La tecnica cinese dei palazzi all’improvviso

Broad Building

57 piani in 19 giorni, per una media esatta di tre piani al giorno. È un bel dilemma. Immaginatevi urbanisti, con un progetto d’espansione controllata dei sobborghi di un centro abitato da oltre sei milioni di persone. Per comparazione, Roma non raggiunge i tre, Londra si aggira intorno agli otto. Ora, la vostra idea di partenza, in un certo senso il punto cardine dell’intero progetto, sarebbe il trovare lo spazio per decine di migliaia dei vostri futuri residenti all’interno di un certo numero di grandi edifici, riuscendo quindi a preservare vaste zone di piacevole campagna, particolarmente utili a contenere il gran flagello dei maggiori centri urbani della Cina: la cappa cupa dell’inquinamento atmosferico fuori controllo. Un problema questo, a ben pensarci, tutt’altro che insolito in paesi che stiano attraversando la fase di passaggio di un periodo radicale d’espansione economica e industriale. Mettiamo quindi, a scopo puramente ipotetico, che in un simile frangente vi venisse presentato un sedicente e carismatico uomo d’affari, arricchitosi nel campo alternativo, e niente affatto rilevante al vostro problema, della produzione d’impianti non-elettrici d’aria condizionata, usati nelle fabbriche di una buona parte del paese. Ora costui, con fare vagamente luciferino, sarebbe a farvi una proposta: “Vuoi palazzi grandi? Ci penso io. Spenderai molto di meno, saranno completati in una frazione del tempo necessario, resisteranno meglio ai terremoti ed all’usura” Più economico, più veloce, più sicuro. Qualcosa non mi torna, voglio ben sperare…
Dipende. Soprattutto da un fattore: siamo, per caso, nell’umida città subtropicale di Changsha, capitale della regione dell’Hunan? Perché se così fosse, probabilmente l’uomo in giacca e cravatta altri non sarebbe che Zhang Yue, il rinomato capo d’industria che ha saputo definire, all’interno della sua compagnia Broad Sustainable Bulding (in breve BSB) un sistema innovativo per edificare grattacieli a partire da componenti prefabbricati, ciascuno portato sul sito di costruzione già completo dei collegamenti elettrici, idrici e addirittura del particolare pavimento scelto dal cliente. I video in time-lapse del suo iper-attivo dipartimento del marketing, ormai da qualche anno, tendono a ricomparire da un lato all’altro del web, spesso commentati e riproposti soprattutto per l’innegabile valore estetico che riescono ad esprimere, essenzialmente la trasformazione metaforica degli uomini in formiche. Non certo per la fiducia che la collettività occidentale ripone nel suo meccanismo brevettato, visto il ricorrere di tutta una serie di annotazioni estremamente prevedibili, basate sulla convenzione. La critica maggiormente diffusa è facilmente immaginabile: non durerà molto più a lungo di quanto ci è voluto per tirarlo su. Un profondo scetticismo questo, fondato sull’idea individualmente quasi sempre vera, che le cose fatte in fretta presentino difetti inerenti di vario e significativo tipo, a partire da una poca cura per i singoli dettagli. Il che, nel caso in cui si stia realizzando una creazione superflua, come un qualche tipo di opera d’arte, ha conseguenze poco significative, mentre nel campo dell’edilizia di ampia scala potrebbe condurre a presupposti di terribili devastazioni.
E ciò senza neppure entrare nel merito dello stereotipo del cosiddetto Made in China, uno stile di fabbricazione tipico di quel paese, contrapposto nell’idea comune alle vecchie e care cose fatte in Occidente, più costose e quindi, inevitabilmente, considerate migliori. Tale preconcetto relativamente disinformato non si applica, chiaramente, a tutti quegli oggetti che di solito sanno assemblare solamente loro, come ad esempio l’iPad.

