La forca e la feluca, la spada e il mare

Messina spada

Sopra l’onde turbolente gridano i gabbiani mentre sotto, silenziosamente, si agita la pinna di un temibile guerriero. Le conchiglie giacciono dimenticate, filtrando l’acque di quel dolce plankton che le nutre. Tutto scorre fin dall’epoca delle quadrate vele, strumento degli antichi marinai. Così facevano i Fenici. Ne cantò l’insigne Omero. E i nonni dei nostri trisavoli, allo stesso modo, muovevano quei lunghi remi. Solo il motore nautico poteva cambiarla e l’ha cambiata, la caccia messinese al pesce spada. Una praxis che si rimescola e dà nuove genesi dal brodo cosmico del tempo: Panta Rei, dicevano i filosofi, osservando la tendenza divergente delle opposte cose, perennemente sottoposte ad infinite mutazioni. Questo non significa che il vasto mare sia del tutto privo di strettoie, angoli ciechi, passaggi dalle insidie occulte, intramontabili e perverse. Dove convergono le anime perdute.
Ogni anno, tra maggio ed agosto, decine di migliaia di creature argentate si avventurano tra Scilla e Cariddi, in cerca di una valida compagna. Sono costoro gli Xiphias gladius, imponenti abitatori di ogni mare temperato del pianeta, con la coda a mezzaluna, la pinna in forma di falce e il naso lungo, aculeato, non dissimile ad un’arma penetrante. Come una lancia, il fioretto degli abissi. Uno strumento che li nobilita e caratterizza, ma che allo stesso tempo, fin dall’alba delle umane civiltà, li rende magnifici e desiderati. Condizione rara per una bestia, nonché di sicuro, tutt’altro che vantaggiosa. Giacché non è per niente insolito, nel corso della loro spedizione, d’incontrare una maestosa ombra, udendo in lontananza un rombo e le parole in greco di un’antico incantesimo di mistiche poesie. Finché d’un tratto, al solenne grido “Viva San Marco” non appare innanzi ai loro grandi occhi il simbolo supremo della Fine: un’asta lunga, con tre più corte nell’estremità anteriore. Il ferro del piscatore, approssimazione ragionevole della fiocina del baleniere. Se pure di Achab ce n’è solo uno, questo non significa che la balena bianca sia insostituibile, nei nostri piatti. Anzi! Già Archestrato di Gela, poeta siceliota del IV secolo, definiva questa carne come cibo degli Dei. Cartesio affermava, raccomandandola agli stomaci delicati, che “[…] Si squaglia in bocca come un’alga e suscita pensieri sia casti che d’amore allo stesso tempo”. E se ancora oggi abbiamo il privilegio di gustarla, in tanti piatti tradizionali ed altre specialità della Sicilia, il merito anche di questa tecnica ereditata dai nostri avi. Basata soprattutto sulla calma e l’abbandono, un apparente tipo di disinteresse che conduce alla vittoria.
Oggi, la caccia si svolge a questo modo: la barca veloce, della tipologia snella ed elegante che viene definita feluca, viene bardata di due interessanti, quanto originali strutture. La prima è un’antenna metallica, alta anche 25 metri, sopra la quale trova posto una vedetta. La seconda è una lunga passerella, leggera e rastremata, al termine della quale sta in agguato un coraggioso cacciatore. Il ragionamento è molto semplice: se tu vedi il pesce, puoi colpirlo. Se lui non ti vede, resta fermo. Che l’uomo possa precedere la propria barca di una distanza equivalente allo scafo stesso, alla natura non potrà essere mai chiaro; a questo modo, dunque, egli scaglia la sua lancia triforcuta verso il basso. E colpisce, molto spesso, proprio quello che voleva. Il seguito è fin troppo chiaro. Trapassato dalle punte a senso unico, da cui è impossibile fuggire, il pesce tenta invano di salvarsi. Più e più volte si inabissa, venendo per ciascuna ritirato in alto. Finché alla fine, con un ultimo colpo di coda, soccombe. Tratto al di fuori del suo ambiente con gli onori normalmente riservati ad un eroe sconfitto, lo spada viene adagiato sopra il ponte dell’imbarcazione. Qui, almeno secondo l’antica usanza, i suoi catturatori tracceranno in prossimità della branchia destra il doppio segno perpendicolare della “caddata dà cruci”, prima di coprire il pesce con un telo, per proteggerlo dal sole. O dagli sguardi lucubranti. Questa antica tecnica di pesca, così lontana dal sentire pratico dei nostri tempi, viene considerata preferibile all’uso delle reti a strascico e degli altri metodi moderni. Prima di tutto, perché non danneggia i preziosi fondali sopra cui si svolge, gemme inestimabili del Mediterraneo. E secondariamente, in quanto lascia alla vittima un piccolo barlume di speranza. Che gli possa in qualche modo, nel momento della verità, scansarsi un po’ di lato. Evitare il proiettile, per nuotare innanzi verso l’orizzonte.

