Bere un bicchiere o due di troppo di pregiata vodka russa non è probabilmente un’ottima idea quando si sta uscendo di casa per andarsi a fare quattro passi nella foresta più vicina. E in effetti non c’è alcuna prova che il protagonista del video intitolato “Храбрый глухарь 3” (Urogallo coraggioso 3) abbia fatto questo specifico tipo di errore, se non gli stereotipi nazionali privi di fondamento e la sua reazione potenzialmente troppo rilassata all’episodio di quell’infuriata creatura dal becco ricurvo, il contegno impenitente e un peso approssimativo di 7 Kg, paragonabile a quello di un grosso gatto che ha ormai smesso, da qualche pericoloso minuto, di fare le fusa. Chi può dirlo: potrebbe trattarsi soltanto di una personale propensione all’imprudenza. E di certo io non avrei fermato frettolosamente il fuoristrada per l’avvistamento improvviso a margine del percorso sterrato di un Tetrao urogallus, comunemente detto gallo cedrone, soltanto per andare a sedermi vicino alla poco familiare creatura, allo scopo di stuzzicarla e farmela salire addosso nella versione aviaria di quel particolare tipo di roulette, che prevede la rapida rotazione del tamburo di una pistola dopo aver caricato un singolo proiettile nello stesso. Ma d’altra parte, in nessun caso potremmo affermare di avere a nostra disposizione un numero sufficiente d’informazioni per contestualizzare una simile contingenza.
Sappiate ad ogni modo che c’è una cosa, in particolare, che tutti dovrebbero sapere sul membro più imponente del genus dei Tetraoni, suddivisione ulteriore della stessa famiglia a cui appartengono i fagiani (il quale non potrebbe avere meno a che vedere, in effetti, con il comune pollo domestico): nella stagione degli amori, gli esemplari maschi tendono a diventare lievemente aggressivi. E con lievemente intendo che, nell’epoca in cui simili creature erano ancora comuni nel territorio italiano anche al di fuori di poche incontaminate foreste al Nord, faceva parte della comune sapienza popolare l’idea che all’inizio della primavera, il Diavolo in persona salisse in superficie, allo scopo d’influenzare personalmente il comportamento dei suoi più improbabili rappresentanti in Terra. Questo perché nel momento in cui iniziano ad essere costituiti i cosiddetti lek, o raduni per la competizione tra maschi allo scopo di accoppiarsi con il maggior numero possibile di controparti femminili, il gallo cedrone assume un comportamento aggressivo che lo porta a sfidare direttamente non soltanto altri membri della sua stessa specie, talvolta finendo per combattere fino alla morte, ma anche tronchi d’albero, automobili, potenziali predatori, macigni inamovibili e qualora se ne presentasse l’occasione, membri malcapitati del genere umano.
Capitati male, malissimo. Perché la tipica reazione di chi viene aggredito da un pollo tende a configurarsi con quel tipo di sorpresa che conduce immancabilmente all’ilarità, il che vista la somiglianza del tutto accidentale tra il verso chiocciante dell’uccello e le grasse risate prodotte dal nostro apparato fonatorio, non può che farlo arrabbiare ancor di più. E se pensate che niente di veramente problematico possa nascere da tutto questo, osservate adesso l’esperienza di un altro incauto frequentatore dei boschi dell’Est Europa…
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Un viaggio nella foresta dei cinghiali barbuti
Il dramma quotidiano del suino di ogni possibile nazionalità è più o meno sempre lo stesso. E potrebbe riassumersi nel fatto che ogni volta che tenta di pronunciare: “Buongiorno, signore. È stato portato alla mia attenzione che lei potrebbe avere del cibo. Potrebbe cortesemente confermare o smentire una simile presa di posizione?” l’unico suono che fuoriesce dal suo grugno appiattito parrebbe essere: oinkoinkoin-grunf-wiiiii e così via dicendo. Ed è soprattutto per questo che, nel tipo di dialogo interspecie che tende a portare un vantaggio gastronomico di qualsivoglia tipologia e un transitorio senso di soddisfazione da parte dell’umano di turno, diventa per lui essenziale sapersi esprimere attraverso il linguaggio del corpo. Spalancare quei tristi occhioni, farsi espansivo e pacifico, muovere le orecchie a ritmo col sussurrante richiamo della sua giungla, che può essere letterale, approssimativa o persino urbana (qualcuno potrebbe arrivare a chiamarla “Roma Nord”)… Oppure perché no, sorridere sotto un gran paio di affascinanti baffi. Come dite, i maiali selvatici, da quando Miss Piggy ha lasciato lo show-business, non possiedono alcun tipo di folti mustacchi? Questioni di punti di vista, come si suol dire pressoché ovunque. Oppure questioni di contesto geografico, come potrebbero affermare gli orgogliosi abitanti della più grande isola d’Oriente, suddivisa tra tre paesi che si sono spartiti una delle più vaste ed antiche foreste pluviali al mondo. Ma non c’è percezione alcuna dei confini tra Malesia, Brunei ed Indonesia, nella tranquilla esistenza del Sus Barbatus, comunemente detto babi hutan o suino pelosamente avvantaggiato. La cui caratteristica principale sembrerebbe essere, oltre al caratteristico ciuffo bilaterale sul muso, zampe particolarmente lunghe, forti ed agili, perfette per compiere lunghe migrazioni attraverso l’intero estendersi del proprio areale.
