Per molti anni i critici, filologi, storici e semplici visitatori hanno discusso in merito all’antica questione: a cosa stava pensando esattamente, per lo meno nelle intenzioni dell’autore, la signora in abiti fluenti del Louvre? Colei che dentro un quadro realizzato da un attento scienziato (in proporzioni sorprendentemente piccole, o almeno così si dice) osserva con un mero accenno di un sorriso l’obiettivo della fotocamera ante-litteram, anticipando di parecchi anni l’efficacia comunicativa del profilo personalizzato per Twitter o Facebook. E sebbene sia difficile pensare che Leonardo, all’epoca del Rinascimento italiano, avesse anche una nozione vaga di cosa fosse esattamente, e dove si trovasse il Tibet, è indubbio un certo grado di somiglianza transitoria tra la Gioconda ed una delle abitanti maggiormente rappresentative, sebbene meno conosciute di questo luogo. Vulpes ferrilata è una cugina asiatica del genere di canide, basso, aerodinamico e furbesco, che tanti problemi arrecò agli altri animali della fiabe d’Esopo e i suoi successori. Che almeno al primo tentativo di descriverla, non sembrerebbe presentare un aspetto particolarmente distintivo: naso a punta, orecchie ritte sulla testa, corpo rossiccio nella parte superiore e bianco in quella inferiore, coda ragionevolmente folta che la segue nel suo cammino. Ma è man mano che i contorni si fanno più chiari, e l’animale più vicino, che le sue caratteristiche iniziano a prevalere: le dimensioni piccole, incapaci di superare i 3-4 Kg di peso; la testa squadrata e dalle proporzioni esagerate, quasi si trattasse di un cartone animato; le zampe troppo corte e infine, quello sguardo strano che ricorda la reazione di un pubblico di sconosciuti a una barzelletta raccontata male. Vagamente supponente, certamente carico di sottintesi, gli occhi sottili e la sua bocca ripiegata verso l’alto, in un contegno estremamente dignitoso ma così tremendamente “poco serio”. In altri termini la versione sottilmente diversa di un qualcosa di familiare, che potremmo aspettarci di vedere nei disegni di un naturalista inesperto o in forma tangibile, dall’altro lato del sottile velo tra universi paralleli.
Sarebbe certamente errato, tuttavia, presumere che tale astuta predatrice sia in qualsiasi modo meno attenta o abile delle parenti europee, data la mera necessità per sopravvivere di catturare, con trasporto e reiterata convinzione, ogni cosa piccola, pelosa e commestibile che si aggiri poco cautamente in mezzo all’erba alta della prateria. Il che vorrebbe riferirsi, nella stragrande maggioranza dei casi, al singolo & sfortunato caso dell’Ochotona curzoniae anche detto Pika del plateau (tibetano) roditore dal peso di 140 grammi che potremmo definire l’anello mai mancante tra il coniglio e la marmotta, il cui principale scopo nella vita sembrerebbe essere talvolta, per sua massima sfortuna, quello di moltiplicarsi e offrire la sua carne per il sostegno biologico di un’ampio ventaglio di predatori. Così non c’è alcun dubbio che la volpe delle sabbie, come viene a volta definita con un termine non mutualmente esclusivo, sia perfettamente in grado di riconoscere l’ingresso delle tane sotterranee di una simile preda, scavando e catturandola ogni qual volta se ne presenti la necessità. Benché preferisca, quando possibile e come dimostrato nel breve spezzone dal documentario rilevante della BBC (ce ne sempre uno, spesso con commento del riconoscibile Sir Attenborough) fare affidamento per la caccia su uno stratagemma decisamente più scaltro e funzionale…
ecologia
La farfalla senza un bruco, insetto che ha preso in ostaggio gli Stati Uniti