Leggi tutto

Invasioni slinguazzanti d’automobili cornute

Buffalo kisses

La prima regola dell’Olympic Game Farm è non parlare dei bisonti. Seconda regola: nemmeno su Facebook, per piacere. Terza regola: dategli soltanto pane bianco, costa un dollaro a confezione. Quarta regola: chi ferma il suo motore è perduto. Quinta: stai SEMPRE attento alle dita. Per un solo credo, senso ed obiettivo. L’essenziale identità di luogo e di contesto. Vuoi divertirti? Ti stiamo aspettando. Però non venire con un’automobile convertibile, che resti aperta alle intemperie o alla saliva! Te ne pentiresti molto… Amaramente. Situato oltre i monti e le foreste dell’omonimo parco nazionale, nel freddo rigoglioso stato di Washington del profondo Nord-Ovest statunitense, questo è un luogo in cui si vendono esperienze. “Accettiamo Visa, Mastercard e Discovery” si apprende presso il sito ufficiale, assieme alle istruzioni per raggiungere la meta ed il prontuario, un po’ inquietante, di cui parzialmente sopra. “Potrete incontrare direttamente dalla comodità del vostro veicolo su quattro ruote: il bisonte americano, il leone africano, la zebra, l’alce di Roosevelt, il cervo di Sika, lo yak domestico, il lama, la tigre siberiana, il puma di montagna, la lince canadese ed artica, l’orso kodiak e quello nero, il lupo della tundra, il coyote, il procione, il cane della prateria, il coniglio.” Caspita, addirittura il coniglio! E cosa anche migliore, ai numerosi visitatori giornalieri verrà anche permesso di farsi Babbo Natale delle molte delle variegate bestiole in questione, usando esclusivamente del cibo ufficiale fornito dai gestori dello zoo-parco dei divertimenti. Un paragone tra location tutt’altro che azzardato, se si pensa che la fortuna di questo luogo fu fatta proprio a partire dagli anni ’60, grazie ad una joint venture con la Walt Disney Company dei tempi d’oro, che cercava un luogo in cui tenere i protagonisti dei suoi film dall’impronta maggiormente naturalistica e più difficili da adattare per l’Italia, come Charlie the Lonesome Cougar (1967), The Incredible Journey (1963) tratto dall’omonimo romanzo canino di Sheila Burnford e Grizzly Adams, una serie televisiva sulle avventure del cacciatore solitario titolare, che andò in onda tra il 1977 e il ’78. All’apice del suo successo cinematografico, nel 1972, la Olympic Game Farm venne quindi aperta al pubblico pagante, per fare la gioia immisurabile di grandi, piccini, quadrupedi e pennuti.
Ma c’è un problema, essenzialmente comune a quello di tanti altri safari motoristici sparsi in giro per il mondo: si stanno evolvendo. Come in un film fanta-biologico in cui s’inneggi fra scagliosi mostri alla teoria del caos, il continuo riproporsi di una situazione rigidamente controllata e apparentemente innocua (l’autista che guida a bassa velocità, per porgere cibarie fuori dal suo finestrino) porta a oscillazioni incontrollabili dei presupposti con le loro conseguenze. Una creatura grossa e pacata come un bisonte, in linea di massima, non dovrebbe neanche avvicinarsi ai remoti discendenti dell’insostanziale protoscimmia, la cui essenza, dal suo irsuto punto di vista, appariva certamente rumorosa e indisponente. Né tanto meno, gli appartiene il gusto farinoso del pane, frutto di un processo produttivo che deriva dalle fiamme dell’industria. Ma l’assaggio è conturbante, così come le sue conseguenze, tanto spesso, imprevedibili.

Leggi tutto

Fiori di Burma con gli occhi e sei zampe per saltare

Flatid Planthoppers

L’entusiasmo dello zoologo è palpabile, persino contagioso. Ross Piper, studioso affiliato allo Smithsonian Channel dell’omonimo museo, era giunto secondo il titolo per una nobile missione: (to) chase tigers! Dare la caccia, se così davvero si può dire, al più nobile e spettacolare dei felini, una creatura celebrata nelle opere letterarie e cinematografiche di tre dozzine di culture. Inoltrandosi nelle giungle della Repubblica del Myanmar con la sua troupe, laggiù tra il Bangladesh e la Cina, già tendeva le orecchie esperte a percepire il primo suono di due paia d’ingombranti zampe a strisce tra i cespugli. Per trovare invece, grazie all’uso di quell’altro senso, una strana aggregazione di ciuffetti bianchi, come gran fiocchi di neve che si fossero smarriti in prossimità con l’equatore, per l’effetto di una serie d’impreviste circostanze. L’apparenza, infatti, può ingannare. L’apparenza tende a conquistare. Così ridacchia, sogghigna, sghignazza, si scompiscia ed emette quei buffi versi umani simili a un grugnito, che gli americani definiscono col termine onomatopeico guffaws, mentre si china sopra l’incredibile sostanza dei suoi sogni. Non è facile da biasimare: sembra di essere finiti dentro ad un anime di Miyazaki.
Tutti conosciamo, almeno di fama, gli afidi o pidocchi delle piante. Piccoli puntini verdi, che camminano e si lanciano da un tronco all’altro, per estrarre con proboscidi minuscole la linfa dolce della propria breve vita. Sono parassiti e molto spesso disdegnati, nonostante ne esistano 4.400 specie differenti, tra cui soltanto alcune siano in grado di far veri danni, e soltanto per le malattie che trasmettono da una pianta all’altra senza un briciolo di guadagno o d’intenzione. Ne apprezziamo, tra l’altro, gli scarti zuccherini emessi dopo il pasto (non chiamateli escr..) che raccolti amorevolmente dalle api, vengono usati come ingrediente necessario per il miele. Ecco, a quanto pare soprattutto a Burma, non tutti gli afidi sono così piccini.
Ne semplicemente simili a un’informe pulce saltatrice. Piuttosto tali creature, immancabilmente appartenenti al vasto ordine dei Rincoti, presentano una tale variazione di morfologie e colori da essere talvolta definite come i “veri insetti” (true bugs) quasi che migliaia di farfalle e bruchi, coleotteri, formiche e tutto il resto non fossero che l’antipasto offertoci dalla natura, prima di essere introdotti al gusto e la soddisfazione d’incunearsi tra le pieghe cortecciose con mandibole e mascelle specializzate, per mangiare, crescere e…Trasformarsi. In piccole farfalle bianche; purché si abbiano a disposizione i giusti geni!