Il che costituisce, senz’ombra di dubbio alcuno, il nesso principale della questione: nulla di tutto ciò riesce a cogliere l’occhio potrebbe esistere, senza l’intervento puntuale, e continuativo, dell’amichevole quanto interessata genìa grugnente, il cui naso rosa è da sempre sinonimo di un qualche tipo d’indagine approfondita del sottobosco. Coadiuvata dall’impiego di un orologio biologico estremamente funzionale, che indica al suo possessore il momento esatto in cui l’eccezionale biodiversità vegetale dei un simile luogo d’appartenenza ha terminato la fase di fioritura, e sta per riversare a terra una vasta quantità di ghiande o altri frutti simili, alternativa naturale al continuo bisogno d’infastidire i custodi delle dispense umane. Il che avviene, secondo uno schema evolutivo tipico delle dipteracee, nutrita famiglia d’arbusti di cui fa parte la canfora del Borneo (Dryobalanops aromatica) con tempistiche scaglionate tra i diversi angoli della foresta, quasi seguendo un copione attentamente iscritto nel succedersi esatto delle stagioni. Una tempistica talmente importante per la sopravvivenza e prosperità del babi hutan, che esso arriva a pianificare la sua attività riproduttiva sulla base delle grandi migrazioni che ne derivano, affinché i piccoli siano sufficientemente grossi e forti da poter affrontare i molti pericoli della terra in cui dovranno, un giorno, riuscire a imporsi in qualità di onnivori e sostanziali dominatori. Ma sarebbe certamente superficiale, pretendere di esaurire una simile attività come mera funzione di accaparramento ed accrescimento personale, laddove l’attività dei maiali diventa effettivamente la via d’accesso, per la foresta stessa, ad un fondamentale metodo di propagazione attraverso il trasporto a rilevanti distanze di molte, molte migliaia di semi…
Il pesce combattente, fiore d’acciaio dello stagno del Siam
Forma variopinta che si agita nel vento, la piuma sull’alto cimiero del cavaliere al galoppo in un torneo. E se… Giunti al momento culmine della tenzone, appena sfiorato dalla lancia del suo avversario, l’ornamento si staccasse per finire dentro il fiume più vicino e se… Colpita da un fulmine d’un tratto, questa cosa prendesse a muoversi di propria stessa iniziativa, nuotando e definendo un territorio e difendendolo come se ne andasse della propria stessa sopravvivenza. Oppure quella della sua prole. Qualcuno potrebbe giungere a definirla un’ipotesi mostruosa. Il Dr. Frankenstein, una vera fortuna! Ma per gli abitanti di un’areale particolarmente ampio situato nell’intero Sud-Est Asiatico, nient’altro che la metafora più utile a definire il rissoso, magnifico, iracondo Plā kạd (ปลากัด – Pesce combattente) noto nel mondo anglosassone col nome falsamente rassicurante di betta fish.
Tipico abitante degli acquari in funzione del suo aspetto notevolmente attraente, oppure delle minuscole bocce di vetro anche usate per i pesci rossi, in funzione della falsa diceria secondo cui si tratterebbe di un “animale adattabile” senza effettive necessità di uno spazio vitale legittimamente proporzionato. Questo perché in effetti, come appartenente alla famiglia degli anabantoidei (volgarmente detti gourami) il Betta splendens presenta il vantaggio evolutivo dell’organo chiamato labirinto, un’espansione epibranchiale che gli permette di assumere l’ossigeno attraverso la stessa aria respirata dagli umani. Un’adattamento utile a vivere nelle acque stagnanti, durante il prosciugamento delle stesse nel corso della primavera o l’estate inoltrata, dove usa la sua bocca rivolta verso l’alto per fagocitare principalmente gli insetti caduti dall’alto o le larve di zanzara. Mentre un tipo diverso di qualità, ricevuta in “dono” dagli umani, è la straordinaria varietà di livree e colori con cui può presentarsi questa singola specie, in una tipica dimostrazione di quello che può fare l’allevamento sistematico a scopo riproduttivo, dietro una selezione dei geni considerati arbitrariamente migliori. Il pesce combattente presenta infatti un rivestimento di scaglie parzialmente sovrapposte, che agisce come una sorta di corazza durante le frequenti schermaglie con gli altri membri della sua genìa, la cui caratteristica è quella di presentare una serie di pigmentazioni sovrapposte a strati. Ragion per cui l’obiettivo del broker biologico diventa quello di “spogliare” parzialmente una particolare linea ereditaria dell’una o l’altra tonalità, ottenendo facilmente creature con straordinarie mescolanze di rosso, giallo, blu e azzurro, talvolta mescolati tra loro e ulteriormente impreziositi da effetti di tipo iridescente.
