Il sinuoso tempio del dio cobra che si erge dalla cima del colle indiano

Camminammo lungamente sul sentiero di montagna, dopo esserci fermati con la macchina lungo la strada che conduce a Vemulawada nel distretto di Rajanna Sircilla, stato di Telangana situato nell’India centro-meridionale. Con l’idea ben fissa nella mente di raggiungere la vetta del dolce declivio, ove ammirare il piccolo santuario storico di Lakshmi Narasimha Swamy, dedicato al quarto avatar (incarnazione) del sommo dio Vishnu. Prima di avvistare l’attesa statua di quel guerriero dalla testa di leone, d’altra parte, il nostro sguardo venne catturato da qualcosa d’inaspettato: una figura antropomorfa, in posa rigida e orgogliosa, la pelle blu degli esseri divini, situata sulla cima di una grossa forma animalesca ricoperta di scaglie. La cui natura, continuando a risalire il sentiero, iniziò a palesarsi in maniera gradualmente più chiara: un rettile dalle svariate teste, dalle dimensioni identificabile come un sovrano del popolo rettiliano dei Naga, altrimenti detto Devatha, il grande cobra reale.
O nel caso specifico, come identificabile dalla contingenza, niente meno che il malefico serpente Kaliya così ritratto nel tempio locale di Nampally Gutta, in procinto di essere sconfitto da un’altra manifestazione del sommo distruttore al culmine della Trimurti, l’Essere supremo o Krishna, privo di qualsiasi limitazione imposta dalle circostanze del mondo materiale. Che presentandosi un giorno presso l’insediamento degli yogi lungo il corso del fiume Vrindavan assieme alla sua madre adottiva Yasoda, nella guisa di un fanciullo, si mise a giocare a palla col coetaneo Rādha. Finché per un passaggio sfortunato, l’oggetto non cadde nelle acque turbinanti di quel flusso, famose per l’enorme quantità presente al loro interno, causa la presenza di una creatura malevola ed orribilmente antica. Il che non bastò, a quanto si narra, dal dissuadere il dio dal gesto in apparenza avventato di tuffarsi in acqua per recuperare l’oggetto del divertimento, svanendo ben presto al di sotto della superficie, mentre già le spire del mostro si avvolgevano attorno al suo piccolo corpo. Ora tra l’orrore dei presenti, Krishna parve inizialmente avere la peggio, se non che dopo una manciata di attimi, balzando agilmente fuori dai flutti, non si mise con grazia a danzare, sopra quelle che ben presto si rivelarono essere le plurime teste del temuto Kaliya. Ed ogni volta che i suoi piedi ne toccavano le scaglie, ancora umide dell’acqua dei millenni, lui assumeva temporaneamente il peso dell’intero Universo, schiacciando e annichilendo poco a poco l’enorme serpente. Finché avvicinandosi al culmine della sua opera, dinnanzi a lui si palesarono le mogli di quell’essere, dall’aspetto di donne con la coda di serpente, le quali dissero: “Oh sommo Krishna, risparmia il nostro signore. Egli farà perciò ritorno alla sua isola di Ramanaka, da cui il grande uccello Garuda l’aveva scacciato. Se potrai chiedergli di non attaccarlo nuovamente, ti giuriamo, non dovrai più assistere alla sua venuta nelle terre dei mortali.” Meditando brevemente sull’offerta, Krishna decise quindi di soddisfare la richiesta delle donne dei Naga, permettendo al Devatha di recarsi verso il suo permanente stato d’esilio.
Una sorta di storia cautelativa, se vogliamo, dal pericolo latente rappresentato nelle storie mitologiche dalla figura dell’innocente, soprattutto quando appare all’improvviso e senza un’apparente soluzione di continuità. Il tipo di canone narrativo che potremmo giudicare niente meno che perfetto, al fine di arredare quello che potremmo definire come un’edificio votivo dislocato all’interno di un lungo, e serpentino corridoio…

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L’esagerazione bucolica del cane scarrozzato in giro sul triciclo dello Yunnan

