizzarsi tra le fronde, senza nemici naturali degni nota mentre abitano le alture aride dell’entroterra. Dove le diverse specie, paradossalmente, trovarono attraverso il trascorrere di lunghi millenni l’opportunità di differenziarsi. Per sfuggire all’approfondimento della scienza in misura e con capacità tale, che ancora nel 1980, all’uscita nelle sale del film Laguna Blu, taluni membri della produzione restarono colpiti dall’avvistamento di un’iguana svelta tra l’erba. La cui natura, successivamente, sarebbe stata associata all’appellativo B. vitiensis, di una varietà formalmente sconosciuta al mondo accademico fino a quel fatidico momento…
rettili
Entra in una mano, l’arboreo e variopinto alligatore della foresta mixteca
Tra le meno conosciute rappresentanti del subordine degli anguimorfi, i cui membri più imponenti includono i varani ed il mostro di Gila, le lucertole del Nuovo Mondo del genere Abronia si distinguono in modo particolare per la propria sfortunata, alta desiderabilità nel commercio internazionale di rettili a scopo di collezionismo. La motivazione è duplice è può essere rintracciata nelle loro dimensioni contenute, inferiore nel caso delle varietà maggiormente apprezzate ai 15 cm di lunghezza (coda inclusa) ed il loro aspetto indubbiamente memorabile, caratterizzato da una disposizione delle squame sovrapposte, che ricorda vagamente quella dei dinosauri o in alternativa, l’armatura di un cavaliere del nostro Medioevo. Insettivore, preferibilmente notturne, arboricole ed inclini al mimetismo in tenera età, causa predazione da parte degli uccelli tra cui la temibile averla impalatrice, esse non possiedono tuttavia particolari strategie d’autodifesa fatta eccezione per la capacità di gettarsi repentinamente a terra, riuscendo a sopravvivere nella maggior parte dei casi. Detto ciò, trascorso il periodo giovanile caratterizzato dalla livrea tendente al marrone spento simile ai tronchi degli alberi, virano nel caso della tipologia messicana gradualmente verso una colorazione maggiormente accesa, che vede i maschi di un acceso color smeraldo e le femmine tendenti al verde acqua o un azzurro simile al mare d’estate. Forse con intento aposematico, magari per la percezione istintiva delle creature troppo visibili come potenzialmente lesive e velenose, una percezione in questo caso erronea che ha portato le popolazioni locali a soprannominare le Abronia come escorpion de arbol, scorpioni degli alberi. Particolarmente presso gli altopiani della zona Sierra Madre de Oaxaca, ove risiede la specie non simpatrica ad altre delle A. graminea, così chiamate dal naturalista E.D. Cope a partire dal 1864, con probabile riferimento alle piante graminacee sopra cui egli ne aveva avvistato i primi esemplari. Questo nonostante le lucertole alligatore siano maggiormente associate, quanto meno nell’osservazione moderna, alla famiglia delle bromeliacee utilizzate localmente per l’alimentazione umana fin dai tempi delle popolazioni Inca ed Azteca. Uno studio scientifico stranamente limitato nel corso delle decadi, tanto che oggi possiamo vantare una conoscenza tutt’altro che approfondita in merito alle abitudini e caratteristiche di buona parte delle 29 specie riconosciute, principalmente derivanti dagli esemplari tenuti, loro malgrado, in cattività. Tali da farne un animale domestico le cui esigenze vengono generalmente soddisfatte da ogni punto di vista, benché le circostanze della vita all’interno di un terrario risultino essere raramente ideali…
Lucertole spavalde: la grande bocca dell’agamide dal sinistro sorriso
Tra le aride sabbie dei deserti afghani, iraniani, turkmeni, tajiki, kirghizi ed uzbeki, un piccolo tiranno domina superbo il proprio territorio, largamente inconsapevole di misurare appena 20-24 cm di lunghezza. Che non è poco in termini generali, ma neppure abbastanza per poter agevolmente sopravvivere all’assalto di serpenti, grossi roditori, rapaci e gli altri rari, ma agguerriti predatori dell’entroterra più estremo d’Oriente. Luogo dalle condizioni ecologiche e ambientali alquanto estreme, così da incoraggiare la continuazione di fenotipi altrettanto distintivi e privi di effettivi termini di riferimento. Esistono, del resto, almeno 33 specie di creature appartenenti al genere Phrynocephalus, carnivore e insettivore abitanti pertinenti alla famiglia degli agamidi, capaci di occupare nicchie ecologiche del tutto simili a quelle delle loro cugine dei continenti d’Africa ed Australia. Ma nessuna può vantare, in assoluto, un aspetto simile a questo: la P. mystaceus; lucertola “segreta” dalla testa di rospo, con zampe lunghe e coda attorcigliata, le cui strategie d’autodifesa e confronto tra maschi includono un tipo di trasformazione