Fu circa 2 milioni e mezzo di anni fa, nel pieno mezzo dell’età del Paleolitico, che il cacciatore primitivo, con sua somma sorpresa, si accorse di possedere una straordinaria capacità: quella di provare un senso d’empatia verso le cose inanimate, purché fossero in cerca di un bersaglio, reale o percepito. Il merito, idealmente, potrebbe darsi all’invenzione di arco e frecce. Di strumenti da scagliare, prima di allora, già ne avevamo conosciuti molti: pietre affusolate, tozzi giavellotti fatti con costole di tigri, rudimentali ma aerodinamiche asce di selce e così via. Però fu soltanto dal fortuito incontro tra flettenti e corda, nonché tramite l’introduzione del concetto d’impennatura, che per la prima volta parve quasi di volare assieme ad una freccia. L’assoluta identificazione fra la persona e il suo strumento, da che abbiamo testimonianze scritte, è un caposaldo di tutte le civiltà, che siano pacifiche o guerriere.
Quello che gli antichi ancora non sapevano, perché mancavano le risorse tecnologiche, è come tale sforzo facilmente comprensibile potesse diventare puramente astratto, ovvero tramutarsi nella ricerca di una cifra, piuttosto che di quel punto fisico da flagellare. Che nello specifico, vedi questo caso, si potesse perseguire, invece della selvaggina, un’immane velocità: 330 Km/h, da raggiungersi con l’ausilio di rombanti quattro rotelline. Così nasce, negli anni ’30, la formidabile tether car, questo giocattolo per coraggiosi. Erano i tempi in cui l’aviazione faceva passi da gigante, con attraversamenti di mari, oceani e continenti, quando i motori diventavano sempre più grandi, le ali più robuste e insieme ad esse, inevitabilmente, cresceva la diffusione dei modellini radiocomandati. Bimotori, biplani e altre meraviglie in scala, da controllarsi a distanza, stavano entrando per la prima volta in tutte le case (di chi poteva permetterseli) con somma gioia di grandi e piccini, soprattutto negli Stati Uniti. Proprio lì nacque, grazie all’operato di due fratelli, questa forma di automobilina iperveloce, che montava, tradizionalmente, il motore a benzina di un aereo. E si trattò fin da subito di un successo, perché questi modellini, molto spesso, erano più veloci di un’auto omologata.