Come un importante sovrano dell’epoca dei Sette Regni, il “Grande Re” sorveglia l’operato del cocchiere dallo scompartimento sopraelevato del suo maestoso carro vermiglio. La folta chioma al vento, le orecchie protese verso i suoi attraenti della natura, il naso umido orientato rigorosamente nella direzione del vento. La grossa zampa elegantemente appoggiata per sorreggersi alla paratia divisoria, una lingua rosa ben visibile tra le sue fauci semiaperte in un magnanimo sorriso. “Bene, uccelli della foresta. Avete il mio permesso, lucertole che corrono sui tronchi. Oggi Dawang (大王) è felice e soddisfatto, dunque una volta giunto a destinazione, non v’inseguirà fino all’ingresso delle vostre tane.” Parrebbe quasi dire, se non che una volta giunti a destinazione, quando il celebre Dong Chaoyu apre lo sportello posteriore per lasciarlo scendere dal suo veicolo, si scopre come il cane dall’appellativo altisonante sia piuttosto pacifico ed invero, affetto da uno stato semi permanente di rilassamento e pseudo-letargia. Forse per il clima, magari per l’età, possibilmente per la corporatura tozza di un copioso mangiatore dei ben noti manicaretti cucinati in famiglia, l’Alaskan Malamute più celebre dell’Estremo Oriente tende ad aggirarsi con fare flemmatico nelle immediate vicinanze del sito in cui il moderno cocchio è stato parcheggiato, annusando qui e là prima di procedere allo svolgimento dei suoi importanti affari. Dunque con un agile (?) scatto canino, torna sul sedile immaginario del co-pilota, comprensibilmente ansioso di ritornare dalla sua padrona. “Apenjie with Dawang” recita il titolo in inglese del canale, con diretto riferimento alla ragazza occasionalmente nota come Sorella del Secchio (阿盆姐) da un curioso vezzeggiativo usato dal suo giovane cuginetto, con riferimento alle particolari circostanze della nascita di lei, occasione nella quale gli abitanti del villaggio portarono in dono ai genitori, tra le altre cose, un secchio ed un pollo. Così come si usa fare tradizionalmente nella contea di Shidian, provincia di Baoshan, regione storica del Dianxe. Che inerentemente potrebbe anche fornirvi un valido indizio su colei di cui stiamo parlando, con riferimento indiretto a un altro dei suoi molti nomi: Dianxi Xiaoge (阿盆姐) il “fratellino” della suddetta area geografica, nonostante l’assoluta femminilità di aspetto ed argomento della sua ben nota creatività videografica. Sufficientemente articolata ed innovativa, persino nel variegato contesto internettiano, da averla portata dopo il 2016 con i suoi video di cucina sulla cresta dell’onda del moderno movimento cottagecore, generalmente riferito a un certo tipo d’idillio, quasi troppo perfetto e molto amato dalla cultura cinese, della vita di campagna condotta sulla base dei valori e metodi tradizionali. Tutto questo successivamente al suo repentino ritorno in campagna, dopo aver abbandonato il corso di allieva della polizia e una carriera nel marketing a Chongqing, per aiutare il padre affetto da problemi di cuore. Ma la vita all’interno di una metropoli può cambiare sostanzialmente le aspirazioni di una persona. Giungendo ad includere tra esse, causa l’avvistamento di casuale di un esemplare di proprietà all’interno di un parco, la possibile adozione di un grande, grande cane. 71 Kg (120 jin/斤 o libbre cinesi) di bestia proveniente dalle più remote regioni nordamericane, idealmente pronta ed abbastanza forte da occuparsi del traino di una slitta dalle dimensioni sufficienti ad ospitare l’intero nucleo familiare di Apenjie, accompagnati forse anche un paio d’amiche e/o amici. Idealmente…

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La cerulea, circolare arte delle targhe commemorative sui palazzi d’Inghilterra

Come un macigno posto lungo il corso di un grande fiume, la memoria dell’uomo viene erosa dallo scorrere insistente delle decadi ed i secoli trascorsi, diventando progressivamente meno nitida ed approfondita nei dettagli delle vite trascorse. Intere vicende di persone che hanno frequentato i sentieri alterni della vita, lasciando impressa una testimonianza pratica dei loro trascorsi tra le moltitudini presenti e future: artisti, filosofi, uomini politici e simili membri di una società indivisa, in cui ci è sempre apparso come invito implicito ed inevitabile, la diretta associazione tra le loro gesta e i luoghi in cui hanno trascorso i loro giorni tra le schiere dei viventi. Dal che le innumerevoli testimonianze architettoniche, intese come iscrizioni, epigrafi ed epitaffi, riportati non soltanto lungo i viali ombrosi dei cimiteri, bensì innanzi agli occhi della principale concentrazione di persone, il tentacolare ambiente cittadino coi suoi plurimi e continui cambiamenti. Di muri, ed invero interi edifici, continuamente demoliti e sostituiti con altre di maggiore solidità strutturale, fatto salvo che la loro svettante presenza sia stata in qualche modo coinvolta nel complicato avvicendarsi di cause ed effetti che siamo abituati a definire Storia. Già, ma come distinguere questi ultimi dalle moltissime alternative, esteriormente identiche, che formano l’urbano labirinto delle circostanze? È qui che entra in gioco, per lo meno in un contesto geograficamente britannico, l’idea e l’intraprendenza del politico di fazione liberale William Ewart (1798-1869) che esattamente sei anni prima della sua dipartita ebbe l’idea d’istituzionalizzare, ed in qualche modo rendere immortale e imprescindibile, la sopra descritta tendenza totalmente implicita nella conservazione della labile memoria collettiva degli eventi. In senso lato, nulla di nuovo, eppur condotto con un’uniformità di metodologie ed intenti tali da essere effettivamente privo di precedenti. Tramite il coinvolgimento iniziale della Royal Society of Arts (RSA) per la creazione di una serie di targhe murarie riportanti il nome, qualifica e durata della vita di una certa serie d’insigni personaggi, da affiggere presso le case dove avevano vissuto la propria giovinezza, o altri luoghi ove avevano trascorso periodi particolarmente influenti della loro carriera. A partire dalla prima, in seguito andata perduta a causa di una demolizione poco accorta nel 1889, dedicata al poeta Lord Byron nel luogo della propria nascita 24 Holles Street, Cavendish Square. La più antica ancora esistente, atipicamente eretta quando il suo soggetto era ancora in vita, è invece quella del politico Napoleone III a King Street, St. James, nella residenza che si dice lasciò in tutta fretta nel momento in cui ricevette la notizia dell’abdicazione del re Louis-Philippe nel 1848. Questi primi segnali istituzionali, dunque, avevano alcune caratteristiche destinate a restare inscindibili dal concetto stesso del loro ambito, tra cui la forma perfettamente circolare plasmata da una mattonella encaustica, ovvero colorata senza l’uso di vernici bensì mediante l’impiego di diverse tipologie di ceramiche cotte allo stesso tempo. Negli anni successivi e mentre le targhe prodotte aumentavano vertiginosamente di numero, tuttavia, numerose variazioni sul tema sarebbero state sperimentate, con l’idea del tutto comprensibile di contenere i costi di produzione…

