È il tipo di abbeveratoio in plastica rossa e trasparente appeso tanto spesso nelle Americhe, dai possessori di giardini amanti degli uccelli. O più semplicemente, dell’imprescindibile bellezza della natura: non è facile riuscire a immaginare, in effetti, qualcosa di più splendido di schiere di Trochilidi, gli uccelli cosiddetti Apodeiformi, che fluttuano leggiadri grazie al battito ultra-rapido delle proprie ali cangianti. Lo stesso oggetto che possiamo ritrovare, fuori e dentro la campagna, con la massima concentrazione tra Wellington ed Auckland (Isola del Nord) essendo come un faro nella notte per coloro che perennemente cercano una fonte di nutrimento. A ben vedere tuttavia, tale orpello appare in questo continente di una dimensione almeno raddoppiata, volendo essere il punto d’approdo per un differente tipo di pennuto, il cui punto di contatto principale è la dieta. Benché a ben guardare, con la luce in posizione obliqua, esso appaia non del tutto privo di una qualità cangiante, tendente al verde, marrone ed azzurro, frutto di strutture nelle piume invece che dei semplici pigmenti, affine agli agguerriti volatori del Nuovo Mondo. Fatta eccezione per il curioso ornamento bianco e tondeggiante formato da due piume sotto il collo. Eppur non fluttua in posizione librandosi il tūī (nome nativo) o Prosthemadera novaeseelandiae (nome latino) anche e soprattutto per il peso di 65-150 grammi, conseguenza della sua lunghezza pari a un massimo di 32 cm che risulta sufficiente a farne un passeriforme dalle dimensioni medio-grandi. Preferendo piuttosto posarsi ed aggrapparsi ai rami, spesso anche in posizione capovolta, mentre immerge il proprio becco curvo nella dolce coppa floreale o i frutti appesi all’albero bersaglio. Quando non esprime tutta la sua arte, nell’emettere una straordinaria serie di vocalizzazioni, più complesse e realistiche anche di quelli prodotti da una myna, quel leggendario cantore aviario proveniente dal subcontinente indiano. Per non parlare dei “comuni” pappagalli, la cui potenza in termini di decibel potrà anche risultare superiore. Ma senz’altro non potrebbero, in maniera veramente convincente, inseguire la gamma udibile dell’eloquio umano. Laddove uccelli come questo riproducono in maniera convincente: canzoni, poemi, spiegazioni, discorsi. E addirittura il colpo di tosse occasionalmente prodotto dai loro connazionali umani, ancorché tale suono sembri essere per puro caso (?) una parte innata del repertorio comunicativo tra i propri simili in natura. Oltre che il sistema per marcare ed identificare il territorio di foraggiamento e costruzione del nido, che tendono a difendere con straordinaria aggressività, giungendo ad attaccare le agguerrite gazze e addirittura grossi psittacidi dal becco ricurvo, considerevolmente più grossi ed imponenti di loro. Un altro potenziale terrore, insomma, per i motociclisti locali. Abituati a scansare o sopravvivere alle reiterate picchiate di alcuni tra i più graziosi, eppure persistenti persecutori piumati…
ecologia
L’armata sferoidale degli scheletri fluttuanti nei mari del mondo
Candido segno identitario di una nazione, le scogliere di Dover hanno dato il benvenuto ai viaggiatori nelle Isole fin dall’epoca del tardo Cretaceo. Alte rocce, così come l’indice di rifrazione, habitat d’innumerevoli creature marine e volanti. Ma né piume, né pinne appartengono alle minuscole creature delle moltitudini, che attraverso i secoli e millenni si occuparono di modellare quel paesaggio nelle forme che possiede tutt’ora. Così come moltissimi altri, nell’intero estendersi dei continenti terrestri. Largamente ignoto al senso comune, il coccolitoforo è un tipo di alga unicellulare facente parte del plankton autotrofico (vegetativo) nel suo complesso responsabile della stragrande maggioranza del carbonato di calcio all’interno degli oceani. E come derivazione di ciò, anche dei depositi di gesso misto a pietra calcarea che spiccano in particolari località geografiche degne di nota. Null’altro che il residuo defunto, essenzialmente, delle innumerevoli generazioni trascorse di questi esseri galleggianti misurabili in nanometri, letterali decine dei quali entrerebbero sopra la punta di un