Il risultato, ritengo, potrà essere ammirato a pieno grazie ai veri protagonisti del video sovrastante, vecchia e famosa registrazione dell’annuale Congresso Internazionale dei Betta, tenutosi in quell’anno sotto la supervisione della componente tedesca dell’omonima organizzazione, fondata nel 1966 negli Stati Uniti. A poco più di un secolo di distanza da quando il re della Thailandia, Rama III (regno: 1824 – 1851) ebbe per primo l’idea di supportare e promuovere l’allevamento selettivo di questi animali assai meno esteticamente appaganti in natura, del tutto ignorati dalle tradizioni più antiche relative a “pesci per collezionisti” di buona parte dell’Asia, come i ciclidi o le già citate carpe sottodimensionate dalla colorazione integralmente vermiglia. Il fatto che oggi vengano istintivamente associati a queste ultime, come versione più esteticamente affascinante della stessa espressione di vita subacquea tuttavia, non del resto ha mai cessato di causare problemi a questi piccoli guerrieri dello stagno…
L’inquietante albero che sanguina come una persona
Difficile immaginare un’esperienza peggiore di trovarsi a fare una serena passeggiata nell’oscura selva degli Inferi quando la propria guida tramite intercessione Divina, in realtà un ex-poeta romano di una certa fama, vi dice con tono enfatico: “Perché non provi adesso a spezzare il rametto di questo arbusto contorto e straziato dalle arpie?” Il che dovrebbe, ragionevolmente parlando, suscitare in voi un certo senso di sospetto. Considerato il contesto, l’indole goliardica del soggetto e così via dicendo. Ma per amor di questa Commedia, diciamo che accettate di farlo; grosso errore! Perché allora sentirete un grido riecheggiare nella penombra chtonia; mentre linfa vitale vermiglia inizierà a colare dal moncone legnoso; e l’anima tormentata di quel defunto, trasformato in un vegetale per punizione del suo stesso suicidio vi chiederà con voce tremante: “Per quale ragione mi fai questo? Pier della Vigna non ha forse già sofferto… Abbastanza?”
Per lo meno, in quel particolare contesto storico/letterario. Poiché vi sono cose che la tecnologia migliora. Ed altre invece che ne vengono, per così dire, enfatizzate. Ovvero portate agli estremi: vedi l’esempio della classica sega elettrica a nastro. Usando la quale un ignoto boscaiolo deve pur aver fatto nel corso degli anni la sua shockante conoscenza del genus Corymbia, un tipo di albero della gomma di tipologia kino, strettamente imparentato con gli eucalipti, che possiede una caratteristica molto particolare. Quella linfa simile al sangue in grado di scaturire dalle sue ferite, ricoprendole e coagulandosi per protezione esattamente come succede agli esseri del regno animale. In merito a cui verrebbe da chiedere nell’impressionante frangente, rivolgendosi a Madre Natura stessa: “C’era davvero bisogno di farla… Rossa?”
Mani insanguinate. Scarpe insanguinate. Il volto contorto dal senso di colpa e lo stesso strumento a motore di taglio, macchiato senza apparente speranza di ritornare quello che era. Con quell’albero dannato che, alquanto incredibilmente, sembra emanare il torturato flusso a getti successivi, quasi fossero causati dal battito di un cuore nascosto. Vedere per credere, uno dei tanti video reperibili online. Ora io non saprei quale sia l’origine precisa di un tale fenomeno (benché si possa ipotizzare essere connesso alla viscosità della resina e l’accumulo di pressione in prossimità della corteccia esterna) ma non mi sorprenderebbe affatto se, nella storia pregressa della foresteria australiana siano effettivamente esistiti dei letterali obiettori di coscienza, disposti a fare il proprio lavoro in qualsiasi occasione, tranne quando relativo a un albero di questa disperata genìa. La storia c’insegna, del resto, come arbusti dalle caratteristiche molto simili furono sempre associati a un concetto mitologico di estrema rilevanza: quello del sangue dei draghi, di cui si riteneva che fossero la forma ormai defunta e incapace di nuocere, benché ancora dotata di un certo raziocinio inerente. Da lì all’esperienza di Dante, e prima di lui lo stesso pio Enea nell’opera più famosa del suo anfitrione Virgilio, ai danni del trasfigurato principe Polidoro di Troia, il passo è (relativamente) breve…