Come farsi lo shampoo nello spazio

Karen Nyberg

Nello spazio cosmico infinito, non c’è aria, non c’è gravità e mancano i barbieri. Proprio per questo, chi lascia l’atmosfera della Terra ha sempre un piano. I capelli te li tagli oppure… Nell’immaginario comune della prima epoca spaziale, tra gli anni ’60 e ’70, l’astronauta era un tipo ben preciso. Imponente, virile, mascella quadrata: l’ideale personificazione di un eroe dei romanzi fantascientifici del genere pulp, pieni di mostri alieni e pianeti misteriosi. I capelli erano generalmente corti, perché questo ci si aspettava da un eroe in carriera, proveniente da un ambito, l’aeronautica sperimentale, particolarmente affine a quello militare. La corsa allo spazio, del resto, era un modo fondamentale per imporre il predominio tecnico di una nazione sulle altre, una ragione di contrasto, piuttosto che di aggregazione. I motori erano potenti, la Luna pericolosamente vicina e i capelli sempre, invariabilmente, corti. Ciò ha una sua logica: in assenza dei presupposti fisici di un pianeta come il nostro, persino i gesti più semplici possono diventare complicati. Diffusa è la leggenda secondo cui la NASA avrebbe investito milioni di dollari per produrre una penna biro con serbatoio pressurizzato, mentre i russi preferirono usare le matite. La storia è falsa, ma il problema tecnico è pervasivo e onnipresente. L’unico modo di superare questo tipo di ostacoli è fare come Karen LuJean Nyberg, l’astronauta statunitense che oggi ci mostra come si lava la testa ogni giorno (o quasi) da quando si trova sulla Stazione Spaziale Internazionale orbitante, a 460 Km dal livello del mare. Lo shampoo impiegato è, ovviamente, a secco, perché le scorte di acqua sono limitate. Spremendo la bottiglietta argentata con il tubo, simile a quella di un succo di frutta, lei depone qualche preziosa gocciolina sulla cute, mentre altrettante volano via come biglie impazzite. Poi aggiunge il sapone e si strofina energicamente con l’asciugamano per “Aiutare lo sporco a venire via”. Un colpo di pettine sarà quanto basta a restituire la giusta compostezza. Il risultato finale non è niente male, specie considerate le implicazioni complesse dell’ambiente in cui si svolge l’operazione. Liberi dalla continua attrazione della forza di gravità, i lunghi capelli della Nyberg si disperdono in alto come quelli di una bambola troll, in attesa di essere nuovamente intrappolati, all’interno di una più pratica coda di cavallo. Nello spazio bisogna sempre avere un piano.

Leggi tutto

Montagne russe su montagne austriache

Mieders

Il numero di modi per discendere da un monte è pari a quello dei gradi d’impazienza umani, secondo quanto osservabile in un ipotetico soggetto interessato. Passeggiare bucolici, godendosi la natura e fotografando il panorama è un piacevole livello 1. Sciare o andare in snowboard può corrispondere allo sportivo livello 2. Parapendio, deltaplano o inseguimento di un formaggio rotolante corrispondono rispettivamente ai gradi 3, 4 o 5, suddivisi secondo il crescente contenuto di spregiudicatezza e sprezzo del pericolo. Fino agli sviluppi tecnici degli ultimi secoli, nessuno aveva mai pensato che si potesse andare oltre il sesto livello (fuga dall’orso inferocito con gli abiti ricoperti di miele). Una fretta ulteriore, secondo le diffusissime leggi del senso comune, sarebbe stata di gran lunga troppo nociva per la salute. Non era, guarda caso, mai stata costruita una monorotaia di ferro e acciaio che partisse dalla cima rocciosa, arrivando fin giù a valle. Non ci avevano mai piazzato sopra un carrettino a due ruote, con l’unico sistema di controllo di una levetta frenante dall’efficienza non chiaramente verificabile. E poi, chi mai ci sarebbe salito? Il fatto è che mancavano gli strumenti giusti. Un conto è sentirsi raccontare, dagli entusiasti sopravvissuti di un tale epico tragitto, di come questo sia del tutto sicuro e immune alle 15 più diffuse cause di un fatale deragliamento. Tutt’altra cosa, vederlo in prima persona attraverso la ripresa di una videocamera digitale, come se fossimo noi lì, in prima persona, a goderci lo spettacolo maestoso degli abeti che si trasformano in un chiaroscuro indistinto, verso i margini di un campo visivo temporaneamente gibollato. Se doveste capitare dalle parti del Sud Tirolo, in prossimità della ridente città di Innsbruck, potreste essere tentati di rinunciare al più originale divertimento di quelle parti, soltanto per l’atavica, insignificante paura di schiantarsi a 10ⁿ chilometri orari contro la corteccia di un sempreverde, del tutto indifferente alle follie scimmiesche dei suoi coabitanti a sangue caldo. Quindi guardatevi, almeno, questi due capolavori di davidjellis, il massimo esperto nell’avvincente campo delle montagne russe, solito alla realizzazione di precisi video-racconti, subito pubblicati online. Chissà che non restiate anche voi assuefatti agli effetti di una o due pompate di adrenalina, da assumersi preferibilmente lontano dai pasti (onde evitare spiacevoli incidenti).

