Il bruco verde della falena falco sudamericana (Hawk Moth), appartanente alla famiglia delle sphingidae, ha una strategia di difesa che potrebbe ricordare una favola di Esopo o dei fratelli Grimm. Strisciando nel sottobosco o sugli alberi delle foreste boliviane, accumula spensierato le sostanze nutritive di cui avrà bisogno per crearsi un bozzolo, al fine di trasformarsi un giorno in lepidottero alato. Ma se un qualche incauto predatore dovesse disturbarlo prima del momento della verità, nel giro di un istante può mettere in atto un terribile travestimento, originale e scenografico, che il più delle volte basta a salvargli la vita. Ritraendo il capo, gonfia il torace e ruota il corpo di 180 gradi, sollevandosi sulle goffe zampette posteriori per assumere l’aspetto di un serpente pronto all’attacco. Questa è la forma finale dell’Hemeroplanes triptolemus, l’unico bruco al mondo in grado di diventare vipera velenosa. I grandi occhi sono in realtà macchie nere disposte ad arte, mentre le “scaglie” pieghe sulla superficie del suo dorso; ma per un vorace piccolo uccello, l’aspetto complessivo è più che sufficiente a togliere l’appetito. C’è un’antica storia che parla di animali striscianti e del ruolo fondamentale avuto dal frutto della conoscenza alle origini dell’uomo, usata spesso per affrontare i temi complessi della fiducia reciproca e dell’inganno: ma se il falso serpente della Genesi fosse stato uno di questi tranquilli bruchi, probabilmente, le cose sarebbero andate molto meglio. Perché la mela se la sarebbe mangiata lui. E poi…
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Il passero africano, grande costruttore di alveari
Questi piccoli uccelli sudafricani, della stessa famiglia dei passeri, hanno la capacità innata di costruire case-alveare su larga scala. Non a caso, il nido del Philetairus socius (Tessitore Socievole) si riconosce da lontano: ha le stesse dimensioni e l’aspetto di un gigantesco covone di fieno, sospeso a metri da terra, disposto ad arte sulla cima di un albero alto e spoglio. L’ideale, per loro, è un tronco senza appigli o rami bassi, come quello dell’acacia, dell’aloe o della capparea (l’albero del pastore) ma, come tutti gli altri esseri sociali, sono anche dotati di una certa intelligenza e capacità di adattarsi. A loro basta, in fondo, trovarsi al di fuori della portata di serpenti ed altri mangiatori di uova, i predatori naturali dell’arido ambiente sub-sahariano. Lo sa bene Dillon Marsh, il fotografo sudafricano che ha raccontato, in un’affascinante serie di fotografie, la più curiosa delle loro abitudini. Metter su casa, fra tutti i posti immaginabili… In cima ai pali del telefono. Se queste fossero tane di vespe o termiti, ci sarebbe ben poco da sorridere. Ma basta avvicinarsi per scoprire l’adorabile verità: centinaia di graziosi piccoli uccelli che vivono in colonia, come fossero i membri operosi di un soave e armonioso formicaio. Si ritiene che il progressivo ampliamento dell’infrastruttura telematica, giunta in quei luoghi insieme alla modernizzazione, abbia addirittura favorito l’aumento della loro popolazione, oggi più numerosa che mai.
Lo Scarabeo Tartaruga d’oro, re degli insetti
Nell’Epoca Antica, lo scarabeo dominava il mondo. Protettore del sommo faraone, accompagnava la sua anima nell’aldilà. Come talismano, in terracotta smaltata o metalli e pietre preziose, allontanava la sventura. Il sole sorgeva ogni giorno grazie alla più sacra esponente della sua specie: la dea del mattino, Khepri, usava infatti le sue zampe d’insetto per far rotolare il disco di Ra fuori dall’oltretomba, come succede, in senso certamente più prosaico, con la sfera di sterco e uova eternamente trasportata in giro dai suoi cugini terrestri, i coleotteri scarabaeus sacer. Tali creature, grazie alla loro ricca storia iconografica, rientrano ancora tra le tipologie più famose e celebrate fra tutti gli insetti. E questo nonostante lo scarabeo più bello del mondo, strano a dirsi, sia anche estremamente poco conosciuto.
Ma guarda! Il Sistema Solare è un vortice lanciato nello spazio
In questo progetto grafico animato di DjSadhu, basato sulle teorie dell’astrofisico indiano Pallathadka Keshava Bhat, si può constatare l’effetto visivo di un fatto largamente noto eppure spesso trascurato: il nostro Sole, come ogni altra stella, non occupa un punto fisso nello spazio. Non stiamo parlando dell’antico modello tolemaico, con la Terra al centro dell’universo e gli altri corpi celesti che gli ruotano intorno ma del semplice dato che l’immobilità, nel mondo naturale e cosmico, non esiste. Così come i pianeti girano intorno ai loro astri, quest’ultimi sono a loro volta parte di un sistema complesso e roteante, la galassia spirale barrata detta Via Lattea. Il tempo necessario perché il Sole percorra un ciclo completo di tale ambiente colossale viene stimato intorno ai 200 milioni di anni e nel contempo tutto ciò che si trova intorno a lui – le stelle vicine, le nebulose, i meteoriti, eccetera – si sposta nello stesso identico modo. Ciò significa che, da un punto di vista pratico orientato all’astrofisica umana, tale movimento è privo di alcuna conseguenza. Si tratta in sostanza dello stesso principio per cui, partendo dal terreno del nostro pianeta, uccelli ed aeroplani non devono preoccuparsi di rotazione e rivoluzione terrestri, già previste da un punto di vista inerziale nella loro traiettoria di partenza. Però personalmente, devo dire che se io vivessi su un granello di sabbia preso nel vortice di una palla di fuoco, sparata a 70.000 Km/h nel vuoto, vorrei saperlo…