singolo capello. Il che rende alquanto sorprendente, quando li si osserva al microscopio, la complessità e varietà di forme che emergono tra le diverse specie e non solo, visto come un singolo organismo possa variare sensibilmente nel corso delle diverse generazioni o fasi della sua unitaria esistenza. Nel modo in cui il suo organulo di Golgi, così chiamato dal suo scopritore italiano nel 1898, si occupa di calcificare le sostanze presenti in soluzione nelle acque, apprestandosi a formare il distintivo esoscheletro che accompagnerà l’intera esistenza di queste creature. Generalmente rappresentate a scopo divulgativo dalla specie cosmopolita Gephyrocapsa huxleyi, il cui aspetto visibile si presenta come un agglomerato di ciambelle perforate, ciascuna delle quali rappresenta nei fatti un singolo organismo. Mentre tutte quante collegate assieme, come si presentano comunemente in natura, prendono il nome di coccolitosfera, nella placida consapevolezza del più elevato grado di protezione, nonché solidità strutturale, derivante da tale particolare configurazione. Molte sono d’altronde le teorie, nessuna delle quali confermate, sul perché esattamente questi microrganismi tollerino il dispendio di una così elevata quantità di risorse, al fine unico di ricoprirsi di un’armatura che non serve a molto contro i loro nemici principali, piccoli pesci, zooplankton predatorio e larve di molluschi. Inclusa quella che vedrebbe un simile “vestito” come protezione da infezioni virali, piuttosto che ausilio al controllo della temperatura e del galleggiamento, piuttosto che una mera conseguenza collaterale del particolare approccio da parte dei coccolitofori alla produzione di clorofilla. Ciò detto, tale strategia evolutiva sembrerebbe poter vantare non soltanto effetti significativi sulla prosperità biologica dei suoi conduttori, ma anche la composizione stessa, ed il possibile destino futuro, dell’intero ecosistema marino del nostro mondo…
L’iniquo senso di sopravvivenza del più piccolo insetto volante al mondo
E se vi dicessi che adesso, in questo preciso momento, c’è una vespa nella vostra stanza ma non potreste mai riuscire a vederla? La ronzante e problematica creatura, che sopravvive a discapito di altri, controlla il territorio ed almeno in base allo stereotipo, usa il pungiglione per punire chiunque sia abbastanza stolto da tentare di scacciarla via con la mano… Talvolta, ma non sempre. La più corta via per il pacifismo sembrerebbe essere, in effetti, l’eccessiva piccolezza per pensare di poter riuscire ad impugnare un’arma. Sia anche quest’ultima, l’affilata spada incorporata nell’addome, completa di organo per la produzione ed immagazzinamento dell’odiato veleno. Ma quando misuri in media tra gli 0,5 ed 1 millimetro (ci sono esemplari, di sesso maschile, persino più minuti) come potresti mai aspirare di riuscire a contenere un simile comparto di organi e di cellule specializzate? O anche un cuore, sangue, emolinfa, il comune metodo di presentarsi di un cervello o apparato di gangli utilizzati per il pensiero. Ciò benché la vespa mimaride anche detta “mosca fatata” (Fairy Fly), una delle 1400 specie appartenenti ai 100 generi che abitano in tutti i continenti escluso l’Antartico, nasca già perfettamente in grado di eseguire un preciso copione scritto nelle pagine di fuoco dell’evoluzione animale. Quello che caratterizza, alla stessa maniera, gli altri praticanti del parassitismo neonatale, o deposizione delle proprie uova in corrispondenza di quelle di altre creature appartenenti alla popolazione onesta di questo diversificato pianeta. Un approccio, nel caso specifico, niente meno che fondamentale nonché la ragione stessa per l’esistenza delle nostre piccole amiche, le cui larve non potrebbero altrimenti disporre di risorse energetiche sufficienti all’interno delle proprie minuscole capsule deposte dall’industriosa genitrice. In un sistema di suddivisione dei compiti tra i sessi che tende al più estremo dimorfismo non soltanto nelle dimensioni, ma anche nella conformazione anatomica del maschio spesso privo di ali, articolazioni complesse delle zampe ed altre capacità che sollevarsi lievemente dal sostrato vegetale o della