Lo strillo penetrante della rana mangiatutto

Budgetts Frog

Quel dito, che dito. Gli occhietti della bestia, affioranti dall’acqua paludosa, lo seguivano con attenzione. Uno scatto fulmineo verso destra! Lei, rapida batrace, si ritrasse con fare minaccioso. Non pareva veramente spaventata, piuttosto, dimostrava un chiaro languorino. Gli uccelli tropicali e i molti insetti del Gran Chaco, schegge colorate d’ineffabile natura, cantavano la loro melodia. Spiccavano degli esseri umani tra le fronde, con due bianchissimi elmetti coloniali. Chinati su…Qualcosa. L’acqua si agitava, increspata da un leggero movimento. Si ode una profonda voce, dall’ineccepibile inflessione british: “Scommetto 2 sterline che non osi farlo” Mesi di viaggio, per terra e mare, li avevano portati a questo punto. L’esperto esploratore John Graham Kerr, laureato di Edimburgo, con il suo assistente, ancora un ragazzo, dentro agli occhi l’entusiasmo puro per la scienza. “Io non ce lo metto, quella morde” Rispose il primo. “Fallo e gli darò il tuo nome”. Gobble-gobble, fece la rana. “Allora O-K, mio stimatissimo collega”. D’un tratto i grilli tacquero, come fossero meditabondi.
Lo zoologo inglese John Samuel Budgett, nato 13 anni dopo la pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin, visse in un’epoca di grandi scoperte e classificazioni. Ben volendo fare la sua parte, viaggiò fino in Gambia e risalì l’interminabile fiume Niger, alla ricerca del mitico polipteriforme, un pesciolino primitivo, cardine fondamentale per la mappatura dell’evoluzione. A causa delle molte peregrinazioni, tra cui la spedizione in Sudamerica di Kerr, contrasse la malaria in gioventù. Nonostante questo, da patriota convinto quale era, contribuì all’addestramento dei soldati da inviare presso il secondo fronte Boero. Morì a soli 32 anni, lasciandoci parecchie cose. La più buffa, probabilmente, è proprio questa qui. Misura circa 13 cm.
La creatura verde oliva della palude boliviana si erse sulle zampe posteriori, balzando goffamente fuori dallo stagno. Bella cicciottella, era, con la bocca larga quanto il corpo. La spalancò feroce. La sua mascella superiore, come quella di un serpente, si presentava con parecchi denti sottilissimi ed aguzzi. In opposizione a questi, sulla mandibola, due zanne puntute da ippopotamo, rivolte verso l’alto. La tecnica del dito non fallisce mai. “Oh, crickey!” Fece Budgett, tirando indietro il braccio. “Uno, due, tre, quattro…Ci sono ancora tutti.” Kerr pareva ipnotizzato: “Credo che stia per…” Fu in quel momento memorabile, che la ranocchia per la prima volta urlò.

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Clicca 100 volte per produrre l’Universo

s Game of Life

Tu, veterano degli strategici in tempo reale. Che tracci cerchi con il mouse, sagome insidiose tra le valli dalle molte icone incandescenti, emblemi di una classe o di una skill. Conquistatore dei famelici hydralisk, sconquassatore delle torri poste a guardia di una base, verso la sconfitta degli Antichi o degli eroi. Fermati un secondo ad ascoltare. Forse ancora non conosci un certo misterioso, arcano campo di battaglia. Eccolo qui. Cliccalo. È soltanto “Il Gioco della Vita” e nulla più. Del matematico John Conway, per la precisione.
Proviene, questo strano videogioco, dai remoti anni ’70. Fino ad allora, nell’immaginario collettivo, la migliore battaglia simulata poteva dirsi quella degli scacchi. E in questa meraviglia digitale si può ancora ritrovare, del resto, qualche vaga somiglianza: la matrice di caselle, l’importanza dei singoli pezzi all’interno di un sistema…Ma ciò che conta maggiormente, quello che colpisce l’immaginazione, non è il metodo procedurale, bensì l’identità cangiante dei due diversi giocatori. All’inizio, questo gioco è come una storia, di persone come noi che affrontano se stesse, costruendo la struttura di partenza. E invece poi diventa l’Universo, in trepidante gara contro l’entropia. Si tratta, per usare un termine formale, del più famoso automa cellulare della storia. Potrebbe quasi definirsi un Tamagotchi, se non fosse tanto truculento.
Nel Gioco della Vita, come nel codice binario, esistono due stati. Acceso e spento (morto). Per capire meglio il suo funzionamento, cominciamo a definirli. Una casella spenta con esattamente tre vicini accesi, nasce. Se in un qualsiasi attimo della sua vita, per un vezzo del destino, si ritrovasse ad averne uno in meno, muore. Per isolamento. Se ne ha di più, muore, per sovraffollamento. So it goes. I turni passano, le epoche fuggono via.