Splendide noi siamo, con le ali interne di un vivace color rosso, mentre l’altro paio sembra tratteggiato da un pittore pointillista, mentre l’estrema parte sembra ricordare strati sovrapposti di minuscoli mattoni. Come le altre appartenenti alla sottofamiglia delle Aphaeninae, spesso scambiate per farfalle benché siano solite spiccare, al massimo, dei lunghi balzi esplorativi. Entrando a pieno titolo, per lo meno in linea di principio, dalla mente aperta ed ammirata dell’entomologo, mentre ben diversa tende a risultare l’opinione di chiunque debba vivere per forza nei confini nel nostro vasto Impero. Che si estende, ormai da secoli, ben oltre i confini terrestri del giorno della notte… Perché un’invasione possa dirsi effettivamente riuscita al di là di ogni ragionevole critica storica, è necessario che unità su più fronti riescano a dividersi i compiti, in ondate successive finalizzate inizialmente a preparare, quindi improntate a conquistare, il territorio giudicato d’interesse da parte delle forze senza-volto incaricate di decidere l’impresa. Così noi cicaline della specie Lycorma delicatula ci preparammo, fin dalla metà del XVIII secolo, disponendo l’impiego di elicotteri ante-litteram, un’utile risorsa tattica e vegetale al fine di colonizzare il Nuovo Mondo. Quelli che potremmo individuare come costituiti, mediante il senno di poi, dall’effettivo involucro dei semi prodotti dall’albero del paradiso o Ailanthus altissima (in italiano, ailanto) originario della Cina e ingenuamente apprezzato dai molti popoli per la sua forma elegante e gli oltre 25 metri raggiunti in appena la metà della sua complessiva esistenza, generalmente non più estesa di 50 anni. Poiché nessuno avrebbe mai potuto prevedere, all’epoca, la maniera in cui quella pianta fosse in grado non soltanto di propagarsi a macchia d’olio, bensì resistere ad ogni tentativo di contenerne la diffusione, mediante la rinascita da poco più di un ramo o singolo pollone mentre diffondeva, con crudeltà quasi diabolica, un veleno tossico dalle radici, eliminando in maniera sistematica i propri potenziali concorrenti o vicini vegetali nei pressi del punto d’atterraggio del seme. Ma riempire quelle terre di ailanti, alberi importanti per il raggiungimento della fase adulta del nostro ciclo vitale, non era che il primo passo di un vero e proprio piano. Il cui ultimo e più irresistibile passaggio sarebbe stato destinato a richiedere, da quel fatidico momento, poco più di tre secoli a fronte degli ottimi collegamenti internazionali implementati all’epoca globalizzata dei commerci. Niente, in fin dei conti, avrebbe potuto funzionare meglio del carico di materiale edilizio risalente al 2014, destinato ai cantieri di Philadelphia e il resto della Pennsylvania… Dove secondo quanto ipotizzato dai tardivi studi di voialtri umani, si trovavano occultati i nostri padri e madri, ancora in forma embrionale, secondo quel metodo già dimostratosi capace di fornire il predominio territoriale in Giappone e Corea. In attesa del momento opportuno per fuoriuscire dalla sacca delle uova, per poi salire in cima a quelle piante che per tanto tempo avevano aspettato la loro venuta. E poi diffondersi da esse verso i notevoli tesori di quelle terre, tra cui gli frutteti, le vaste foreste, le viti usate per produrre il vino. Tutte piante egualmente vulnerabili, nonché deliziosamente utili, ad assicurare la vittoria ecologica della nostra prolifica genìa…
Il mistero spiegabile delle cascate di sabbia saudite
