La macchina rotolafunghi che ne processa 14 tonnellate l’ora

Havatec

L’Agaricus bisporus, comunemente detto fungo champignon o prataiolo, è una pietanza molto diffusa che viene raccolta ed apprezzata in oltre 70 paesi al mondo. La sua coltivazione é praticata a partire dal XVI secolo, tradizionalmente all’interno di grotte e caverne, mediante l’impiego di letti fertili a base di limo, torba, paglia fermentata e, naturalmente, l’inevitabile letame. A differenza di ogni altro tipo di erba, pianta o arbusto, infatti, il particolare apparato vegetativo dei funghi (detto micelio) permette loro di sopravvivere e produrre spore anche nella quasi totale assenza di luce solare, situazione in cui anzi sono soliti trovarsi perfettamente a loro agio. I prataioli crescono quando le condizioni sono favorevoli, che sia giorno o notte, ma forse non è un caso che si vadano a cogliere generalmente di mattina. E non tutti i funghi, dopo il brusco risveglio, finiscono in ceste di vimini direttamente destinate alle nostre tavole imbandite; per alcuni di loro il processo avviene in modo decisamente più graduale. Come, ad esempio, scivolando e sobbalzando sugli arzigogolati nastri trasportatori di questo impressionante macchinario, di proprietà dell’azienda agricola olandese Van Asseldonk champignons Boekel, in grado di dividerli, selezionarli e tagliarli tutti alla stessa lunghezza prima di eseguire, persino, l’inserimento nelle classiche cassette in plastica da supermarket.

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Demolendo torri di raffreddamento in bullet time

The Slow Mo Guys

“Non avere paura. L’isola è piena di rumori, di suoni e dolci arie che danno gioia e non fanno male.” così si aprivano a fine luglio i giochi olimpici di questo 2012, citando un brano shakespeariano sul colonialismo e l’industrializzazione. Perché a seguire, tra i fuochi d’artificio e le fiamme scenografiche, sorgevano dal suolo dello stadio le alte ciminiere delle fabbriche, antico emblema di rinnovamento così strettamente legato alla storia e al paesaggio dell’intera Gran Bretagna. Elemento architettonico che, purtroppo o per fortuna, ogni giorno che passa diventerà sempre più insolito e superfluo. Con la progressiva crescita dei paesi emergenti, infatti, fautori di una nuova e più moderna Rivoluzione Industriale, fatta di transistor e servomeccanismi, il governo e le aziende inglesi hanno intrapreso da circa un anno il mega-progetto finalizzato alla demolizione di tutte le vecchie e ormai inutili centrali elettriche a petrolio e carbone, disattivate da tempo, annientando con esse ogni singolo esemplare della loro struttura più caratteristica e riconoscibile: la torre di raffreddamento iperboloide (quella della centrale atomica di Springfield, per intenderci).  Di certo le dolci arie della nuova Inghilterra, dotata di un più sincero e profondo senso di attenzione per la natura, danno gioia e non fanno male. Tranne che alle arcaiche ciminiere, vittime inconsapevoli del cambiamento.

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Sinfonie d’asfalto: la strada canterina che conduce al monte Fuji

Strada musicale_1

Chi non scala il Monte Fuji almeno una volta nella vita è uno stolto, recita la prima parte di un proverbio giapponese. Un detto che si può tranquillamente intendere in senso letterale, perché la più famosa delle tre montagne sacre è un luogo affascinante in cui natura e tradizione s’incontrano a formare panorami memorabili, del tutto unici al mondo. O forse invece, come spesso capita nei detti popolari, il significato vero va cercato nella valenza più profonda di tale concetto: si potrebbe intendere che il senso comune, l’abitudine, possano portarci solo fino a un certo punto e qualche volta ci sia il bisogno di superare se stessi, stupirsi, metterci alla prova e cambiare le regole fondamentali del nostro quotidiano. Come fece probabilmente l’ingegnere stradale Shizuo Shinoda, inventore del più lungo strumento musicale al mondo, una striscia d’asfalto costruita con accorgimenti particolari che, guidandoci sopra alla giusta velocità, riprodurrà con efficacia l’intera sequenza di un’articolata e riconoscibile melodia.

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Le due viti infinite che nel ’26 viaggiarono oltre la neve

Snow_Devil

E’ tutta una questione di superfici. Puoi avere il motore più potente, il battistrada termico di gomme specializzate di ogni marca o le migliori catene d’importazione, ma se il bianco manto invernale è davvero profondo dovrai restare lo stesso a casa. La tecnologia motoristica che sfruttiamo per muoverci ha il suo inevitabile peso, mentre la neve è per sua natura friabile e traditrice. Quante buche si sono aperte a sorpresa sotto i capaci pneumatici di un automobilista determinato a raggiungere il posto di lavoro a gennaio? Quante motoslitte artiche, con tanto di cingoli, sono scivolate in invisibili crepacci ghiacciati, rivelati all’improvviso da un sottile e rassicurante manto nevoso? I veicoli di terra convenzionali non sono in grado, come le imbarcazioni o gli aerei, di sfruttare a loro vantaggio i complessi equilibri fisici delle sostanze che compongono il loro ambiente, galleggiando tranquillamente sopra i pericoli nascosti dalle strade ricoperte di neve profonda e ghiaccio. C’è stata però un’epoca in cui il problema era stato risolto, sembrava, per tutte le epoche a venire. Un anno lontano, a cavallo tra le due guerre, in cui i trattori americani viaggiavano non più su ruote ma impiegando l’energia dinamica di una coppia di viti di Archimede, simili a trivelle. Questo è il Fordson “Snow Devil” uno dei mezzi di trasporto più rivoluzionari del secolo scorso, un’invenzione geniale che, per un capriccio della storia, non diede inizio ad alcun tipo di rivoluzione.

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