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La pesca miracolosa dei piranha

Piranha Girl

È chiaramente molto furba la ragazza sudamericana, dotata di un singolo trancio di carne un po’ malmessa, che riesca a trarne un tale ricco e portentoso nutrimento. E abboccano i bocconi, l’uno dopo l’altro, neanche lei gli avesse offerto del prosciutto prelibato. Non uno, né due pesci, ma un’intera bacinella quasi straripante, così trasformata nella pentola di un’esultante festa di paese. Vociano i bambini: dopo quella mattinata, sarà ricca la padella di un gustoso pomeriggio di..Fritture? Era forse la sagra del piranha, lungo il corso del Rio delle Amazzoni o dell’Orinoco? Chi può dirlo. Possiamo soltanto assistere al rastrellamento, basiti. Certamente, non piccati. Giacché l’immagine di questo pesce prognato e vagamente rosseggiante, lungi dall’essere tenuta in alta considerazione dagli animalisti, evoca le persuasioni di una terribile voracità. Tutti temono e detestano quel demone minuto, forse anche maggiormente che lo squalo, o il barracuda. Esiste una vecchia tradizione brasiliana, ormai desueta, secondo la quale per ciascuna mandria di bestiame andava sempre designato un capo particolarmente debole, vecchio e sacrificabile, detto il “Boi de piranha”. Al momento di attraversare un corso d’acqua, dunque, si sarebbe uccisa la povera bestia, per poi gettarla tra gli affioramenti d’alghe, come un richiamo irresistibile da sgranocchiare. Ben sperando che la sua carne tenera bastasse, anche quella volta, per saziare le furie sommerse con le pinne e i denti acuminati. Solo così, si diceva, ci si sarebbe garantiti un passaggio sicuro per il resto degli armenti o i propri familiari. A tal punto si temeva il concetto di un tale pesce invisibile e sempre in agguato, che esso era diventato come un dio del fiume, da placare con offerte o preghiere degne della sua famelica maestà.
Il piranha comune, appartenente al genere dei Pygocentrus, misura tra i 15 e i 25 cm. Quelli catturati dalla ragazza, visto l’evidente quanto riconoscibile ventre rosso, erano assai probabilmente della specie P. Nattereri, diffusa praticamente in tutto il Sudamerica. Questi pesci sono noti per la maniera caratteristica in cui fanno la guardia alle proprie uova, assicurate saldamente ai fusti delle piante acquatiche in affioramento. Il maschio e la femmina pattugliano i dintorni in coppia, tenendosi strettamente a contatto, con le schiene rivolte verso l’esterno. In questo modo nessun predatore  in cerca di uno spuntino potrà sfuggire ai loro attenti sguardi. Chissà quante amabili famigliole saranno andate distrutte, per un piccolo piacere transitorio!

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Le ragioni di una palla d’api