Leggi tutto

Si cucina meglio con l’aiuto dello Shiba Inu

Mari-kun

Cani gioiosi, cani seriosi, barboncini attenti e bassotti iperattivi. Ogni razza ha il suo carattere che nasce da stereotipi spesso riconfermati: avete mai visto un pastore tedesco meno che educato? Un levriero che non sia…Veloce? Difficile poi distinguere tra quelli che siano tratti innati, geneticamente selezionati fino alla costituzione di uno standard ereditario, e quanto preconcetti, invece, siano il frutto dell’educazione ricevuta nelle dai principali quadrupedi di casa, sulla base di nozioni pre-acquisite dai padroni. Però guarda, cinofilo (amante del cinema peloso) siamo in un’epoca di cambiamenti. Basta digitare un indirizzo a caso di YouTube per ritrovarsi nel bel mezzo di una sovversione delle aspettative, una vera bailamme delle bestie scatenate. Uomini che vivono coi furetti, con le donnole, coi formichieri. Giusto l’altro giorno, faceva notizia un tipo dell’Alaska che si era fatto amico il feroce Gulo gulo, quello che in Italia chiamano ghiottone, mentre negli States da sempre presta il nome al più bestiale degli X-Men. La realtà è che tutti possono diventare tutto, previa l’adeguata dose di attenzioni, cibo e addestramento. Ma in una simile divergenza delle tradizioni, è pur sempre rassicurante ritrovare dei creativi che si affidano alla naturale spiritosaggine dell’animale cane. Un vecchio, caro e burbero amico, pure quando fa i dispetti senza una ragione chiara.
Questo ultimo video di Inosemarine (un nome che parrebbe per metà in giapponese, per il resto ispirato a quello dell’onnipresente corpo militare americano) assume la configurazione di una parodia. Cosa stia prendendo in giro, sarà chiaro a chi frequenta spesso i lidi rilevanti, e nello specifico quel beneamato canale di cucina, Cooking with Dog, in cui un’affabile signora nipponica si applica in ogni sorta d’improbabile manicaretto, mentre il suo stolido barboncino Francis la “assiste” restando perfettamente immobile sul tavolo della cucina. Ora, naturalmente la questione più appassionante della serie è l’incredibile forza di volontà dell’animale, quando chiunque abbia mai vissuto per un tempo medio con un quattro-zampe ben conosce la fame incontenibile che perennemente consuma la specie biologica dei divora-croccantini. Il Fido(In-) medio, posto di fronte a una ciotola di cibo delizioso e inusuale, dimentica persino il luogo in cui si trova, per meglio trasformarsi nell’approssimazione slinguazzante di un potente aspirapolvere; e non è che in effetti, pure quel particolare grigetto giapponese sia scolpito nel vero e proprio marmo, tanto che, specie negli ultimi tempi, parrebbe tendere all’agitazione nei momenti in cui la cuoca tira fuori le fette di carne per il ramen o altri ingredienti particolarmente succulenti. Qualcuno, ultimamente, tende a seguire le sue tribolazioni un po’ come si fa con le gare motoristiche della Nascar negli ovali: aspettando l’incidente.
E se invece di aspettarlo, un simile sollazzo a spese dei malcapitati, ce lo andassimo a cercare? Nessun problema. Basta andare da questo diverso provider d’intrattenimento che usa, per i suoi video, tutt’altra cosa che un grazioso e morbido frisè; ovvero, lo Shiba Inu, detto dagli amici Shibe, oppure più direttamente Doge. Il più enigmatico dei cani giapponesi.

Leggi tutto