Il gruppo di piloti osservava l’alta duna sui confini del deserto, mentre gli organizzatori della gara consultavano l’ordine di partenza. Lo striscione posizionato con funzione di traguardo, sulla cima del declivio, oscillava insistentemente nel vento. E nessuno, dopo averlo posizionato, era più salito fin lassù. All’altra estremità dell’area di preparazione, il più eterogeneo gruppo di fuoristrada, SUV, quad bikes ed altri attrezzi a motore: non c’erano mai state regole particolarmente stringenti, del resto, nell’annuale gara di arrampicata del motor club di Riad, capitale e città maggiormente popolosa dell’entroterra saudita. Con un breve segnale inviato tramite megafono, trascorsi alcuni minuti, il capannello di persone venne quindi indotto a disperdersi, mentre ciascuno dei partecipanti prese a dirigersi, con passo certo, verso la cabina o in sella al suo veicolo per la giornata. C’era un po’ di tutto: giovani eredi di famiglie benestanti, con l’auto preso in prestito dal padre, più o meno al corrente delle loro intenzioni. Piloti semi-professionisti in cerca di una scintilla verso il successo, speranzosi di essere notati da un ipotetico talent scout. E poi c’era Maheer, ex-concorrente del campionato pan-arabico nonché vincitore delle trascorse due edizioni locali, a bordo della sua Nissan Patrol del 2015, con la vernice verde bottiglia scrostata dalla sabbia salina del deserto. Accarezzandosi la barba, il campione veterano sapeva di avere ottimi presupposti di ottenere il terzo trofeo di fila, mentre la suono del via spinse con enfasi l’acceleratore, balzando subito dinnanzi alla concorrenza. Fin da subito, tuttavia, notò che c’era qualcosa di strano: la sabbia non offriva l’aderenza che si sarebbe aspettato, quasi come se qualcosa d’imponente spingesse dalla cima del declivio, tentando d’irrompere verso la valle rocciosa, o wadi, dove si trovavano gran parte degli spettatori. Vide quindi un motociclista perdere l’equilibrio alla sua sinistra, mentre gli altri autisti, privi delle sue capacità di controllo dell’acceleratore, iniziavano a scomparire ai margini del suo campo visivo. “Ho una cattiva sensazione…” Fece in tempo a pensare, mentre raggiunta l’ultima parte della salita, grazie a un gioco della prospettiva iniziò a scorgere qualcosa d’inusitato. Come una parete in movimento, il punto più alto del deserto pareva intento a scaricare quanto si trovava sulla sua sommità. Rallentando a questo punto, poiché la vittoria era ormai certa, Maheer stava ormai per raggiungere il traguardo quando finalmente riuscì a comprendere quello che stava vedendo: oltre il parabrezza c’era l’equivalente in scala delle cascate del Niagara, che lui aveva visto di persona durante il suo viaggio di nozze negli Stati Uniti, ormai più di 15 anni fa. Un letterale ferro di cavallo formato in corrispondenza della duna successiva, con almeno 150 metri di diametro, sottoposto al flusso ininterrotto di un gigantesco lago di sabbia, improvvisamente indotto a scomparire verso le viscere tenebrose dell’Inferno. Dimenticata pressoché istantaneamente la gara, l’esperto pilota premette bruscamente sul freno. Temeva, tuttavia, che non tutti ci sarebbero riusciti. E iniziò a suonare insistentemente il clacson, sperando che i colleghi riuscissero a cogliere l’avviso di pericolo con l’urgenza necessaria per riuscire a prevenire indescrivibili conseguenze…
“Il regno di Saud è molto vasto e per questo possiede numerose meraviglie naturali” afferma il commento in arabo offerto spesso, come accompagnamento, ai pochi eppure significativi video che ritraggono il particolare fenomeno, chiamato in lingua inglese sandfall (letteralmente “cascata di sabbia.”) Lasciando ben pochi dubbi sulla sua natura, benché la portata, l’aspetto e le circostanze siano soggette a significative variazioni. Con collocazione geografica generalmente nel più remoto entroterra a meridione della capitale, secondo quanto riportato sulla pagina rilevante dal venerando sito sulle leggende metropolitane e di Internet, Snopes.com. Il quale con possibile sorpresa dei suoi lettori, identifica l’intera faccenda con l’agognato bollino verde “Mostly True” (Quasi del Tutto Vero) a riconfermare la contro-intuitiva realizzazione che si, qui non c’è lo zampino di programmi di alterazione video come Adobe After Effects. Benché occorra, ancora una volta, applicare dei distinguo validi ad approfondire l’ineccepibile questione…