corteccia. Attendendo pazientemente, per un periodo massimo di un giorno o due senza neppure l’abilità di nutrirsi che l’amata intenta nel proprio volo nuziale colga l’opportunità per catturare il codice genetico necessario all’effettiva produzione di una prole. Ancorché sia necessario specificarlo, la differenziazione delle generazioni non sia proprio il punto forte di questi insetti, per cui la riproduzione si verifica nella maggior parte dei casi dall’accoppiamento tra fratelli e sorelle, fatta eccezione per i singoli esemplari più forti ed avventurosi, capaci di farsi trascinare via dal vento verso l’albero più vicino. Quando non risulta addirittura autonoma negli esemplari femminili, grazie all’utilizzo della tecnica della partenogenesi (sp. Polynema euchariformes). Questo perché la vespa mimaride, spesso ma non sempre, dispone di ali molto diverse da quelle possedute dai loro simili più grandi, prive di membrana e simili nella realtà dei fatti più che altro ad una singola piuma, essendo formate da un singola estrusione oblunga ricoperta di peli vibranti. A meno di appartenere ad una varietà attestata in zone territoriali ove la compenetrazione di correnti eoliche tende ad essere eccessivamente sviluppata. E tali “vele” corporee potrebbe trasformarmi in un immediato quanto inevitabile paracadute sempre pronto ad aprirsi…
La seducente narrazione che accompagna il raro e misterioso lamantino africano
Come si può facilmente desumere dal termine latino usato al fine d’identificarne i membri, la famiglia dei sirenii ha lungamente generato, nei territori facenti parte del proprio habitat, numerosi miti e leggende tra le diverse popolazioni. Composta unicamente da due famiglie superficialmente simili tra loro, essa le vede essenzialmente suddivise per diffusione tra la parte occidentale e quella orientale del globo terrestre. Così il lamantino (fam. Trichechus – nessuna relazione col pinnipede dalle lunghe zanne) si distingue dal dugongo (fam. Dugongidae) per una serie di tratti geneticamente significativi, quali l’assenza nel primo della terza vertebra cervicale, la forma tondeggiante della coda piuttosto che a freccia e la posizione più arretrata delle narici, nel modo lungamente osservato dai naturalisti presso il meridione degli Stati Uniti, ove sopravvive con difficoltà lungamente note la sottospecie T. manatus latirostris, popolazione distinta di quella situata nel Golfo del Messico. Ciò che molti non sanno, tuttavia, per la natura remota di taluni territori africani e la difficoltà nell’esplorarli, oltre alla natura riservata di queste creature del peso di 400-500 Kg, è che nella parte ovest dell’Africa sussiste l’areale di una differente specie di lamantino chiamato T. senegalensis, essenzialmente distribuito tra Nigeria, Senegal, Angola, Guinea… Ogni recesso, insomma, ove il complicato bacino idrico del più antico dei continenti s’intreccia in una rete spesso satura di sedimenti e per questo impenetrabile agli sguardi. Finché la figura di una di queste creature, emersa al fine di riempirsi i polmoni d’ossigeno, non prende a stagliarsi contro l’orizzonte osservabile dagli occupanti dell’imbarcazione di turno. Finendo per sembrare, come da copione, la ragionevole benché tondeggiante approssimazione di una figura umana. Fraintendimento particolarmente straniante nel caso degli esemplari femminili che hanno recentemente partorito, le cui mammelle pendule possono avvicinarsi nelle forme a quelle di una donna. Il che ha rappresentato, nei secoli a partire dall’inizio dell’Era moderna, una parziale fortuna per questi animali immediatamente associati dai locali alle rappresentazioni europee delle sirene. E successivamente elette a forma fisica, nonché possibilmente tangibile, della divinità animistica dei fiumi Mami Wata (letteralmente: Madre delle Acque) venerata nei templi tradizionali come protettrice, e qualche volta seduttrice dei pescatori. Una figura conturbante rappresentata con l’aspetto di una donna di paesi lontani, spesso caucasica o asiatica, al centro di numerose leggende con risvolti apotropaici o la concessione di munifiche ricompense terrene. Tutto a partire dal verificarsi di un ideale, quanto inconfondibile incontro…