L’uomo con mezza barriera corallina nel soggiorno di casa sua

Eli's Aquarium 2

Certo, potrebbe sembrare che il concetto stesso di una botola sul tetto sia una grave vulnerabilità in una villa di campagna, utilizzabile dai ladri per poter penetrare teoricamente in casa. Per non parlare poi di un intero lucernario, della larghezza di oltre 5 metri ed un’ampiezza di circa due! Chi non ricorda, nei tipici film thriller o d’azione, la facilità con cui aspiranti James Bond potrebbero strisciare silenziosamente su di esso, spalmando la loro faccia sul tiepido vetro, per assorbire tramite lo sguardo ogni segreto dell’abitazione. Poveri illusi. Ciò facendo,nel presente caso, tutto quello che vedrebbero è dell’acqua, molta, moltissima, con decine di quintali di pietre calcaree messe in ammollo. Le pupille di costoro si perderebbero tra l’alghe ed i coralli… Mettendo quindi a fuoco ai margini, nel tentativo di combattere la rifrazione della luce, un refolo fluttuante di colore, con qualche dozzina di pesci in formazione, che si aggirano e disegnano figure. Ed a quel punto, ritornando con la mente a quell’assenza del cartello che ti annuncia “Attenti al cane!” gli verrebbe da pensare come, dopo tutto, qui sarebbe stato ben più onesto scrivere da qualche parte: “Attenti al pescecane!” Che proprio non essendo per sua innata propensione solito abbaiare, bensì muto quanto un pesce, tendenzialmente si ritiene possa essere mordace. “Per tutte le balene avide dei Sette Mari” Sembra quasi di sentirli: “Ho visto più giù a valle una villetta a schiera con una scorrevole che dà verso il balcone. Dopo tutto mi accontenterò.”
Si, in effetti…Tra tutte le caratteristiche architettoniche di un grande appartamento, forse non se n’era mai sentito di una più imprevista e al tempo stesso imponente: un’intera singola stanza, capienza 30.000 litri, dedicata al più umido, complesso, oneroso e totalizzante degli hobby/passatempi, ovvero un grande acquario di barriera. Con tutti gli Amphiprioninae dalle strisce pagliaccesche, gli Acanthuridae unicorno con la mascherina da chirurgo e i Pomancathidae con ali d’angelo, che chi ama osservare la vita all’opera da dietro un vetro possa mai desiderare, ma anche e sopratutto una considerevole fetta del loro reale ed insostituibile ambiente naturale, con almeno due tonnellate di quelle che nel settore vengono chiamate le “rocce vive”, attentamente coltivate negli stabilimenti di settore per giungere ad integrare varie forme di poriferi, echinodermi, ascidie, decapodi, policheti, spugne, molluschi ed alghe, riunite in un ammasso di creature in grado di filtrare l’acqua, agevolando il ciclo dell’azoto per facilitare la sopravvivenza dell’intero ambiente artificiale. Non è certamente un caso, dunque, se da quando fu severamente vietato il prelievo diretto di simili materiali dalla maggior parte dei mari tropicali del mondo, i cultori degli acquari si siano rivolti a tali soluzioni innaturali ma pur sempre funzionali, caratterizzate da minore biodiversità ed un numero minore di creature per centimetro cubo. Sembra quasi, dopo tutto, che l’obiettivo di tenere vivi i pesci sia diventato secondario, o in termini migliori l’automatica conseguenza, della sacra missione di ricrearsi in casa un qualche cosa di raro, unico e prezioso, almeno quanto la grande foresta dell’Amazzonia.
Ma ora basta rimuginare. Già la luce sta calando, mentre le dozzine di lampade al LED si accendono nel controsoffitto del più grande recipiente personale mai costruito, mentre inizia il periodo di maggiore attività della giornata. I pesci accelerano la loro marcia frenetica, alla ricerca dell’ultimo scampolo di plankton o squisito gamberetto, mentre d’improvviso, l’acqua si agita per una leggera increspatura. Dalla botola, molto, MOLTO lentamente, sta calando giù una scala, che trova ben si trova ben presto ad appoggiare sul distante pavimento. A quel punto, un piolo dopo l’altro, nel profondo di quei luoghi getta la sua ombra non certo l’aspirante ladro bensì proprio Eli, l’ingegnere, l’architetto, il proprietario ed il creatore di tutto questo. Con la maschera e il boccaglio, egli inizia la supervisione interna del suo luogo prediletto nell’interno mondo del sensibile. Siamo nello stato di Israele, ed è chiaro che costui dispone di risorse finanziarie niente affatto indifferenti. Giusto la scorsa settimana, capitolando alle richieste dei molti seguaci internettiani accaparrati con il primo video, lui ha deciso di fornirci un po’ di dettagli sul funzionamento di una tale meraviglia della tecnica e l’indubbio sogno realizzato di un’intera vita. Le informazioni fornite potrebbero facilmente definirsi, sotto molti significativi punti di vista, come delle vere e proprie rivelazioni.