Leggi tutto

Il robot che prepara i nostri ordini dal web

Kiva

Ogni essere ha delle caratteristiche che lo rendono perfettamente in grado di sopravvivere all’interno del suo ecosistema. E non c’è luogo, in tutto il mondo, che possa dirsi più astruso e difficile da interpretare dei labirintici magazzini di un gigante dell’e-commerce, come l’onnipresente Amazon. La creatura robotica Kiva, un prodotto dell’omonima compagnia americana, è per tali immensi luoghi l’equivalente di un pesce tra i flutti marini, un uccello in mezzo alle nubi o il verme di terra sepolto nel giardino di casa tua. Perfettamente a suo agio, in grado di prosperare e moltiplicarsi verso nuove generazioni, ancor più efficienti e precise. Il suo carapace iridato, simile a quello degli insetti ma di un rassicurante color arancione, occupa al millimetro lo spazio sottostante una qualunque delle innumerevoli scaffalature che gli si parano davanti nel corso di una giornata, permettendogli di andare oltre senza incorrere in fastidiosi rallentamenti. Quattro ruote articolate, una vite che si solleva dal centro del dorso. La usa diligentemente, sollevando in un attimo quello che gli viene richiesto, volta per volta, dai suoi intransigenti padroni umani. Kiva non è dotata di occhi che guardino innanzi, bensì di una telecamera ad infrarossi, eternamente puntata verso il pavimento. Con essa ritrova la retta via, leggendo i criptici codici a barre disposti, ad intervalli regolari, lungo tutta la pavimentazione del magazzino. Per questo non ha nemmeno il bisogno di un cervello che possa dirsi propriamente suo: per ciascuna colonia di robot c’è un solo server, con software particolari, che conosce in ogni momento la posizione dei suoi molti operai meccanizzati, evitandogli ingorghi ed incidenti. Di fronte a quel computer, un singolo impiegato della compagnia. Leggendo quello che deve impacchettare, secondo quanto indicato dal gestionale, preme con tutta calma il tasto corrispondente. Potremmo dire che il suo nome sia “Bob”. Ebbene, non importa che tu abbia ordinato un DVD, un libro, componenti informatici o stoviglie nuove per la cucina, l’unica persona in carne ed ossa che dovrai ringraziare per la loro consegna tempestiva è lui, Bob. Tutto il resto è dovuto all’opera inarrestabile dei Kiva, meccanismi nati per servire, matematicamente privi di sentimento. Tranne quando decidono di mettersi a ballare!

Leggi tutto

La roadster monoposto in vimini e bambù

Kenneth Cobonpue
Via

Un trionfo di linee curve, leggerezza aerodinamica e aspetto sobriamente combattivo, la Phoenix potrebbe dirsi una perfetta realizzazione del concetto di design al servizio di un mondo motoristico migliore, ecosostenibile, coscienzioso e visualmente sovversivo. Nata dalla mente di Kenneth Cobonpue, ispirato designer internazionale di origini filippine, occupa quello spazio esclusivo dei prototitipi automobilistici tanto futuribili, così originali e stupefacenti da non sfigurare nemmeno accanto alle più sfrenate creazioni di un qualunque autore di romanzi fantascientifici. L’idea è semplice: cancellare la necessità di smaltire i componenti e le carrozzerie dei veicoli destinati alla rottamazione, creando a tal fine la prima automobile biodegradabile del mondo. Ma il risultato finale è molto più di questo. Simile ad un coleottero che si prepari al dispiegamento delle sue ali, la Phoenix è stata esposta per qualche tempo negli spazi fieristici di via Tortona, a Milano, riscuotendo un successo straordinario;  quella che doveva profilarsi come una mostra di arredamento, campo principale in cui l’artista opera da molti anni, si è ben presto trasformata nel trampolino di lancio per questa concept-car che nessuno si aspettava, creata dall’artista in soli 10 giorni, grazie alla partecipazione e l’assistenza del giovane tecnico Albrecht Birkner. Oggi, incredibilmente, l’entrata in produzione non sembra più tanto improbabile. Le fiancate della Phoenix sono in vimini intrecciato, un materiale di cui Cobonpue viene considerato un grande maestro, mentre la “spina dorsale” che corre in alto al centro è fatta di bambù, con all’interno, nella parte posteriore, dei diodi al LED che fanno da luci di segnalazione. Lo chassis inferiore contiene, come inevitabili elementi di rafforzamento, alcuni pezzi in fibra di carbonio e acciaio, su cui trovano collocazione tre ruote ultraleggere.
Persino i più sfegatati sostenitori dell’auto in senso tradizionale, simbolo importante dell’industrializzazione e della subordinazione della natura all’uomo, intravedono in un prossimo futuro la progressiva scomparsa dei motori di grossa cilindrata e dei veicoli più inutilmente ponderosi. Questa splendida invenzione che viene dalle Filippine, con il suo aspetto rivoluzionario, potrebbe essere il giusto approccio al problema.

Leggi tutto