Un robot cartaceo che ondeggia verso il futuro

Pepakurabot

Con un fruscio che ricorda il battito d’ali di una falena gigantesca, questo buffo essere artificiale innalza i limiti di ciò che può nascere dall’unione fra carta, colla ed elastici. Kikousya, il suo creatore giapponese, lo ha infuso di un soffio vitale che nasce dall’universalità dei principi della meccanica, ricercando applicazioni nuove per questi materiali così spesso incontrati in casa, a scuola o al lavoro. Il suo nome è M.P.M, Mechanical Paper Model. Un robot, l’omuncolo tecnologico, secondo le regole della fantascienza dovrebbe essere in grado di articolare un pensiero. Attraverso il suo computer, fare delle scelte basandosi sui presupposti del momento. Il codice concettuale di un tale essere, basato su file interminabili di zero e di uno, assumerebbe quindi la definizione di “Binario” 011000110110111101[….] Questa linea ideale, la metaforica strada cifrata, non ferrata, divide tali esseri in duplici tipologie successivamente contrapposte. Perché il robot può considerarsi uno(1)-un androide (uguale a noi esseri umani) oppure zero(0)-automatico. Il dondolante M.P.M. rientra, ovviamente, nella seconda di tali classi, assolutamente non confondibili tra loro. Ci sono, a loro volta, due geníe di questi individui privi di raziocinio: (0)mecha e (1)karakuri. La prima suscita immagini di conflitti futuribili, combattuti fra meccanismi possenti di aspetto vagamente antropomorfo, con dentro piloti umani che ne guidano le gesta, come in versioni immaginifiche dei moderni veicoli o aeroplani da combattimento. La seconda é quella dei giocattoli, le curiosità. Nella storia recente del Giappone, fra il XVII e il XIX secolo, vennero prodotte un’ampia varietà di bambole meccaniche, in grado di servire il tè o mettere in scena qualche breve momento di un dramma teatrale particolarmente famoso. Il pupazzo fatto a mano di Kikousya è l’incontro fra questo mondo e quello dei pepakura, le sculture di carta che trascendono le regole ferree degli origami, andando oltre il tradizionale concetto di “un solo foglio, ripiegato su se stesso”. Non c’è il treno della coscienza, sul binario di questo automa fine a se stesso. Ma la sequenza crittografica di un’entità davvero interessante, quella si.

Leggi tutto

Penetrazione pneumatica di un tubo sotterraneo

Nodig

Sotto le strade asfaltate di ogni ambiente urbano si nasconde un secondo labirinto di sentieri, affine per funzionalità ed aspetto al sistema linfatico degli esseri umani. Dipendendo nel quotidiano da questi tubi dell’acqua, gasdotti e cavi della corrente interrati, qualche volta ci poniamo l’interrogativo di come ciascuno di essi trovi la sua collocazione finale. Subito ci sovviene l’immagine, tipicamente estiva, delle voragini aperte nel manto stradale per l’ennesimo rinnovamento, con gravi conseguenze sul passaggio degli autoveicoli e la vivibilità degli ambienti cittadini, trasformate in realtà di lunga durata per necessità o sfortunata disorganizzazione. Nessuno, invece, ricorda le volte in cui tutto è andato a dovere, soprattutto grazie alla felice applicazione di una soluzione tecnologica innovativa; quando da un giorno all’altro, strisciando non visto come un verme-drago della Mongolia, il cunicolo cementifero voluto dall’amministrazione comunale si è insinuato da un lato all’altro del centro abitato, mettendo la sua cavità filtrante al servizio della pubblica utilità, con una totale efficienza realizzativa e quasi nessun grado di disagio. Il sistema No-Dig-Construction, della compagnia tedesca HERMES Technologie, trasporta il principio del martello pneumatico ad un contesto e proporzioni del tutto nuove, permettendo al tubo di bucare orizzontalmente ogni tipo di terreno, sospinto dalla potenza dirompente dell’aria compressa. Un colpo alla volta l’estremità del condotto, accompagnata dal suono ritmato del grosso macchinario, si trasforma così nella punta d’ago di una titanica siringa, sbucando ben presto in prossimità della sua metà designata. Il passaggio interno di un potente spruzzatore d’acqua provvederà in seguito alla rimozione dei detriti rimasti al suo interno.