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Ultimo atto: i sedili spariscono sotto il teatro

Laura Turner Concert Hall

Occorre spezzare una lancia a favore delle soluzioni multi-uso: perché quando mai è stato meglio disporre di uno spazio architettonico facente le funzioni di supermercato, un altro con la farmacia dentro, ed un terzo in cui ci sono il ristorante col bar… Rispetto ad un singolo edificio in cui c’è tutto questo e molte altre cose, parallelamente ben disposte lungo l’ampia galleria del centro commerciale! Mentre invece, in una grande capitale europea che possa dirsi davvero “culturalmente elevata”, da sempre coesistono il teatro dell’opera, l’auditorium, la sala da concerti, il centro conferenze… Laddove all’altro capo dell’Atlantico, tra gli orsi bruni e le aquile di mare, il cittadino americano ben conosce quell’approccio estremamente pratico, che consiste nell’adottare la soluzione omni-comprensiva del PAC, alias: Performing Arts Center. Un significativo passo avanti nell’unione tra convenienza e funzionalità, bellezza estetica e portata delle soluzioni tecnologiche nello specifico campo architettonico fin qui delineato. Prendi per esempio, lo Schermerhorn Symphony Center, vistoso edificio neoclassico nel quartiere SoBro di Nashville, finanziato e correntemente impiegato dall’orchestra sinfonica della città. Con una sala per le lezioni di musica o l’ascolto di musica da camera (170 posti a sedere) uno spazio per le presentazioni aziendali (fino a 60 partecipanti) un piano bar (120 seduti/225 in piedi) il grande lobby fronte giardino (200) la sala club (80) un grande salotto per i ricevimenti privati (55) e sopratutto la vasta Sala da Concerto “Laura Turner” con soffitti alti 12 metri, otto candelieri monumentali, pavimenti pregiati e l’organo da 3.568 canne appositamente progettato dalla Schoenstein & Co. di San Francisco, fatto per scomparire dietro un’elegante pannellatura in tutti i casi in cui non dovesse rendersi necessario. Perché di volta in volta, le fino a 1860 persone che possono prendere posto nell’augusta sala, potranno averlo fatto, nella maggior parte dei casi, con una di tre diverse finalità: A- Ascoltare un concerto di musica classica B- Fare lo stesso con un evento jazz, traditional pop o contemporaneo C- Assistere ad una rappresentazione in stile cabaret o un balletto. Diverse modalità che prevedono, a seconda dei casi, una configurazione dell’ambiente radicalmente diversa, con i sedili che giungono fino a ridosso nel palco nel caso A, mentre lasciano un più ampio respiro se si tratta di una situazione di tipo B, e nel caso della C addirittura spariscono fino quasi a ridosso delle balconate, riducendo gli spazi disponibili al pubblico ma aumentando esponenzialmente quelli per chi dovrà esibirsi. Ora naturalmente, un simile approccio non è totalmente nuovo nel mondo dei teatri e degli auditorium; benché si trovi raramente applicato ad una simile scala di dimensioni. E la ragione è presto detta: riconvertire un’ambiente per simili finalità notevolmente differenti, comporta inevitabilmente lo spostamento fisico di un ampio numero di posti a sedere, che dovranno essere ogni volta disposti in maniera perfettamente equidistante e per di più, secondo le leggi antincendio statunitensi, legati saldamente tra di loro, onde evitare il capovolgimento in caso di fuga precipitosa degli occupanti. Inoltre, problema non da poco, le sedie spostabili a mano sono per loro natura più leggere e dunque meno confortevoli, perché prive di una significativa imbottitura. Difficile negarlo: c’è un ottima ragione se ad oggi ben pochi PAC dimostrano la versatilità dello Schermerhorn. Benché il loro numero, ritengo, sia destinato ad aumentare nei prossimi anni.
Ragione di una simile affermazione? Avrete di certo già guardato il video soprastante, apprezzando l’impiego di questa particolare tecnologia. Il patinato quartier generale dell’orchestra di Nashville dispone infatti, fin dalla sua inaugurazione avvenuta nel 2003, di un fenomenale sistema motorizzato installato dall’azienda canadese Gala Systems, il cui motto “Trasformiamo la vostra visione in realtà” trova riconferma pressoché quotidiana, nell’effettivo funzionamento del particolare sistema brevettato dal nome di Spiralift. Il più compatto sollevatore con motore elettrico in proporzione alla sua potenza, che trova larga applicazione nel campo teatrale per ogni sorta di apparecchiatura o diavoleria, tra cui piattaforme mobili, macchine scenografiche, podi auto-sollevanti ed ovviamente, lo spostamento meccanizzato dei sedili che permette alla stessa sala di fornire gli spazi, a neanche un’ora di distanza, per eventi dalle esigenze di spazio radicalmente diverse. Le possibilità sono letteralmente infinite…