Rossa, grossa: fate spazio alla lumaca più infuocata della Malesia
Che uno sforzo ecologista relativo alla conservazione animale possa concentrarsi, tra le alternative possibili, su una versione regionale del più comune e anonimo dei molluschi, appare poco probabile a dir poco. É quindi una fortuna sotto mentite spoglie, da un determinato punto di vista, il fatto che la specie terrestre Platymma tweediei appaia al tempo stesso come l’interpretazione di una lumaca offerta dal conte Dracula, un progettista di auto sportive degli anni ’90 e il diavolo in persona, dotato di corna portate con piglio elegante nella forma ad “Y” del gesto della vittoria. Un trionfo dell’evoluzione, a suo modo, nel più perfetto adattamento a uno specifico nonché raro ambiente d’appartenenza, quello della foresta pluviale d’alta quota della regione di Cameron, nello stato malese peninsulare di Pahang dove riesce a raggiungere tranquillamente i 15-20 cm di lunghezza, facendone la lumaca più grande della sua nazione. E una di quelle creature che, se non fosse per il tam-tam di Internet, sarebbe conosciuta unicamente da un gruppo di studiosi all’interno di alte torri d’avorio, perché dopo tutto, è sempre e solo una lumaca… Giusto? Cosa può esserci da dire sull’argomento? Il bello di far parte della civiltà delle immagini, tuttavia, è che un qualcosa di magnifico ed appariscente può arricchirsi di una storia, semplicemente per il fatto di far parte del vasto catalogo di forme di vita integrate nella biosfera terrestre. Così volendo utilizzare il nome comune internazionale di questa creatura dall’appariscente piede di colore rosso e la tonalità nero cupo del periostraco che ricopre il suo guscio, caratteristiche che hanno condotto senza esitazioni il consenso online verso l’appellativo Fire Snail (Lumaca di fuoco) potremmo essere indotti a rilevare un’apparente attribuzione di pericolosità, forse allusiva a una qualità velenosa e/o urticante che in realtà, data l’acclarata appartenenza della specie alla generalmente innocua famiglia delle Ariophantidae, possiamo istantaneamente accantonare. Il che ci lascia al cospetto di un animale tanto distante dal concetto di mimetismo da non poter fare affidamento su altro, nella propria strategia d’autodifesa, che un evidente tentativo d’aposematismo, ovvero l’apparenza in qualche modo sgargiante o fuori dal comune, che idealmente induce nel nemico un senso istintivo, per quanto immotivato, di diffidenza.
Per quanto concerne l’ecologia, nella nostra progressione investigativa, possiamo dunque facilmente presumere una preferenza per la materia vegetale ancora viva, o in alternativa putrescente, benché simili lumache, data la loro inerente rarità e collocazione paesaggistica remota, non costituiranno tanto presto un problema per alcun tipo di giardino costruito dagli umani. La Platymma t. piuttosto, dato il bisogno del clima estremamente particolare della regione di Cameron, con formazione di nubi tra gli arbusti data un’umidità quasi mai inferiore al 85% e una temperatura relativamente fredda che oscilla tra i 15 e i 25 gradi, è il prototipo di un abitante elettivo che non ha capacità di sopravvivere al di fuori del suo ambiente di provenienza, dal quale non potrebbe ad ogni modo allontanarsi causa il suo essere, per l’appunto, una lumaca. Il che lascerebbe intendere una vita serena e indisturbata dal caotico tram tram della vita urbana moderna & contemporanea, giusto? Sbagliato perché come spesso capita, nel momento in cui tutto sembra andare per il meglio, sono i guai stessi, in una maniera oppur l’altra, che si avviano sulla strada nel tentativo di raggiungerti e influenzare la progressione della tua storia…