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Artigli di mantide tra fiori d’orchidea

Mantide orchidea

Non è l’agnello. Non è la lepre, il cinghiale, il cervo, non il passero né lo scoiattolo vivace, concentrato sui preparativi per l’inverno, a suscitare il nostro senso d’empatia. Ma il crudele predatore, specie nella sua accezione più domestica, come il fidato cane, attento a ogni dettaglio, oppure il gatto scaltro e malizioso. Perché questo siamo noi, dal punto di vista naturale, i carnivori supremi. E se poi ti piacciono gli insetti…Ecco, gli orologi battono le sei. Tra gli alberi della foresta pluviale, immobile come una pietra, un lupo solitario attende la sua vittima predestinata. Si dondola nel vento, al suono ritmico di fronde tenebrose. Lancia sguardi verso sera. Sale sopra un ramo. Preparandosi all’agguato, irrigidisce le sue zampe posteriori. Il cielo del tramonto, gradualmente, sta diventando quasi rosa. Anche la mantide orchidea, cangiante. Al centro del suo capo, alquanto stranamente, c’è una verde coroncina.
Questa creatura, appartenente alla specie hymenopus coronatus, parrebbe quasi uscita dagli appunti di un botanico: ha quattro zampe lucenti come petali, più due appendici raptatorie, arti specializzati ricoperti di affilati artigli. I suoi occhi bulbosi, efficientissimi, sono sormontanti da una coppia di piccoli baccelli, splendidi pistilli della perdizione. Ed è una creatura così bella, tanto realistica nel suo mimetismo, che mosche, api, calabroni la cercano spontaneamente, andando incontro, povere loro, ad una fine prematura.
Vive nel Sud-Est asiatico, fra Vietnam, Malesia ed Indonesia, paesi da cui viene spesso esportata verso l’Occidente, allo scopo di finire nei terrari dei suoi molti ammiratori. Non è a rischio d’estinzione. Nasce nella forma assai poco invitante di una ninfa rossa, simile ad una formica, che poi cresce nelle dimensioni, cambiando il suo esoscheletro per ben 7 volte; a quel punto, in genere, è pronta per l’accoppiamento. La mantide orchidea, da che mondo è mondo, si riproduce facilmente, anche in cattività.  Quindi, per inciso, bisognerebbe averne almeno due. Quando viene quel momento, la femmina si costruisce una sacca rigida e filamentosa, detta ooteca, in cui depone fino a 100 uova. C’è solo un piccolo problema. Proprio allora, lei tende a sviluppare un certo languorino.

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Sculture-formicaio create grazie all’alluminio

Ants cast

Uno strano alberello di Natale, questo qui. Tanto per cominciare, non ha gli aghi. Sfoggia il colore argenteo di un vassoio in sterling, però pesa quasi nove chili. Appoggiato sopra a una robusta base ovale in legno, per oltre 40 cm si sviluppa in ramificazioni capillari, bulbi globulari, blocchi granulosi. L’asimmetria di una scultura che ha, o per lo meno aveva, uno scopo estremamente definito: viverci dentro…Tastando i pavimenti con le mandibole, strofinandosi le antenne, prima di metterci 6 zampe, l’una dopo l’altra, in cerca della camera della Regina. Perché per esplorarlo dall’interno, se non fosse ancora chiaro, bisognava essere formiche. Per farlo adesso, usando invece gli occhi, basterebbe metterlo sul caminetto, così, girato all’incontrario.
Avete mai dovuto condividere gli spazi personali con le valide esponenti della specie myrmicinae? Piccole instancabili creature, che camminano dovunque, esplorano i pertugi, si mangiano quello che gli riesce di trovare. Dove ce n’è una, presto ne arrivano dozzine, centinaia. “Operaie” dell’appropriazione indebita. Guerriere pronte a una crudele auto-immolazione! Fuchi volanti, sciamati sulle lampade o i televisori! E c’è anche di peggio, come queste solenopsis, le altrimenti dette formiche del fuoco. Dal morso velenoso, doloroso, fonte di ulcere o rischiose anafilassi. Oh, my! Non dentro al mio giardino! Qualcuno potrebbe pure innervosirsi, scavare una buca nel terreno, scaldarla fino a 660 gradi celsius, squagliarci l’alluminio, riversarlo dentro a un crogiolo e poi mettere in pratica la sua vendetta. Un piatto da servire caldo, anzi caldissimo.

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