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A due ore da Parigi, un castello in costruzione con i metodi del Medioevo

Guedelon Castle

Un torrione a forma di tamburo, costruito in pietra solida della Borgogna, che sovrasta la campagna e riesca a dominarla con la sua presenza. Con vicino un’altro più piccolo, collegato al primo grazie a un muro dall’altezza di diversi metri. Che a sua volta gira tutto attorno e chiude l’area di un cortile. All’interno del quale sorge una regale abitazione, ben protetta dalle eventuali pietre di una catapulta o l’invasione dei nemici provenienti dall’oscuro regno di una storia ormai distante. Mentre un solo ponticello in legno, non ancora levatoio, costituisce l’unica strada d’ingresso ufficiale per gli anacronistici recessi del castello di Guédelon. Dicono che Camelot fosse un ideale, ancor prima che un regno, famosamente esemplificato dalla metafora della tavola rotonda, sedendosi alla quale i vari e veri cavalieri, rigorosamente in armatura se vogliamo usare l’iconografia più popolare, potessero esprimersi alla pari con il loro re. Una sorta di democrazia ante-litteram, se vogliamo. Perché è indubbio che il poter disporre di fortezze autonome, militarmente o meno, possa costituire il metodo per fare il punto della situazione, e decidere quali aspetti della propria esistenza vanno uniformati al resto della società. E quali altri, invece, niente affatto. Se soltanto un qualcuno di molto eloquente dovesse oggi recarsi presso la commune di Treigny, lasciandosi dietro il vicino paesello di Saint-Sauveur-en-Puisaye per recarsi all’ombra di questi edifici, e rivolgere ai padroni di casa l’arduo quesito: “Si, ma perché?” Egli avrebbe, io credo, una serie di risposte molto variegate. “Questo è il sogno della mia vita” risponderebbe Michel Guyot, l’iniziatore del progetto che ebbe l’occasione di scoprire sotto il vicino e autentico castello di Saint-Fargeau, da lui acquistato nel 1979, i resti di una struttura più antica risalente ad oltre 10 secoli fa, originariamente costruita dal vescovo di Auxerre, Héribert. Niente meno che un figlio biologico di re Ugo Capeto di Francia (940-996) iniziatore della lunga dinastia dei Capetingi. Mentre forse Maryline Martin, imprenditrice locale e capo finanziario del progetto, forse potrebbe affermare che: “Si tratta di un’occasione irripetibile per tutti noi.” Era infatti l’ormai distante 1997, quando lei fornì i finanziamenti per posare la prima delle molte pietre, di quella che sarebbe presto diventata una meta turistica da oltre 300.000 visitatori a stagione, inclusi quelli provenienti dall’estero e uno stuolo interminabile di scolaresche. Perché intendiamoci, in Francia non mancano di certo i castelli, costruiti con trasporto fin da quando re Filippo II, diretto discendente del sovrano succitato che regnò per ben 43 anni a partire dal 1180, fu grande alleato (si dice persino amante!) di re Riccardo Cuor di Leone e fece stilare la serie di regole ed indicazioni per un’appropriata struttura difensiva del suo vasto regno: pianta poligonale, alte mura costruite su plinti, fossati privi di acqua e torri tonde con un giro completo di feritoie, una delle quali notevolmente più grande delle altre – pensate alla tour maîtresse di Yévre-le-Châtel, Ratilly, o quella di Druyes-les-Belles-Fontaines… Ma quanti di questi luoghi, ad oggi, possono considerarsi realmente vivi? Nel senso di essere abitati quotidianamente, da persone che li usano come loro primaria residenza, per di più adottando e facendo proprie le stesse limitazioni e caratteristiche di una vita che possa dirsi realmente “medievale”? Soltanto uno, ovviamente. L’insolito castello costruito a posteriori dell’odierno Guédelon.