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L’enorme università medievale costruita in Africa dall’uomo più ricco nella storia dei continenti

Tra i personaggi più celebri ed al tempo stesso misteriosi nell’intera storia dell’Africa Occidentale, Mansa Kanku Musa ha visto realizzarsi, nella celebrazione ad opera della prosperità, un periodo celebrativo particolarmente esteso grazie all’invenzione delle trattazioni brevi per il popolo di Internet, concepite al fine di rendere interessante un singolo argomento storico in un paio di paragrafi o poco più. Poiché c’è molto di appassionante per la fantasia del grande pubblico nell’affermare che nel particolare contesto geopolitico di allora, costui sia stato il più abbiente di tutti i sovrani della storia pregressa e futura, e regolando le cifre in base all’inflazione dei nostri giorni, persino più abbiente di figure come Jeff Bezos, Bill Gates ed Elon Musk. Un’affermazione mai effettivamente supportata dai fatti, per la semplice ragione che verificarla, ad oltre sette secoli di distanza, esula dalle effettive possibilità degli studiosi. E per di più basata su di un singolo episodio della sua vita, largamente celebrato da diverse fonti arabe e con probabili intenzioni almeno parzialmente auto-celebrative. Ciò che d’altra parte sappiamo per certo, poiché ne abbiamo le prove tangibili, è che al ritorno dal suo pellegrinaggio presso la Mecca in base ai termini della religione in cui aveva scelto di convertirsi, buona parte delle sue finanze furono investite nel costruire grandi opere pubbliche, presso l’antica capitale del regno del Mali, Niani e i nuovi territori conquistati di Noa e Timbuctù. Per far costruire in modo particolare all’interno di quest’ultima, uno dei templi della conoscenza più notevoli mai esistiti, capace d’istruire all’apice del suo periodo d’operatività una quantità (stimata) di studenti superiori a quelli della moderna Università di New York nell’intero anno 2008. Siamo quindi ormai verso la fine del suo regno (c. 1312-1337) quando la pre-esistente moschea di Sankoré, risalente almeno al 988 grazie alla donazione accertata di una donna di lingua e cultura malinke, ricevette un’afflusso imprevisto di fondi sufficiente a trasformarla in una vera e propria madrasa, o scuola coranica, dalle proporzioni ed organizzazione del tutto prive di precedenti. Narrano gli storici coévi, dunque, di come il grande complesso capace di espandersi in 180 edifici confinanti fosse destinato ad accogliere ben presto circa un quarto dell’intera popolazione cittadina, essenzialmente composta da insegnanti e alunni suddivisi in una serie di facoltà indipendenti. Per la messa in opera di un curriculum capace di durare in media 10 anni, quindi più simile a un apprendistato secondo le logiche dell’educazione medievale, da cui si usciva formati fino al più alto dei livelli immaginabili e preparati su argomenti religiosi, legali e scientifici. Ma soprattutto, avendo memorizzato il Corano e potendo esprimersi coerentemente nella lingua Araba, un vero passaporto per l’integrazione ai vertici della società altamente sincretistica di quei giorni. Così che la fama di una tale istituzione entro breve tempo riuscì a propagarsi verso Oriente, percorrendo quegli stessi sentieri commerciali che erano stati il sentiero verso l’immortalità di un sovrano tanto amato dalla propria discendenza, quanto discusso dai contemporanei in qualità di eccessivo riformatore e scialacquatore delle risorse vaste ma non infinite del suo potente regno del Mali, precedentemente arricchitosi grazie alle importanti miniere di sale e d’oro, responsabili quest’ultime secondo una stima di circa un terzo del prezioso minerale attualmente in circolazione nel mondo. Un tesoro, probabilmente, superato solo dalla fama successiva e l’elevato prestigio dei suoi studenti…

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