che non sfigurerebbe tra i draghi fantastici o antichi dinosauri del mondo perduto. Mentre la bocca si spalanca, i piccoli e aguzzi denti bene in mostra, le guance aperte a soffietto nella ragionevole approssimazione di un fiore: rosso, seghettato, impressionante. L’effetto non è poi così dissimile da quello della lucertola dal collare, che estendendo l’ornamento membranoso da cui prende il nome tenta di sembrare maggiormente imponente. Laddove il ben più piccolo agamide, piuttosto pare ricercare una dimostrazione aposematica di terrore latente. La trasformazione in essere mordace, non del tutto privo di capacità di arrecare danno al nemico ed accompagnata dal sollevamento della coda spiraleggiante, in un modo che ricorda in senso pratico il gesto aggressivo di uno scorpione. O spaventare i propri simili, vista la natura inerentemente territoriale dei maschi appartenenti a questa specie, notoriamente inadatti a condividere spazi ristretti all’interno dei terrari dove qualche volta gli capita (ahimé) di trascorrere la propria intera esistenza. Un destino spesso motivato tramite la cattura in ambiente naturale di ciascun singolo esemplare, vista la loro poca propensione a riprodursi in cattività. E l’ulteriore approccio di cui dispongono, al fine di sfuggire dallo sguardo di occhi e mani particolarmente indiscrete. Una metodologia impiegata per proteggere se stessi, che potremmo definire l’invincibile ed imprescindibile strategia di Shai Hulud…
La morte riscoperta che s’incontra serpeggiando a Yamma Yamma Trail
Il 15 settembre del 1967 in Australia, una guida turistica nota unicamente come Mr. C. decise impropriamente di fare qualcosa di affascinante per il suo gruppo in visita a Channel Country. Avendo scorto un’ombra in mezzo all’erba rada del bush, si avvicinò di soppiatto alla figura lunga quasi due metri di un serpente. E tentando di afferrarlo, finì suo malgrado per essere morso a una caviglia. Una contingenza molto sconsigliabile dato il colore marrone e le scaglie romboidali dell’impressionante creatura, sufficienti ad identificarli come un rappresentante altamente velenoso dei taipan (gen. Oxyuranus). Quello che costui, nessuno dei presenti e neanche i medici dell’Elizabeth Hospital, dove sarebbe stato trasportato d’urgenza in eliambulanza potevano inizialmente sapere tuttavia, era che l’effettiva specie dell’animale ucciso e prelevato dai presenti sarebbe stato in seguito identificato retroattivamente come un qualcosa di assolutamente “speciale”. Un rettile la cui odierna qualifica come singolo strisciante dal veleno più potente al mondo avrebbe necessariamente suscitato in Mr. C. una considerevole, ed ulteriore dose di pessimismo. Ciononostante, pur mostrando i sintomi temporanei di una myasthenia gravis con paralisi dei muscoli facciali e difficoltà respiratorie per due settimane, sintomi aggravati dall’impossibilità di somministrare un siero a causa di reazioni allergiche pregresse, egli sarebbe stato infine dimesso per sua fortuna potendo ritornare alla vita di prima. Con un rinnovata, salubre rispetto nei confronti dei serpenti australiani. Soltanto anni dopo, inviando l’esemplare preservato presso l’occhio scrutatore del naturalista Eric Worrell, sarebbe stata infine negata la sua originale qualifica come O. scutellatus o taipan costiero, associandolo piuttosto alla specie ormai quasi dimenticata dell’O. microlepidotus o taipan dell’entroterra, non più avvistato dopo la sua prima descrizione scientifica nel 1879. Una creatura destinata ad incontrare il soprannome di fierce snake (serp. feroce) non tanto in funzione del suo temperamento bensì la straordinaria pericolosità del suo armamento chimico, contenente un cocktail estremamente complesso di tossine in grado di attaccare nel contempo muscoli, sangue e sistema nervoso, con dolori lancinanti, paralisi, danno agli organi ed un rischio elevato di coaguli potenzialmente letali. Caratteristica affine a quella delle altre due specie esistenti di taipan (la terza scoperta nel 2007) ma in questo caso aggravato dalle dimensioni del portatore e le sue affinate strategie di caccia, che prevedono un’alta quantità di morsi portati a segno in un singolo attacco e grandi quantità di veleno iniettate ogni singola volta. Un approccio d’uccisione attentamente calibrato sulla necessità di sopravvivere in un ambiente tanto inospitale e dalle temperature così elevate come l’entroterra del continente meridionale, dove le ore utili alla caccia sono limitate all’alba e al tramonto, mentre le prede principali disponibili includono topi, bandicoot e le varie specie di ratti nativi del bush. Esseri la cui cattura non è sempre facile, o priva di pericoli come si potrebbe tendere a pensare…