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Le insospettate doti acustiche dei vostri asciugamani

DIY Towel Panels

Magari amate fare pratica con gli strumenti musicali. Forse avete un hobby che comporta la registrazione della vostra voce, come la realizzazione di un programma radiofonico via web, oppure lo streaming in diretta via Twitch e/o YouTube. Oppure ancora e molto più semplicemente, siete degli estimatori della buona musica, con un impianto di cui andate fieri, ma non avete ancora pensato d’investire nell’approntamento di un ambiente d’ascolto realmente adeguato. Si, si può capire: l’isolamento adeguato di una stanza della casa da influenze esterne, parallelamente alla riduzione del rimbalzo delle onde sonore sui muri (causa del fastidioso effetto del riverbero acustico) presuppongono non soltanto l’acquisto di un certo numero di appositi pannelli, più o meno costosi a seconda della casa produttrice e prestazioni, ma anche la complessa disposizione di questi ultimi secondo specifiche progettuali attentamente definite, avendo cura di non danneggiare la delicata gommapiuma permeabile in cui essi sono fabbricati. E ciò senza considerare il proverbiale pachiderma nella stanza: il risultato estetico di queste dozzine di quadrati neri o grigi, esteticamente simili a cartoni delle uova. Mostri oscuri che dovranno diventare parte inscindibile dell’arredo della vostra abitazione, come una sorta di tappezzeria dell’era spaziale. Certo, non a tutti piace vivere nell’approssimazione visuale di una camera anecoica incompleta! E ciò può diventare tanto più problematico per chi vive con moglie, figli, coinquilini o genitori. La proposta fatta dal qui presente artista del fai-da-te, Matt di DIY Perks, diventa tanto più interessante con il ruolo di una sorta di mezza misura, molto più accessibile di tutte le alternative normalmente prese in considerazione, e che soprattutto ha un costo che, a seconda dei materiali di cui già disponete, potrebbe avvicinarsi vertiginosamente allo zero.
Il tutto prende l’origine, in maniera piuttosto scientifica anche se non esattamente inconfutabile, con l’approntamento da parte del nostro eroe di un apparato in giardino, consistente in un altoparlante posto parallelo al terreno, un sostegno di fili in nylon e sopra di esso, un microfono sospeso ad una sorta di teepee. Il ragionamento che lo ha portato ad approntare un ambiente di prova all’esterno, piuttosto che nella camera oggetto della sua necessità, va probabilmente ricercato nel bisogno di eliminare dall’equazione il possibile rimbalzo del suono sulle pareti circostanti, che aveva la potenzialità d’invalidare i risultati della sua registrazione. Non che il passaggio delle automobili distanti, il canto degli uccelli e gli altri innumerevoli rumori del suo quartiere siano tanto meglio, ma che cosa ci vuoi fare… Autoprodotto il sistema, autoprodotto il video, e così pure l’approccio sperimentale alla risoluzione del problema. Ciò è semplicemente endemico nella presente classe di tutorial. Matt ha quindi impiegato il suo smartphone per far produrre all’altoparlante alcune frequenze scelte arbitrariamente, e nello specifico quelle andanti dai 5 ai 17 Khz, con l’obiettivo di eleggerle a campione del tipo di suoni che intendeva mettere alla prova. Ciò che ha fatto quindi successivamente, è stato interporre tra cassa e microfono una serie di oggetti di facile reperibilità, per scoprire quali avessero le doti migliori di fonoassorbenza. I risultati sono stati a volte prevedibili, altre sorprendenti: la gommapiuma da pacchi, esteriormente non dissimile da quella creata esplicitamente a tale scopo, si è invece rivelata come portatrice di un effetto trascurabile, del tutto inadeguato. Nel frattempo la schiuma espansa dei cartoni delle uova americane, un altro mito del settore purtroppo assai diffuso tra gli studi di registrazione dalla poca professionalità, non ha ottenuto risultati in alcun modo superiori. Con l’impiego di un cuscino, invece, è andata molto meglio: ma in quel particolare caso, assai probabilmente, è stata la massa stessa dell’oggetto a fare la differenza. Ciò che invece nessuno si sarebbe assai probabilmente mai aspettato, è l’ottimo risultato ottenuto alla fine con l’impiego di un comune asciugamano da bagno ripiegato su se stesso. Che si dimostra in grado di assorbire, per lo meno nella strana configurazione sperimentale di Matt, una quantità di suono superiore di quasi il doppio alle alternative. Dico, vi rendete conto di che epoca stiamo vivendo? Perché mai succede questo? Prima di fare delle ipotesi, analizziamo per un attimo le implicazioni.

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