Bee Ball

Vieni più vicino. Ho un regalo per te: la miglior primizia di stagione. Un frutto giallo e nero, tondo eppure bitorzoluto, estremamente pregevole, maneggevole. Gustoso, persino, almeno credo. Piuttosto rumoroso e pieno d’ali. Come l’ananas, non è la risultanza di una sola cosa, ma di molte parti, ciascuna dedita a contribuire al tutto. Sono insetti laboriosi, questi. Api la tua mano!
Sulla paura moderna e contemporanea dell’ape mellifera, diffusa in modo particolare tra le giovani generazioni d’oggi, ho una teoria. Questo concetto di un minuscolo animale, potenziale fonte di dolore e sofferenza, che percorre tragitti erratici per il giardino e dentro casa, ricorda troppo da vicino il tipico nemico dei videogame. L’astronavina aliena, il fungo-teschio, il fantasmino. Tutte creature, queste, che feriscono al contatto. La loro semplice vicinanza, nello spazio bidimensionale dello schermo di gioco, presagisce alla perdita istantanea di un prezioso punto d’energia. E benché l’ape, singolarmente, non costituisca un vero rischio, essa è pur sempre in grado di difendersi; o per meglio dire, difendere la propria casa. Soprattutto visto quello che succede dopo la sfortunata congiuntura. Morte, disgregamento (per lei) un dolore intenso benché passeggero, per la “vittima” designata. Nessuno vorrebbe farsi pungere da un’ape. Tranne Fred Boucher, almeno a quanto sembra di capire dal presente video.
In fondo avremmo fatto tutti come lui (giusto?) Che trovando un bizzarro agglomerato di piccole ronzanti creature l’ha raccolto. Ha chiamato la moglie, per farglielo vedere. E mentre lei riprendeva, con mano ferma e un cellulare, l’interezza della scena, ha preso a stuzzicarlo con insistenza. Perché naturalmente niente succede senza una ragione. E se 30, 40 artropodi sociali si assembrano in un singolo ammasso, la curiosità è lecita. La sperimentazione, ardìta. Soprattutto per le dita, che devono esplorare, scavare, mettere da parte e sgominare tante potenziali spadaccine perforanti, pronte ad iniettare la spiacevole tossina. Non che tale cosa avvenga, nel presente caso. Le api in questione, piuttosto indispettite, ritornano una, due volte. Poi finiscono per aggirarsi tutto intorno, ronzando senza presupposti ostili. Sarà forse merito della sicurezza, di lui che senza un grammo di paura, o fastidio, impone la sua forte volontà d’umano. Gli insetti fiutano la paura? Assai probabilmente, quest’uomo non si dedica a parecchi videogiochi. Ma a cacce al tesoro naturalistiche, capaci di condurre verso inaspettate verità. Finché…Eureka! Ci siamo: al centro della palla, alquanto stordita, c’era lei. Una grossa regina del loro stesso alveare, così quasi soffocata, surriscaldata, stritolata dalle sue crudeli operaie rivoluzionarie. La ragione è presto detta: la […] è morta, lunga vita alla […] Come nei regni delle epoche trascorse, in una comunità d’insetti può esserci soltanto il giusto numero di monarchi. Tutti gli altri sono deleteri e soprattutto non desiderabili. Pericolosi, addirittura, per il mantenimento dello status quo biologico. Devono morire, così.

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Giro di vite contro i babbuini

Chacma Baboons

L’uomo moderno, così racchiuso tra il ruvido cemento e il duro vetro, ha ormai ben pochi punti di contatto con la forza del precipuo pathos. Con quel fluido che affiora lieve, dal regno incontenibile delle apprensioni. Possibile una simile emergenza? Il tetto è solido, l’acqua è pura. La bolletta, se pagata, toglie la paura. E pure gli escrementi. Finché, come in banana meccanica di Stanley K, un -qual-cosa- irrompe da quel flebile confine, con un piano troppo chiaro a tutti quanti: lasciare il drugo segno della sua insolenza. Facciamo qualche esempio! Termiti che rosicchiano le fondamenta. Formiche, in cerca di briciole sul pavimento. Topi che strisciano nella dispensa e poi…Mosche ronzanti, presagio di funeste persuasioni. Latrici di un messaggio vano: “Fuggi, finché sei tempo, è arrivato il giorno lungamente atteso”. Di rivincita. Del selvatico che avanza, ovvero: la truppa del tremendo babbuino. Un gran divoratore, che davvero non capisce due concetti, sopra tutti gli altri: a che serve lo scarico del bagno, come usare lo sciacquone. Il mondo intero è il suo WC.
Questo video è stato registrato presso Betty’s Bay, ridente centro abitato di poco più di mille abitanti sito ad appena 93 Km da Città del Capo. Lontano il giusto, mai isolato, dai patémi della grande capitale. Che però conosce un altro tipo di disgrazie, ovvero faticose convivenze. Siamo, dunque, in una celebre località turistica dal clima mite, presa fra le limpide acque della costa dell’Overberg e le verdeggianti colline ai margini del Kogelberg, catena montuosa libera e incontaminata. I pastori vi pascolano le proprie capre, una mattina dopo l’altra, riportandole indietro sul finir del pomeriggio, quasi sempre. Se non sparisce qualche cucciolo, altrimenti…Già sappiamo chi è il colpevole. Del marcio si aggira per i ripidi sentieri e le irte mulattiere. Eccone la prova, registrata gentilmente da BC Stargazer, quindi esposta al pubblico ludibrio. Vostro onore, il colpevole è…

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