Leggi tutto

L’elicottero distruggimontagne

Sunndalsora

Un boato straordinario riecheggia all’interno del fiordo di Sunndalsøra, nella regione norvegese di Nordmøre. Si tratta di un elicottero dell’amministrazione pubblica stradale, che assolve coraggiosamente alla sua missione più difficile: scardinare dalla parete rocciosa di un monte, a strapiombo sul mare, un grosso macigno, prossimo alla caduta sulla via di Oppdølstranda, costituendo un grave rischio per la sicurezza. Il tuono assordante proviene, mirabilmente, da una grossa sfera da demolizione rossa, agganciata mediante l’uso di un lungo cavo al velivolo, come una sorta di pesante mazza medievale. Si riesce facilmente ad intuire l’abilità del pilota, dotato anche di una freddezza d’animo non indifferente, nonché l’ingegno necessario alla preparazione di una simile impresa, forse il modo più spettacolare e pratico per risolvere un così significativo problema. Eppure questa non è che l’ultima puntata dell’eterna guerra fra uomo e natura, che all’interno di un tale emiciclo naturale, con le caratteristiche innate di un vero teatro, pare assumere un tono epico, quasi riecheggiante del sapore delle antiche leggende norrene.
Jörmungandr, il serpente che circonda il mondo, si agita nelle profondità marine, creando poderose ondate e maremoti. I giganti, progenie di Ymir, attendono pazienti il momento di scendere dalle cime nebbiose che ci sovrastano, per poter finalmente saziare la loro tremenda fame di carne umana. Sospesa nel mezzo, indifferente alle acque turbinose e all’incombente pietra, si estende la strada asfaltata, spavaldo simbolo del regno umano di Midgard. Come avviene nell’epos di ogni cultura e paese, tuttavia, i confini che separano il mito dalla materia non restano mai del tutto inviolati. Può capitare che un troll dei boschi d’altura, colto all’improvviso dalla luce dell’alba, si trasformi in un pietrone in bilico, pericoloso per se stesso e gli altri. Oggi la soluzione va ricercata nel mondo della tecnologia. C’è stato un tempo, invece, in cui ci saremmo affidati ad un altro tipo di eroi.

Leggi tutto

360 ore per costruire un palazzo di 30 piani

Broad Group

Questo palazzo di uffici della compagnia cinese Broad Group è comparso da un giorno all’altro di fronte al lago Dongting, nella regione dello Hunan. Emerso con la velocità di un vulcano. Una o due generazioni fa tale impresa sarebbe stata considerata impossibile, per non parlare di un tempo ancor più remoto. Opera del demonio! Si dice che molte volte, soprattutto in Italia, l’anima immortale di un muratore o capomastro venisse concessa in cambio di una qualche creazione architettonica, edificata dal maligno in persona nel corso di una sola notte, con i suoi poteri sovrannaturali. In Asia, che io sappia, non c’è un mito corrispondente; nel caso delle grandi opere apparentemente impossibili, secondo quanto delineato nei codici comportamentali del Confucianesimo e del Taoismo, ciò che si celebra è unicamente il laborioso industriarsi di tutti coloro che hanno compiuto l’impresa. Allo stesso modo degli appartenenti all’etnia del popolo dei Miao, coloro che nell’antichità seppero costruire le prime risaie di questi luoghi straordinariamente redditizi, graziati dal fango fertile del Fiume Giallo, o ancora come gli strateghi conoscitori delle teorie guerresche di Sun Tzu, che in tutto l’Oriente fecero edificare grandi castelli e fortificazioni nei tempi stringenti dettati dalla necessità, le maestranze del Broad Group saranno, per gli annali della storia, coloro che diedero forma alle chimere di una mentalità ambiziosa, futuribile. Con una sola, significativa differenza: questi moderni individui avevano la tecnologia dalla loro. E i pezzi arrivavano già pronti, neanche facessero parte di un colossale gioco di mattoncini colorati.

Leggi tutto